Il danno non patrimoniale consistente nel patema d\’animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni e la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l\’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante possibilità del determinarsi dell\’uno in dipendenza del
verificarsi dell\’altro secondo criteri di regolarità casuale”.
E\’ quanto ha statuito la terza sezione della Suprema Corte nella sentenza 11059/09 con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno morale da parte di un gruppo di cittadini di Seveso in seguito alla fuoriscita di una
nube tossica composta da diossina. La stessa Corte, confacendosi alla sentenza delle SS.UU. n.26972 del 2008 ribadisce che “nell\’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non
individua un\’autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata; che in conclusione è compito del giudice accertare l\’effettiva consistenza del pregiudizio allegato a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate.
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