N. 11363/2009 REG.SEN.
N. 04269/2009 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n.4269 del 2009 proposto da Dorotea Alessandra De Marco e Michele
Domenichello rappresentati e difesi dall’avv. Adriano Tortora presso il cui studio
in Roma, Via Cicerone n.49, sono elettivamente domiciliati;
contro
Autorita\’ per la Vigilanza Sui Lavori Pubblici, rappresentato e difeso
dall\’Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
e nei confronti di:
– Bonetti Vincenzo rappresentato e difeso dal prof. avv. Gennaro Terracciano
presso il cui studio in Roma, Via Largo Arenula n.34, è elettivamente domiciliato;
– Fiorenza Lucio, non costituito in giudizio;
per l\’annullamento
1) in parte qua del bando del concorso pubblico per titoli ed esami indetto
dall’intimata Autorità per l’assunzione a tempo indeterminato di tre dirigenti di
seconda fascia, area VII per la professionalità di dirigente esperto in gestione di
servizi informatici e delle telecomunicazioni;
2) delle note del 21 novembre 2008 con cui è stata disposta l’esclusione dal
concorso de quo degli attuali istanti;
3) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’intimata amministrazione e del
controinteressato Bonetti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell\’udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2009 il dott. Giuseppe Sapone
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Gli odierni ricorrenti hanno presentato domanda di partecipazione al concorso per
titoli ed esami indetto dall’intimata Autorità per l’assunzione a tempo
indeterminato di tre dirigenti di seconda fascia, area VII per la professionalità di
dirigente esperto in gestione di servizi informatici e delle telecomunicazioni, ma
non essendo stati ammessi a parteciparvi, hanno impugnato con ricorso
straordinario sia i relativo bando sia i provvedimenti di esclusione, prospettando i
seguenti motivi di doglianza:
1) Eccesso di potere e violazione e falsa applicazione di legge e, in particolare,
dell’art.28, comma 1, e dell’art. 35, comma 3, del D.Lgvo n.165/2001, dell’art.8,
commi 1 e 2, del DPR n.487/1994, dell’art.3, comma 1, del DPR n.272/2004 e
dell’art. 97 della Costituzione;
2) Violazione e falsa applicazione dei criteri di valutazione; errore nei presupposti
di fatto; errore nell’approvazione dei criteri di valutazione; eccesso di potere;
illogicità manifesta; violazione e falsa applicazione del bando (lex specialis) ed in
particolare dell’art.6.
Essendosi l’intimata Autorità opposta alla trattazione del ricorso in sede
straordinaria, è stato proposto il presente gravame con il quale sono stata
riprodotte le medesime censure prospettate in sede straordinaria ed è stata
contestata la legittimità dell’atto di opposizione, nei confronti del quale sono state
dedotte le seguenti doglianza;
3) Incompetenza e/o violazione di legge ( Violazione degli artt. 1 e ss. del D.D.
n.1611/1933 e del R.D. n.1612/1933; dell’art.1 della L. n.241/1990; degli artt. 8-14
del DPR n.1199/1971);
4) Violazione di legge (Violazione e/o falsa applicazione dell’art.10 del DPR
n.1199/1971). Eccesso di potere (Errata interpretazione estensiva e/o illegittima
applicazione analogica della sentenza della Corte Costituzionale n.148/1982).
Successivamente gli attuali istanti hanno impugnato con motivi aggiunti la
graduatoria della menzionata procedura concorsuale ed i verbali della
Commissione esaminatrice, deducendo le seguenti doglianze:
5) Eccesso di potere per difetto di istruttoria;
6) Illegittimità derivata.
Si è costituita l’intimata Autorità la quale ha contestato, con dovizia di
argomentazioni, la fondatezza delle doglianze dedotte in via principale, ed in
particolare quelle che avevano prospettato l’illegittimità dell’atto di opposizione.
Si è pure costituito uno dei vincitori del concorso in parola, cui erano stati
notificati i motivi aggiunti di doglianza, limitandosi a prospettare l’inammissibilità
di questi ultimi sotto diversi profili.
Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2009 il ricorso è stato assunto in decisione.
DIRITTO
Con il proposto gravame gli odierni ricorrenti hanno impugnato in parte qua il
bando del concorso per titoli ed esami indetto dall’intimata Autorità per
l’assunzione a tempo indeterminato di tre dirigenti di seconda fascia, area VII per
la professionalità di dirigente esperto in gestione di servizi informatici e delle
telecomunicazioni nonché il provvedimento di esclusione dallo stesso, ed hanno
contestato, altresì, la legittimità dell’atto con cui la predetta Autorità aveva chiesto
la trasposizione in questa sede del ricorso straordinario proposto avverso i citati
atti impugnati in via principale.
In ordine logico devono essere prima esaminate le doglianze prospettate avverso
l’atto di opposizione alla trattazione del ricorso in sede straordinaria.
Al riguardo, gli attuali istanti, partendo dal presupposto che l’atto di opposizione
ha natura meramente amministrativa, asseriscono che il suddetto atto non poteva
in alcun modo essere proposto dalla Difesa erariale, la quale ex art.1 del R.D.
n.1611/1933, ha la rappresentanza il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle
Amministrazioni dello Stato, mentre nessuna funzione rappresentativa delle
amministrazioni dello Stato le è attribuita per legge nelle procedure amministrative
a carattere contenzioso, quale è il ricorso straordinario.
In merito il Collegio, nel condividere la tesi ricorsuale in ordine alla natura
amministrativa dell’atto di opposizione ed all’assenza di alcun potere
rappresentativo ex lege dell’Avvocatura Erariale nell’ambito del ricorso
straordinario, tuttavia sottolinea che nella fattispecie de qua la Difesa Erariale era
stata previamente autorizzata con nota dell’11 marzo 2009 dalla resistente Autorità
a proporre atto di opposizione al ricorso straordinario ai sensi dell’art. 10 del DPR
n.1199/1970.
Con il successivo motivo di doglianza i ricorrenti sostengono che la trasposizione
del ricorso straordinario non poteva in alcun modo essere richiesta dalla Autorità
controinteressata, non essendo quest’ultima in alcun modo equiparabile ad un ente
pubblico che in forza della sentenza della Corte Costituzionale n.148/1982 poteva
chiedere la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.
La censura in esame deve essere rigettata.
Al riguardo il Collegio intende uniformarsi alla recente sentenza di questa Sezione
n.896/2009, la quale, con disarmante chiarezza e stringente logicità, ha affermato
che “ È noto che l\’art. 10 D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, in considerazione
delle maggiori garanzie offerte dal ricorso giurisdizionale rispetto a quello
straordinario, assegna espressamente ai controinteressati la legittimazione attiva a
chiedere, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, con atto
notificato al ricorrente e all\’organo che ha emanato l\’atto impugnato, che il ricorso
sia deciso in sede giurisdizionale. A tale categoria di soggetti la Corte
costituzionale, con sentenza 29 luglio 1982 n. 148, ha equiparato l\’ente pubblico
(diverso dallo Stato) che ha emanato l\’atto impugnato. Ha osservato il giudice delle
leggi che le amministrazioni non statali, al pari dei privati controinteressati, non
sono in condizione di svolgere, nel procedimento amministrativo finalizzato alla
decisione sul ricorso straordinario, il medesimo ruolo determinante di cui, agli
effetti decisori, fruiscono le amministrazioni statali emananti, in quanto
componenti dello stesso sistema organizzatorio di cui fanno parte il Ministro e il
Presidente del Consiglio dei Ministri chiamati a decidere sul gravame, con
conseguente \’ingiustificata disparità di trattamento, stante le maggiori garanzie che
il ricorso giurisdizionale offre anche alle amministrazioni non statali. Ad avviso del
giudice delle leggi non si può non convenire sulla diversità della posizione
dell\’autorità resistente, a seconda che l\’atto, contro il quale è rivolto il ricorso,
provenga da un organo dello Stato o di altro Ente pubblico. Nel primo caso,
infatti, è pur sempre la stessa Amministrazione, in un ambito organizzativo
unitario, che decide sull\’impugnativa avverso l\’atto che da essa emana, collocandosi
perciò nel procedimento su un piano di sostanziale preminenza di fronte al
ricorrente ed ai controinteressati. Radicalmente diversa, nello stesso procedimento,
è invece la posizione dell\’Autorità non statale, la quale assume la veste di mera
controparte rispetto al ricorrente, senza alcun potere di decidere, e neppure di
influire, più di quanto non sia dato alle altre parti, sulla decisione.
Tale essendo la ratio, sottesa alla decisione della Corte costituzionale, di estendere
la garanzia dell\’istituto della trasposizione alle amministrazioni diverse da quelle
statali perché prive delle garanzie implicitamente riconosciute a queste ultime in
sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, ritiene il Collegio che si possa
prescindere dal verificare la natura che nel nostro ordinamento assumono le
Autorità indipendenti, atteso che le stesse non hanno, comunque, in sede
straordinaria alcuna possibilità di influire sulla decisione e possono essere, sotto
questo profilo, equiparate agli enti pubblici diversi dallo Stato. Le Autorità
indipendenti, chiamate ad operare in piena autonomia rispetto agli apparati
dell\’esecutivo ed agli organi di ogni Amministrazione, rispondono all\’esigenza di
dare corpo ad una funzione amministrativa di garanzia in ragione della quale è
configurata l\’indipendenza dell\’organo (Cons.Stato, Sez. I, 29 maggio 1998 n. 988;
Sez. VI, 29 maggio 2008 n. 2548, secondo cui le Autorità indipendenti si pongono
in posizione peculiare rispetto all\’apparato esecutivo, in quanto caratterizzate da
autonomia nei confronti del Governo). In questo senso la Corte costituzionale,
con una pronuncia (sentenza 7 novembre 1995 n. 482) che riveste portata generale
anche se occasionata dalla istituzione, ad opera dell\’art. 4 L. 11 febbraio 1994 n.
109, dell\’Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici, ha osservato che “le
attribuzioni dell\’Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di
Amministrazione attiva o di controllo”.
In altri termini, anche aderendo alla tesi che fa rientrare dette Autorità nelle
Amministrazioni dello Stato (Cons.Stato, Sez. I, 25 ottobre 2000 n. 260), è
comunque certo che esse non hanno in sede di ricorso straordinario al Capo dello
Stato la possibilità di occupare una posizione di sostanziale preminenza di fronte al
ricorrente ed ai controinteressati, possibilità che ha portato il Legislatore del 1971
ad escludere implicitamente che l\’Autorità emanante, che sia “Amministrazione
dello Stato”, sia legittimata a chiedere la trasposizione del ricorso in sede
giurisdizionale”
Per quanto concerne le altre doglianze dedotte in via principale, il Collegio osserva
che l’esame di queste ultime deve essere preceduto dalla disamina delle eccezioni di
inammissibilità sollevate dal controinteressato nei confronti dei motivi aggiunti
proposti avverso la graduatoria, atteso che l’eventuale fondatezza delle suddette
eccezioni implicherebbe, per le ragioni di seguito esposte, l’improcedibilità del
ricorso principale.
Al riguardo fondata è l’eccezione con cui è stata prospettata l’inammissibilità dei
motivi aggiunti per mancata notifica insieme agli stessi del ricorso principale.
In punto di fatto deve essere evidenziato che:
I) non è contestato che al controinteressato sia stato mai notificato il ricorso
principale;
II) i citati motivi aggiunti nel prospettare l’illegittimità derivata della contestata
graduatoria si limitano ad un parziale richiamo delle censure dedotte in via
principale.
In tale contesto, pertanto tali doglianze devono essere considerate inammissibili,
atteso che costituisce infatti principio da tempo acquisito nella giurisprudenza del
giudice amministrativo che è inammissibile il ricorso il cui contenuto si esaurisca
nel mero rinvio per relationem ad altro gravame, senza neppure l\’indicazione delle
censure con esso asseritamerte dedotte, al fine di far discendere da esse la riprova
dei vizi di illegittimità derivata che inficerebbero il provvedimento da ultimo
impugnato (Cons. Stato, V Sez., 1976 n. 41/1976 e IV Sez. 912/1978;; T.A.R.
Latina n. 318/1983; T.A.R. Catanzaro, n. 676/1996; Tar Puglia, Sez. I,
n.269/2003).
In termini più generali il Collegio sottolinea, poi, che colui che acquisisce
successivamente alla proposizione di un gravame ed in forza della proposizione di
motivi aggiunti dedotti avverso successivi atti collegati a quelli impugnati in via
principale, la qualifica di controinteressato, ha interesse a dimostrare l’infondatezza
non solo delle censure dedotte con i motivi aggiunti, ma anche di quelle
prospettate in via principale, il cui eventuale accoglimento comporterebbe
l’invalidità dei successivi provvedimenti che gli avevano attribuito il bene della vita.
L’inammissibilità dei motivi aggiunti dedotti avverso la graduatoria concorsuale,
comporta, poi, l’improcedibilità delle doglianze prospettate in via principale
avverso il bando e le determinazioni di esclusione.
Al riguardo il Tribunale come già osservato con le sentenze .11650/2003 e
3463/2006, sottolinea che nella materia oggetto della presente controversia non è
dato individuare un indirizzo univoco della giurisprudenza amministrativa.
Secondo un primo orientamento (CS, sez.V, n.3064 del 3/6/2002; n.1270 del
12/11/1992; CGA n.80 del 19/12/1980) l\’esclusione da una gara d\’appalto (ma le
conclusioni valgono anche per l’esclusione da una procedura concorsuale) si
configura come atto endoprocedimentale soltanto se si ha riguardo alla sua
collocazione nella sequela delle operazioni concorsuali, ma non può essere
considerato tale se si considera il carattere costitutivo degli effetti che vi si
ricollegano, ancorché il modulo procedimentale contempli ulteriori fasi per il
completamento della procedura; pertanto, l’annullamento dell\’estromissione (e
quindi dei suoi effetti) si riverbera, in via conseguenziale e caducante, su tutte le
successive fasi della sequenza, perché svoltesi illegittimamente, per cui non occorre
l\’impugnazione di tutti i possibili susseguenti atti del procedimento.
A tale indirizzo se ne contrappone un altro il quale, fondato sulla finalità di
restringere l’ambito applicativo dell’istituto di origine giurisprudenziale
dell’invalidità caducante, ritiene necessaria, al fine di evitare la sopravvenuta
carenza di interesse del ricorso proposto contro l’atto presupposto (quale è una
determinazione di esclusione), anche l’impugnativa dell’atto finale, in quanto non
sarebbe invocabile il principio della portata caducante della sentenza di
annullamento dell’atto presupposto quando l’atto consequenziale abbia conferito
un bene, un’utilità o uno status ad un soggetto non qualificabile come parte
necessaria del giudizio che ha per oggetto l’atto presupposto (CS, sez.V, n.447 del
7/5/1994; CGA n.396 del 14/10/1997; n.154 del 18/5/1996).
In tale contesto il Tribunale intende conformarsi al secondo degli indirizzi
giurisprudenziali de quibus, il quale è stato avallato anche da altre decisioni del
Consiglio di Stato (Sez.V, n.698 del 7/2/2002; n. 4400/2008; sez.VI, n.785
dell’11/2/2002;) esaustivamente motivate in merito.
In particolare la sentenza n.785/2002, sul presupposto che la giurisprudenza
consolidata ha affermato la immediata impugnabilità dell’atto preparatorio
immediatamente lesivo, ha evidenziato che: “Tale possibilità di immediata
impugnazione dell’atto lesivo non si deve però tradurre, ad avviso del Collegio,
almeno di regola, in un esonero dal dovere di impugnare anche l’atto finale.
Infatti, da un lato, l’anticipazione della tutela di impugnazione costituisce un
ampliamento degli strumenti di tutela degli interessati, ma non costituisce una
deroga alla regola generale secondo cui va impugnato l’atto finale e conclusivo del
procedimento.
Dall’altro lato, la circostanza che l’atto finale sia affetto da invalidità derivata dai
vizi dell’atto preparatorio, non esclude che tale invalidità derivata debba essere
fatta valere con i rimedi tipici del processo impugnatorio.
In mancanza, l’atto viziato da invalidità derivata, si consolida e non è più
impugnabile.
Ancora, militano a favore di tale soluzione le esigenze di tutela dei
controinteressati, che di solito non sono individuabili in relazione all’atto
preparatorio, ma solo in relazione a quello finale.
Sicché, l’impugnazione dell’atto preparatorio non è notificata ad alcun
controinteressato. Sostenere che bastano la impugnazione dell’atto preparatorio e il
suo annullamento giurisdizionale a far cadere il provvedimento finale, ancorché
non impugnato, significa: 1) precludere la tempestiva tutela giurisdizionale del
controinteressato; 2) consentire processi amministrativi in assenza dei veri
controinteressati; 3) negare il principio che il provvedimento conclusivo del
procedimento diventa inoppugnabile se non è tempestivamente impugnato.
Né la necessità di impugnare anche il provvedimento finale dopo l’impugnazione
dell’atto preparatorio, grava eccessivamente la posizione del ricorrente, il quale può
avvalersi dell’istituto dei motivi aggiunti in corso di causa, proponibili, ai sensi della
L. n. 205 del 2000, anche avverso atti diversi da quello originariamente gravato.
Siffatta soluzione appare da preferire anche per ragioni di economia processuale.
La tesi opposta, che esonera il ricorrente avverso l’atto preparatorio dalla
impugnazione anche del provvedimento finale, urta, infatti, contro le ragioni di
economia processuale, perché comporta che:
1) il giudizio avverso l’atto preparatorio si svolge senza controinteressati;
2) l’amministrazione, in sede di ottemperanza al giudicato di annullamento dell’atto
preparatorio, annulla di ufficio l’atto finale, ormai inoppugnabile;
3) il terzo beneficiario dell’atto finale, che ne subisce l’annullamento quale
conseguenza di un giudizio cui non è stato posto in condizione di partecipare,
dovrà avvalersi del rimedio dell’opposizione di terzo;
4) con il giudizio di opposizione di terzo, dopo la fase rescindente, si dovrà
rinnovare nel merito l’originario giudizio.
E’ evidente, così operando, la moltiplicazione dei processi, e dei conseguenti costi
e tempi, in relazione ad un’unica vicenda procedimentale.
Si può consentire alla non necessità di impugnazione dell’atto finale, quando sia
stato già impugnato quello preparatorio, solo quando tra i due atti vi sia un
rapporto di presupposizione – consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel
senso che l’atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello
precedente, perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi, né del
destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti.
Diversamente, quando l’atto finale, pur facendo parte della stessa sequenza
procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza
inevitabile, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi,
anche di terzi soggetti, la immediata impugnazione dell’atto preparatorio non fa
venire meno la necessità di impugnare l’atto finale, pena la improcedibilità del
primo ricorso”.
Applicando tali principi e ritendendo quindi, che il principio della portata
caducante della sentenza di annullamento di atto presupposto non è invocabile nel
caso in cui all\’impugnativa del bando di concorso segua la nomina del vincitore, in
quanto il pregiudizio che subirebbe quest\’ultimo, il quale ha la possibilità di essere
parte del giudizio, quale controinteressato, solo in caso di impugnativa della
graduatoria si porrebbe in contrasto con l\’art. 24 cost. (CS, sez.V, n.212/1994) e
che la circostanza che l\’atto finale sia affetto da invalidità derivata dai vizi dell\’atto
preparatorio, non esclude che tale invalidità debba essere fatta valere con i rimedi
tipici del processo impugnatorio, per cui, in mancanza, l\’atto finale si consolida e
non è più impugnabile (CS, sez.V. n.3687/2007), ne consegue che l’inammissibilità
dei motivi aggiunti dedotti avverso al graduatoria, non può non implicare
l’improcedibilità per carenza di interesse delle censure dedotte in vai principale
avverso il bando e le determinazioni di esclusione.
Ciò premesso, il proposto gravame in parte deve essere dichiarato improcedibile
per sopravvenuta carenza di interesse ed in parte va dichiarato inammissibile
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III, definitivamente
pronunciando sul ricorso n. 4269 del 2009, come in epigrafe proposto, in parte lo
dichiara improcedibile ed in parte lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2009 con
l\’intervento dei Magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Giuseppe Sapone, Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista, Primo Referendario
L\’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/11/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO