Il Massimo consesso di Piazza Cavour fissa uno stringente paletto all’equa riparazione. La durata del processo ordinario o amministrativo di cognizione non si somma a quella del processo esecutivo o di ottemperanza, così che il cittadino può chiedere l’indennizzo per il procedimento lumaca entro i sei mesi successivi alla fine di ciascuno di questi, altrimenti sarà troppo tardi.
Lo hanno stabilito le Sezioni unite civili della Suprema corte che, con la sentenza n. 27346 del 24 dicembre 2009, hanno risolto un contrasto di giurisprudenza, affermando che “in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, questo va identificato, in base all\’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell\’uomo e delle libertà fondamentali, in considerazione delle situazioni soggettive controverse e azionate su cui il giudice adito deve decidere, le quali, per la citata norma sovranazionale, sono <diritti e obblighi>, ai quali, per gli arti. 24, 111, e 113 della Cost. devono aggiungersi gli interessi legittimi di cui sia chiesta tutela ai giudici amministrativi. In rapporto al criterio di distinzione della Convenzione sopra richiamato, il processo di cognizione e quello di esecuzione regolati dal codice di procedura civile come quello cognitivo del giudice amministrativo e il processo di ottemperanza, teso a far conformare la P.A. a quanto deciso in sede cognitoria, devono considerarsi tra loro autonomi, in rapporto alla diversità delle situazioni soggettive azionate in ciascuno di essi (nei primi, cognitori, diritti e interessi legittimi, e nei secondi esclusivamente diritti all\’adempimento).
Dalla differenza funzionale richiamata deriva la diversità della struttura di ognuno di detti procedimenti, nascendo il processo di cognizione da una domanda di accertamento di un diritto, obbligo o interesse legittimo controverso, e il secondo dalla valutazione positiva di tali situazioni contenuta in una pronuncia esecutiva, la cui inadempienza dal convenuto o resistente soccombente, comporta che la stessa costituisca titolo esecutivo che, notificato con il precetto, introduce i procedimenti (alcuni anche cognitori) tesi a soddisfare quanto accertato dal giudice della cognizione (cfr. libro terzo del c.p.c.), potendosi, qualora soccombente sia una pubblica amministrazione agire anche in ottemperanza, perché la predetta si conformi al giudicato, ponendo in essere atti sostitutivi di quelli annullati perché illegittimi, a seguito di notifica della messa in mora a provvedere nei sensi della decisione emessa in sede cognitoria non osservata. Consegue alla detta autonomia dei diversi giudizi che le loro durate non possono sommarsi per rilevarne una complessiva dei due processi, di cognizione da un canto e di esecuzione o di ottemperanza dall\’altro, e che solo dal momento delle decisioni definitive in ciascuno dei processi, sarà possibile, per ognuno di essi, domandare, nei termini dell\’art. 4 della logge n. 89 del 2001, l\’equa riparazione per violazione dell\’art. 6 della Convenzione”.
Fonte: www.cassazione.net