SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 15 ottobre – 19 novembre 2009, n. 44492 (Presidente De Roberto – Relatore Serpico)
Osserva
Sull\’appello proposto da D. N. C. avverso la sentenza della Corte di Assise di Bergamo in data 1-07-2005 che lo aveva dichiarato colpevole del reato di cui all\’art. 572 co. 1° e 2° u.p. cp. per aver maltrattato la convivente M. E. facendone derivare la morte della stessa che,dopo un ennesimo episodio di violenza, verbale e materiale subito, si era tolta la vita per impiccagione, e, concessegli le attenuanti generiche equivalenti all\’aggravante contestata, lo aveva condannato alla pena principale ed accessoria ritenute di giustizia, oltre al risarcimento danni e spese in favore delle costituite parti civili, con provvisionale immediatamente esecutiva per ciascuna di esse, la Corte di Assise di Appello di Brescia, con sentenza in data 9-02-07, in parziale riforma della decisione impugnata, escludeva la contestata aggravante, con conseguente riduzione della pena, rideterminando in via definitiva il risarcimento danni alle parti civili nella misura di euro 5.000,00 per ciascuna, con revoca della provvisionale, confermando nel resto il giudizio di I grado.
Avverso detta sentenza il PROCURATORE GENERALE della REPUBBLICA presso la Corte di Appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo a motivi del gravame, la violazione di legge e contraddittorietà ed illogicità della motivazione in merito all\’esclusione dell\’aggravante di cui al co. 2° u.p. dell\’art. 572 cp..
Sostanzialmente ed in sintesi, l\’Ufficio ricorrente ha sottolineato che l\’antecedente logico del suicidio era inequivocamente rappresentato dall\’episodio di aspro litigio poco prima intercorso tra le parti, con genesi “non dissimile” dai tanti altri precedenti litigi, con conseguente situazione di stress e di disagio psichico in pregiudizio della vittima, su ci si era innestato il progetto suicida, fulmineamente attuato.
Di qui, ad avviso del PG ricorrente, la logica conseguenza dell\’indubbio nesso causale della morte con il contestato delitto di maltrattamenti, secondo le regole della causalità adeguata ex art. 41 cp., di guisa che era palesemente contraddittorio ed illogico escludere la contestata aggravante secondo i termini operati dalla Corte di Assise di Appello bresciana, dopo ave riconosciuto al cennato ultimo episodio di ennesima violenza fisio-psichica, il carattere di “antecedente logico del suicidio” escludendo erroneamente e contestualmente che “la condotta tipica, di cui tale proclamato precedente fa sicuramente parte, debba comunque essere espulsa dal processo causale cui ha in realtà dato vita attraverso una delle (tante) azioni vessatorie che la costituiscono”.
La difesa dell\’imputato ha prodotto memoria difensiva a supporto della ritenuta infondatezza del ricorso del PG, conclusivamente sottolineando, con richiamo anche alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che, in ogni caso, era da escludere la sussistenza della contesta aggravante per difetto del nesso eziologico e teleologico tra la condotta di maltrattamenti ed il suicidio della vittima, non riconducibile comprovatamente e logicamente ad una prevedibilità concreta ex ante da parte dell\’imputato, con conseguente esclusione del fatto sopravvenuto ad ingravescenza della contestata condotta di maltrattamenti.
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Il pur suggestivo argomentare dell\’Ufficio ricorrente non coglie l\’aspetto necessariamente pregnante perché, pur in ritenuta ipotesi di collegamento eziologico causale tra il suicidio ed i maltrattamenti, occorre, in ogni caso, comprovatamente e inequivocamente cogliere l\’aspetto relativo all\’addebitabilità soggettiva dell\’evento, nel senso che, come ribadito da questa Corte di legittimità, l\’evento ulteriore accollato all\’agente (suicidio della vittima quale aggravante di cui al co. 2° u.p., art. 572 cp.) deve necessariamente ancorarsi ad un coefficiente di prevedibilità concreta del rischio derivante dalla consumazione del reato base, verifica attribuita ad un giudizio prognostico che, pur se postumo, deve, comunque, ancorarsi ad una prospettiva ex ante (cfr. in termini Cass. pen. Sez. VI, 21-11-07 n. 12129, Passafiume). Come esattamente segnala la memoria difensiva a fol. in piena sintonia con il detto principio di diritto, un differente approccio che prescindesse dalla prevedibilità dell\’evento non voluto e che, quindi, accettasse l\’ipotesi di una forma di “responsabilità oggettiva”, finirebbe per mettersi in aperto contrasto con il regime di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti previsto dall\’art. 59 cp. co. 2°, come modificato dalla L. 7-02-1990 n. 3 art. II.
In buona sostanza, per garantire il principio di colpevolezza e di personalità della responsabilità penale nei casi di suicidio seguito alla condotta di maltrattamenti è necessario che l\’evento sia la conseguenza prevedibile in concreto della condotta di base posta in essere dall\’autore del reato e non sia invece il frutto di una libera capacità di autodeterminarsi della vittima, imprevedibile e non conoscibile da parte del soggetto agente al quale, pertanto, non potrà imputarsi il rischio della aggravante in esame in rapporto alla sua condotta comprovatamente illecita di “base”.
A tali principi si è sostanzialmente informata la impugnata sentenza (cfr. foll. 10-11-12-13), non mancando di procedere ad una motivata verifica ex ante dei termini riconducibili alla prevedibilità in concreto dell\’evento suicidiario, curando un riferimento significativo alla stessa condotta ante acta della vittima in relazione anche all\’ultimo dei fatti tipicizzanti il contestato reato di maltrattamenti temporalmente prossima al tragico gesto della ragazza, il cui contegno comportamentale, pur a fronte della ossessiva gelosia dell\’imputato, non traduceva apprezzabili, inequivoci sintomi di prevedibilità in concreto di un gesto tragicamente autodistruttivo.
In proposito non sfugge quanto segnalato dalla sentenza impugnata in relazione al significativo contributo offerto alla valutazione in esame dalla testimonianza della C., a cui la ragazza aveva confidato la sostanziale accettazione delle violente intemperanze dell\’uomo nei suoi confronti, facendo “prevalere i propri sentimenti di affetto incondizionato” nei confronti del D. N., con esplicito intendimento di continuare la relazione e la convivenza con il predetto, in una prospettiva in cui “non era escluso il matrimonio”, come riferito dalla madre della vittima (cfr. fol. II sentenza impugnata). A tanto non va trascurato di significativamente richiamare anche il contributo offerto dalla testimonianza della C. in relazione al gesto riconducibile a qualche giorno prima della tragedia, come atto eventualmente preparatorio ad un gesto suicida con precipitazione nel vuoto, come sostanziale richiesta rivolta al partner di attenzione, attraverso “la minaccia di privarlo della propria esistenza” (cfr. fol. 12 sentenza impugnata), come confidato dalla M. alla teste.
Alla stregua di quanto precede, l\’essenza della giustificata esclusione della contestata aggravante va riferita alla comprovata carenza di prevedibilità concreta, in rapporto all\’imputato, dell\’evento suicidiario, con un giudizio ex ante che, pur se inesattamente riferito al nesso di causalità tra la contestata condotta e l\’evento anzidetto, agli effetti della contestata aggravante, consente di ritenere non debitamente comprovato, né concretamente comprovabile il carattere di prevedibilità concreta del tragico evento in testa all\’imputato, stante il cennato comportamento interpersonale, anche in ambito affettivo e familiare, tenuto dalla vittima in epoca antecedente e prossima al tragico gesto suicidiario, di cui il D. N. era consapevolmente compartecipe.
Di qui l\’infondatezza delle doglianze del PG.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.