E\’ legittima, nel contratto di associazione in partecipazione, l\’estensione del fallimento al socio occulto nella attività imprenditoriale della prima.
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Firenze che, con una sentenza del 12 gennaio 2010, ha respinto il reclamo presentato contro la dichiarazione di fallimento di un marito che aveva partecipato all’associazione in partecipazione della moglie. Il contratto, ha sottolineato la Corte territoriale, aveva la peculiarità di non aver specificato le mansioni lavorative svolte dall’uomo. Infatti, hanno spiegato i giudici fiorentini, non può considerarsi mero associato il soggetto che apparentemente partecipa solo agli utili dell\’impresa a fronte dell\’obbligazione di un determinato apporto, ad esclusione dei poteri gestionali dell\’impresa; soprattutto in presenza di comportamenti e di atti (ad es. frequenti apporti finanziari) che non possono ricondursi alla posizione di un lavoratore in compartecipazione bensì a quella di dominus aziendale. Pertanto, se l’apporto dell\’associato alla pretesa compartecipazione va ben oltre la pur indeterminata e onnicomprensiva prestazione di attività lavorativa e si estrinseca in cospicui impegni di carattere patrimoniale, che comportano un tipico rischio da investimenti imprenditoriali, incompatibili con la posizione di un lavoratore in compartecipazione nei soli utili, è giustificata l\’estensione dell\’eventuale fallimento del dominus all\’associato – socio occulto.
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