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Il consulente del lavoro ha diritto a essere retribuito anche per le consulenze fiscali

La Suprema corte sottolinea l’importanza del lavoro autonomo. Il consulente del lavoro può svolgere consulenza fiscale (fra cui la tenuta della contabilità aziendale, le dichiarazioni dei redditi e la richiesta di certificati presso la C.C.I.A.A.) e ha diritto a essere retribuito dal cliente anche per queste attività svolte prevalentemente dai dottori commercialisti.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con una sentenza dell’11 giugno 2010, ha accolto il ricorso di una consulente del lavoro che pretendeva da un cliente anche il pagamento per la consulenza fiscale prestata, in particolare per la tenuta delle scritture contabili dell’impresa, la redazione dei modelli Iva e per la dichiarazione dei redditi, per i conteggi ai fini Irap o ai fini Ici e per la richiesta di certificato presso la camera di commercio.
È successo a Genova. Una consulente del lavoro aveva fatto una serie di attività di consulenza fiscale in favore di un cliente che non aveva voluto retribuirla sostenendo che quei lavori rientravano fra quelli riservati ai dottori commercialisti.
Ma la donna si era rivolta al Tribunale ligure che aveva spiccato un decreto ingiuntivo. A questo punto il cliente si era opposto e, in primo grado, aveva perso. Poi le cose erano cambiate in Appello. I giudici avevano rovesciato la decisione stabilendo che il cliente non avrebbe dovuto pagare la consulente dal momento che quelle attività erano riservate ai commercialisti.
Contro questa decisione la donna ha presentato ricorso in Cassazione e lo ha vinto. La seconda sezione civile del Palazzaccio lo ha accolto precisando che “l\’esecuzione di una prestazione d\’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell\’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 cod. civ., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, sicché il professionista non iscritto all\’albo o che non sia munito nemmeno della necessaria qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa. Peraltro, al fine di stabilire se ricorra la nullità prevista dall\’art. 2231 cod. civ., occorre verificare se la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo l\’esercizio della professione subordinato per legge all\’iscrizione in apposito albo o ad abitazione.
Nella specie i giudici di appello hanno escluso che l\’attività espletata dalla ricorrente rientrasse nelle attribuzioni dei consulenti del lavoro secondo quanto al riguardo previsto dalla L. n. 12 del 1979 ritenendo che esse rientrassero tra quelle proprie del ragioniere commercialista e del dottore commercialista nei cui albi professionali la medesima non era iscritta, con la conseguenza che essa, a mente del primo comma dell\’art. 2231 cc, non aveva azione nei confronti del cliente per ottenere il pagamento del relativo compenso.
Vanno qui allora richiamati i principi elaborati dalla Corte Costituzionale, secondo cui il sistema degli ordinamenti professionali di cui all\’art. 33 Cost., comma 5, deve essere ispirato al principio della concorrenza e della interdisciplinarità, avendo la funzione di tutelare non l\’interesse corporativo di una categoria professionale ma quello degli interessi di una società che si connotano in ragione di una accresciuta e sempre maggiore complessità: il che porta ad escludere una interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di generale esclusività monopolistica”.
Insomma, nelle norme delegate – hanno sottolineato i giudici delle leggi – non si rinviene alcuna attribuzione in via esclusiva di competenze, ma viene riaffermato che l\’elencazione delle attività, oggetto della professione disciplinata, non pregiudica nè l\’esercizio di ogni altra attività professionale dei professionisti considerati nè quanto può formare oggetto dell\’attività professionale di altre categorie a norma di leggi e regolamenti”.
In altri termini la disposizione comporta, da un canto, la non tassatività della elencazione delle attività e, dall\’altro, la non limitazione dell\’ambito delle attribuzioni e attività in genere professionale di altre categorie di liberi professionisti.
“L\’espressione a norma di leggi e regolamenti, di cui all\’ultimo comma di entrambe le disposizioni impugnate, dei D.P.R. nn. 1067 e 1068 del 1953, deve doverosamente essere intesa non con esclusivo riferimento a professioni regolamentate mediante iscrizione ad albo, ma anche, con riferimento agli spazi di libertà di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di attività intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi”.
Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale l\’assistenza in giudizio), vige il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi gli oneri amministrativi o tributari)”.
Pertanto, ha sbagliato la Corte di appello ad escludere il diritto al compenso, non rientrando le attività professionali svolte dalla consulente (tenuta delle scritture contabili dell\’impresa,redazione dei modelli IVA o per la dichiarazione dei redditi,effettuazione di conteggi ai fini dell\’IRAP o ai fini dell\’ICl,richiesta di certificati o presentazione di domande presso la Camera di Commercio) in quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista dalla legge come condizione di esercizio della professione).

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