Compete al giudice ordinario stabilire se il reato per cui si procede abbia o no natura «ministeriale», cioè sia stato commesso da membri del Governo nell’esercizio delle loro funzioni, radicando dunque la competenza del Tribunale indicato ad hoc dall’articolo 96 della Costituzione e regolato dalla legge costituzionale 1/1989 (oltre che dalla legge ordinaria 219/89). Questo, in sintesi, il senso della decisione assunta dalla Cassazione al termine di un’udienza della sesta sezione penale protrattasi nella serata di giovedì 3 marzo.
Bisognerà aspettare qualche giorno per conoscere le ragioni della decisione. Infatti le motivazioni della sentenza non sono state ancora depositate.
Nessuna comunicazione
In tempi di voci di conflitto di attribuzioni Parlamento-Magistratura sulla competenza del Tribunale dei ministri, la decisione della Suprema corte apre uno spiraglio di luce. Rientra nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria – spiegano in sintesi i giudici con l’ermellino – verificare i presupposti della propria competenza. Laddove il reato in questione è ritenuto comune, si va avanti tranquillamente.
E nel caso in cui il ministro “incriminato” sia anche parlamentare, in capo al giudice non risulta costituito alcun obbligo di informare la Camera di appartenenza dell’interessato. In materia si è pronunciata la Consulta con la sentenza 241/10. Va tuttavia respinta, a giudizio della Cassazione, l’interpretazione della pronuncia costituzionale secondo cui l’obbligo di informare la Camera di appartenenza dell’interessato, sancito dalla legge per il Tribunale dei ministri, dovrebbe valere anche per il giudice ordinario.
Estrazione a sorte
La questione affrontata dal Palazzaccio è tutt’altro che peregrina. Quando si accerta che i reati sono stati commessi dal componente dell’esecutivo nell’esercizio delle sue funzioni, egli deve essere giudicato con tutt’altra procedura. Come funziona il Tribunale dei ministri? Presso il Tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio è istituito un collegio composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano qualifica superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di funzioni, da quello più anziano d’età.
Mezzi propri
Con la recente decisione, infine, la Suprema corte spiega che se l’imputato non è d’accordo alla qualificazione del reato data dal giudice, può sempre utilizzare i rimedi interni al processo come l’impugnazione in appello e in Cassazione.