Stretta della Cassazione sugli appalti pubblici. Commette il reato di turbata libertà degli incanti il proprietario di diverse aziende che si presentano a una gara simultaneamente e con offerte concordate.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con una sentenza del 26 aprile 2011, ha annullato con rinvio l’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello in favore di un imprenditore che si era presentato a una gara con alcune sue aziende, concordando di fatto, le offerte.
Usando come grimaldello il principio della libera concorrenza Piazza Cavour ha chiarito, prima di tutto, che “la conoscibilità del collegamento tra partecipanti alla gara, formale (anche quando in ipotesi la contingenza normativa lo legittimi) o sostanziale, non si traduce nella liceità penale degli accordi preventivi intercorsi sui contenuti delle singole offerte presentate dai collegati, volti ad influire sull\’esito della gara”. Perché, rispetto a tali accordi, l\’art. 353 c.p. ha sempre l\’efficacia di autonoma fonte incriminatrice, vietandoli quale che sia il rapporto a monte tra i partecipanti.
In sostanza, ecco il nuovo principio affermato dalla sesta sezione penale, “nel prevedere anche la condotta della collusione, l\’art. 353 c.p. incrimina tutti gli accordi preventivi tra partecipanti aventi ad oggetto gli specifici contenuti delle rispettive offerte, volti ad alterare la regola indefettibile della libera concorrenza tra i singoli soggetti giuridici che partecipano in via autonoma, regola che, posta innanzitutto a garanzia della pubblica amministrazione quale metodo che assicura il carretto ed efficace perseguimento del “giusto prezzo – secondo i parametri dello specifico bando, è indisponibile per i singoli partecipanti”.
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