Può essere riabilitato il fallito che non ha risarcito i creditori se versa in precarie ed oggettive condizioni economiche e se ha già provveduto a pagare i sui debiti personali.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con una sentenza dell’11 maggio 2011, ha accolto il ricorso di un imprenditore fallito e condannato per bancarotta al quale il Tribunale di Sorveglianza di Roma aveva rifiutato la riabilitazione. I giudici di merito avevano motivato il diniego sostenendo che l’uomo non aveva ancora risarcito i creditori dell’azienda fallita. Lui si era difeso sostenendo che non aveva provveduto a causa delle precarie condizioni economiche e di salute in cui versava.
Un motivo, questo, sufficiente alla Cassazione per riaprire all’imprenditore la strada per la riabilitazione. Infatti, gli atti sono stati rinviati dagli Ermellini al Tribunale di sorveglianza che dovrà rivalutare la sua posizione tenendo presente una serie di principi affermati dal Collegio.
Infatti, si legge in sentenza, la riabilitazione “l\’art. 179 c.p. richiede due condizioni positive, ontologicamente diverse e indipendenti, attenendo, l\’una, ad un profilo temporale e l\’altra ad un aspetto comportamentale: il decorso di tre anni (otto per i recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell\’art. 99 c.p.) dai giorno dell\’esecuzione della pena principale ovvero dell\’estinzione della stessa e l\’aver dato prova effettiva e costante di buona condotta”. Non solo. “Ai fini della verifica del requisito della buona condotta, che deve consistere in fatti positivi e costanti di ravvedimento, la valutazione del comportamento tenuto dall\’interessato deve comprendere non solo il periodo minimo di tre anni dall\’esecuzione o dall\’estinzione della pena inflitta, ma anche quello successivo, fino alla data della decisione sull\’istanza prodotta”.
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