Compravendita,fornitura,associazione in
partecipazione,interpretazione,contratto,aleatorieta\’,prezzo
“e proprio perché coerente con il testo contrattuale
i considerato che una diversa interpretazione avrebbe trasformato il contratto
di cui si dice in un contratto aleatorio, che non sembra sia quello che la
concreta comune intenzione delle parti avrebbe voluto porre in
essere.”
Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
La società A. srl, con atto di
citazione del 27 aprile 2006, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di
Monza la società C. Commerciale srl. perché fosse condannata a pagarle la somma
di Euro. 369.696,000, oltre interessi e rivalutazione monetaria a titolo di
adempimento di un contratto di compravendita o per risarcimento dei danni. A
fondamento di questa domanda l\’attrice esponeva: a) che il 10 dicembre 2004
aveva concluso con la convenuta un contratto con il quale essa attrice si era
obbligata a produrre e a fornire nell\’anno 2005 un quantitativo di almeno 14.000
motori tubolari “Matic” (per tapparelle e per tende da sole) e la convenuta si
era obbligata ad acquistare detto quantitativo minimo di motori a prezzi
scontati e di cui al listino allegato al contratto, b) contrariamente a quanto
pattuito, la convenuta nell\’anno 2005 aveva acquistato soltanto 6.298 unità per
un importo complessivo di Euro 297.566,69; c) nonostante i numerosi solleciti
fatti nel corso del secondo semestre del 2005 la C. non aveva inviato, come di
consueto il preventivo programma trimestrali di ordini relativo alla residua
quantità di motori (la quantità di 7.702). d) questa condotta omissiva aveva
provocato ad essa attrice un pregiudizio economico dal momento che in previsione
dell\’esecuzione degli obblighi contrattuali aveva provveduto ad acquistare i
materiali occorrenti per la produzione dei 14.000 motori ed aveva destinato del
personale dell\’apposita linea produttiva degli stessi.
Si costituiva in giudizio la
C. e resisteva alla domanda eccependo che i motori di cui si dice, nel corso
degli anni 2003, 2004 e 2005, si erano rivelati di scarsa qualità, tanto che i
suoi clienti nel 2003 gliene avevano restituiti 1900, nel 2004 n. 381 nel 2005
n. 401 e nel 2006 n. 117. Sosteneva, altresì, che la domanda di adempimento
contrattuale era infondata perché a norma dell\’art. 5 del contratto del dicembre
2005 l\’efficacia e la validità dello stesso era condizionata all\’acquisto minimo
annuale di 14.000 motori, così che essendo mancata la fornitura minima, non
erano sorte obbligazioni vincolanti.
Il Tribunale di Monza con
sentenza del 25 giugno 2007, in parziale accoglimento della domanda attrice,
condannava la società C. al pagamento in favore dell\’attrice della somma di
Euro. 234.294,00 oltre interessi e rivalutazione a titolo di risarcimento
danni.
Avverso questa sentenza
interponeva appello, davanti alla Corte di Appello di Milano, la società C.
contestando sia l\’interpretazione della clausola contrattuale n. 5, sia
l\’importo liquidato. La società A. resisteva all\’impugnazione, chiedendone il
rigetto e la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte di Appello di Milano,
con sentenza n. 2819 del 2009, rigettava l\’appello e confermava la sentenza di
primo grado, dopo averne corretta la motivazione in ordine al danno,
distinguendo le componenti del danno emergente e del lucro cessante. A sostegno
di questa decisione la Corte milanese osservava: a) il contratto concluso tra le
parti in causa è da qualificare siccome contratto di compravendita. B) non era
verosimile che, con la previsione dell\’acquisto del quantitativo previsto, le
parti avessero subordinato ad esso l\’applicazione dei prezzi scontati, così che
l\’acquirente sarebbe stata libera di acquistare un quantitativo minore con la
sola conseguenza che lo avrebbe pagato a prezzo pieno, di listino, perché la
personalizzazione dei motori richiedeva una riorganizzazione della produzione
con un aggravio di spese di personale e di materiale. Piuttosto, la previsione
contenuta nel secondo periodo del primo comma dell\’art. 5 del contratto che
l\’efficacia e la validità del contratto erano subordinate al minimo acquisto
annuale riguardava esclusivamente le altre clausole contrattuali secondarie.
La cassazione della sentenza
n. 2819 del 2009 della Corte di Appello di Milano è stata chiesta da C. con
ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria. La società A. , in
questa fase non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – La società C. Commerciale
srl, lamenta: a) con il primo motivo la violazione e falsa applicazione di norma
di diritto art. 2697 cod. civ.. b) con il secondo motivo, la violazione e falsa
applicazione di norma di diritto art. 1226 cod. civ.. c) Con il terzo motivo la
violazione e falsa applicazione di norma di diritto art. 1223 cod. civ.. d) Con
il quarto motivo l\’insufficienza e contraddittoria motivazione circa un fatto
decisivo per il giudizio, e) con il quinto motivo, la violazione e falsa
applicazione di norma di diritto art. 1225 cod. civ.. f) con il sesto motivo:
l\’insufficiente e contraddittoria motivazione. Punto 2.2.1 della sentenza n.
2819 del 2009. g) con il settimo motivo: la violazione falsa applicazione art.
1453 cc. e art. 112 cpc.. Avrebbe errato la Corte milanese, secondo la
ricorrente:
a) nell\’aver condannato la C.
a versare un importo a titolo di risarcimento danni, nonostante l\’A. non avesse
offerto alcuna prova circa l\’esistenza dell\’ammontare del danno emergente e del
lucro cessante. Per altro, ritiene la ricorrente, i Giudici di merito non hanno
neppure ritenuto necessario avviare un\’indagine istruttoria. E di più, il
Giudice di primo grado ha parlato semplicemente di mancato guadagno della A.
senza distinguere danno emergente e lucro cessante e la Corte di Appello di
Milano ha ritenuto di correggere l\’errore del Giudice di primo grado attribuendo
all\’importo liquidato le voci sia di lucro cessante che di danno emergente.
b) nell\’aver ritenuto di
liquidare il danno facendo riferimento ad un prezzo del prodotto finito e
moltiplicando tale prezzo per i motori non forniti.
Epperò, un criterio di tale
fatta rientra di fatto in una liquidazione equitativa del danno non praticabile
nel caso di specie perché la liquidazione equitativa del danno è possibile solo
se il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.
c) per aver trascurato la
norma di cui all\’art. 1124 cod. civ. avendo liquidato un danno anche se la parte
attrice non aveva identificato e quantificato le proprie richieste
risarcitorie.
d) per aver ritenuto corretta
l\’individuazione del danno nel prezzo unitario dei motori pattuito tra le parti
perché danno e prezzo del prodotto finito non possono coincidere. È risaputo
infatti che sul prezzo del prodotto finito incide il costo di produzione. Il
costo di produzione è dato da un insieme di fattori tra loro assolutamente
variabili che non rientrano e non possono rientrare nella nozione di danno così
come previsto dall\’articolo 1223 cod. civ. Nella fattispecie in esame, non
essendo stato mai prodotto nulla il costo di produzione non può gravare certo su
quanto liquidato a carico della C. .
e) per non aver tenuto in
conto che fosse evidente la prevedibilità da parte della A. del fatto che la C.
Commerciale mai avrebbe acquistato 14000 motori, considerato che la C. negli
anni 2002, 2003, 2004 non ha mai rispettato i presunti vincoli di acquisto.
f) per aver ritenuto che la
clausola di cui all\’art. 5 del contratto intercorso tra le parti (secondo cui
“l\’efficacia e la validità del contratto (erano) subordinate al minimo acquisto
annuale”) non aveva il significato di rendere inefficace il contratto in ogni
sua parte nel caso in cui non venisse rispettato l\’acquisto del minimo dei
motori previsto, così come era stato sostenuto dall\’attuale ricorrente, anche
nella fase di appello, ma il significato di riferirsi alle altre clausole
contrattuali secondarie di non meglio specificato contenuto.
g) per non aver considerato
che il risarcimento del danno è correlato alla domanda di adempimento o alla
domanda di risoluzione e non può essere alternativo ad esse. Pertanto, specifica
la ricorrente, il Giudice, affermando che la domanda di adempimento non fosse
più possibile e che fosse i accoglibile solo la domanda di risarcimento del
danno formulata in via alternativa, si sarebbe sostituito alla parte,
pronunciando, implicitamente, una risoluzione del contratto. Se poi non si
volesse dare tale lettura alla motivazione in ogni caso, secondo sempre la
ricorrente, si appaleserebbe una violazione della norma citata per aver il
Giudice introdotto un\’azione autonoma a prescindere dal contratto e/o presunta
violazione dello stesso che ne avrebbe dovuto determinare i presupposti.
2 – Appare opportuno esaminare
anzitutto e congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto motivo, per
l\’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, essendo tutti e tre la
specificazione di una stessa censura, considerato che si ritiene errato, sia
pure sotto profili diversi, il rinvio di cui alla sentenza della Corte milanese,
al prezzo di vendita, quale criterio per determinare il quantum del danno. La
censura in essi contenuta è fondata, e va accolta, per quanto di ragione, perché
il rinvio al prezzo unitario di vendita seppure avesse potuto identificare un
criterio idoneo a guidare la quantificazione del danno subito dalla C. , in
concreto, però, la Corte avrebbe dovuto chiarire – e, non sembra, lo abbia fatto
– in quale misura quel prezzo consentiva di identificare il mancato guadagno e
in quale altra misura indicava il lucro cessante soprattutto, perché – come è
detto nella stessa sentenza – la produzione della quantità dei motori, oggetto
di causa, era stata programmata, ma non anche realizzata
2.1.a). – Va qui osservato che
l\’art. 1223 c.c. stabilisce che “il risarcimento del danno per l\’inadempimento o
per il ritardo deve comprendere, così la perdita subita dal creditore come il
mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. La norma
sintetizza in poche battute il contenuto minimo del risarcimento, introducendo
un concetto di danno “integrale”,.comprensivo sia della diminuzione subita, e
cioè il danno che il debitore adempiente avrebbe potuto evitare, sia del mancato
incremento patrimoniale di cui il creditore avrebbe potuto godere se la
prestazione fosse stata eseguita. Insomma, il risarcimento del danno è
l\’obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella
situazione in cui si sarebbe trovato se l\’inadempimento non si fosse verificato.
Semplice sarà per il creditore provare il danno emergente: essendo quest\’ultimo
una posta attiva del patrimonio del soggetto, basterà dimostrarne l\’attualità e
la sua conseguente lesione. Più difficoltosa sarà, invece, la prova del lucro
cessante il creditore si vedrà costretto a provare il mancato guadagno che gli
sarebbe potuto derivare da quella determinata operazione economica. Sarà tenuto,
quindi, a dare la prova di un bene o un interesse che non sono mai venuti ad
esistenza, ma che, se si fossero concretizzati (in mancanza dell\’inadempimento),
sarebbero stati sicuramente di sua spettanza. Tuttavia, quest\’ultima voce di
danno può essere dimostrata, anche in via presuntiva.
2.1.b). – Ora, nell\’ipotesi in
esame, il danno “integrale”, ovvero, l\’obbligazione diretta a reintegrare il
patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se
l\’inadempimento non si fosse verificato, non poteva che essere rappresentato
dalla perdita che la società creditrice aveva subito: in termini di costi
sostenuti per l\’acquisto delle materie prime con cui produrre i motori, e in
termini di riorganizzazione della linea di produzione per le richieste
“personalizzazioni” e dal lucro cessante quale perdita di quel guadagno che la
società A. avrebbe ottenuto se la società C. avesse assolto l\’obbligo di
acquistare i restanti 7702 motori. Tuttavia, la Corte milanese ha mancato di
chiarire se il prezzo unitario di vendita del singolo motore, essendo stato
scontato, indicava il prezzo di un motore già prodotto, oppure il costo
necessario per produrlo, né ha specificato se le materie prime acquistate erano
riutilizzabili ed, eventualmente, in quale misura.
3. – Il primo motivo rimane
assorbito dall\’accoglimento del secondo, terzo e quarto, per quanto in
motivazione.
4 – Il quinto motivo è
infondato e non può essere accolto perché non vi è alcuna connessione tra
l\’inadempimento contrattuale, oggetto di causa, e il comportamento della C. in
ordine ad altri precedenti contratti, e comunque, nell\’ipotesi in esame
sussistono i presupposti della fattispecie di cui all\’art. 1225 cod. civ.
considerato che, nel caso in esame, il rifiuto, della C. , di adempiere
l\’obbligo di acquistare è stato (ed, è) consapevole volontario.
3.1. – Va qui osservato che in
tema di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, il dolo del
debitore che, ai sensi dell\’art. 1225 cod. civ., comporta la risarcibilità anche
dei danni imprevedibili al momento in cui è sorta l\’obbligazione, non consiste
nella coscienza e volontà di provocare tali danni, ma nella mera consapevolezza
e volontarietà dell\’inadempimento.
4. – Infondato è anche il
sesto motivo, che, pertanto, non può essere accolto, non solo e non tanto perché
la ricorrente si propone di ottenere una nuova valutazione della clausola
contrattuale di cui si dice, ovvero un nuovo e diverso giudizio di merito,
inibito in cassazione, ma, soprattutto, perché l\’interpretazione della clausola
di cui all\’art. 5 del contratto intercorso tra le data dalla Corte milanese è
convincente proprio perché coerente con il testo contrattuale i considerato che
una diversa interpretazione avrebbe trasformato il contratto di cui si dice in
un contratto aleatorio, che non sembra sia quello che la concreta comune
intenzione delle parti avrebbe voluto porre in essere.
5. – Inammissibile è il
settimo motivo perché la statuizione di cui alla sentenza del Tribunale secondo
la quale “da ultimo si precisa che è stata accolta la domanda di risarcimento
del danno formulata in via alternativa e non quella di adempimento in quanto
quest\’ultima è condizionata all\’offerta della controprestazione e all\’esecuzione
della stessa (…)” non risulta sia stata impugnata e, come tale, non può essere
censurata per la prima volta in Cassazione essendo ormai coperta dal giudicato
interno. Né, nell\’ipotesi in esame, la richiesta di risarcimento danni era
subordinata alla risoluzione del contratto considerato che quella domanda era
relazionata all\’inadempimento dell\’obbligo di acquistare.
In definitiva, vanno accolti
il secondo, terzo e quarto motivo per quanto in motivazione, dichiarato
assorbito il primo, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata e il
processo rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Milano la quale
provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo,
il terzo e il quarto motivo del ricorso per quanto di ragione, dichiara
assorbito il primo motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per
le spese di questo grado di giudizio.
Depositata in Cancelleria il
17.05.2012