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LA POLITICA IN VETRINA: Salute in movimento

Torno volentieri sul tema della “pedonalità di Corso
Matino”, per evidenziare i risultati di uno studio commissionato negli Stati
Uniti d’America dalla cui lettura, forse, possiamo imparare qualcosa. L’articolo,
per quanto lungo, è molto interessante per cui invito soprattutto gli
amministratori pubblici, i tecnici e cittadini comuni a leggerlo con
particolare attenzione.

Buona lettura:

RIDISEGNARE LE CITTA\’ A MISURA D\’UOMO

“””Città pedonalizzate, ciclabili, respirabili. La parola
d’ordine per le città del futuro è densificazione del tessuto urbano e
rarefazione delle auto. Da qui al 2030 i centri urbani globali dovranno
ospitare un miliardo di nuovi cittadini, che si spostano là dove c’è più lavoro,
più ricchezza e più vita sociale. Ma le metropoli non possono continuare ad
espandersi, come hanno fatto negli ultimi 50 anni: per il pendolarismo urbano
il limite massimo è un’ora di viaggio.

D’altra parte, non possono nemmeno consentire l’ingresso
di milioni di auto nei centri cittadini, già oggi troppo inquinati. Di
conseguenza, occorre riconvertire all’uso abitativo le strutture produttive
dismesse, ma soprattutto potenziare i trasporti pubblici e riconquistare spazi
interstiziali per la collettività ed il verde. <<Le città avanzate non
sono quelle dove i poveri vanno in macchina, ma dove i ricchi prendono i mezzi
pubblici>>
, sostiene Enrique
Penalosa
, il mitico sindaco verde di Bogotà. <<I pedoni, i ciclisti e gli utenti dei mezzi pubblici sono più
importanti degli automobilisti>>,
gli fa eco Micheael Bloomberg, il sindaco che ha riempito New York di piste
ciclabili. Su queste premesse cresce l’economia della prossimità e arretra lo sprawl.

<<A Stoccolma come a Manhattan, i prezzi delle case
salgono in relazione alla possibilità di
raggiungere a piedi scuole, ristoranti, parchi e mezzi pubblici>>, fa
notare Alexander Stahle, l’architetto e urbanista svedese, che per primo ha
steso una mappa dei “sociotopi”, ovvero gli spazi pubblici, come parchi o
piazze, che presentano un alto valore sociale nel loro utilizzo da parte dei
cittadini. Basta aprire un annuncio immobiliare di una grande città
nordamericana o nordeuropea per capire cosa intende Stahle: un buon punteggio
sulla scala dell’accessibilità pedonale (walkability
score)
viene certificato e presentato agli acquirenti come elemento
importante ai fini della valutazione dell’immobile. Il mercato ha già
incorporato l’economia della prossimità.

Il grado di accessibilità pedonale è un dato usato anche
per misurare l’attrattività delle aree urbane. In base ad un’analisi spaziale
condotta nel 2011 dallo studio di Stahle su settemila vendite di appartamenti a
Stoccolma, per conto della municipalità, risulta evidente l’importanza
fondamentale delle distanze pedonali o ciclabili dai trasporti pubblici per
stabilire il valore di un’area, mentre la prossimità alle vie d’accesso
automobilistiche non riveste alcuna rilevanza. Anzi. Il traffico è considerato
uno dei principali demeriti di un’area: le auto sporcano l’aria, occupano più
spazio dei trasporti pubblici e causano ogni anno 39 milioni di feriti e un
milione e duecentomila morti per colpa di incidenti stradali, oltre alle
vittime dell’inquinamento.

Malgrado ciò, le strutture urbane dipendenti dall’auto
sono pesantemente sovvenzionate: l’enorme spazio occupato dai parcheggi ha una
priorità molto più alta delle piste ciclabili e dello spazio pedonalizzato
nelle politiche locali e nessuno valuta i costi sociali e ambientali causati
dalle autostrade e dalle vaste periferie anonime che si formano ai loro
margini.

Ma questi orientamenti che hanno guidato la
pianificazione territoriale negli ultimi decenni, stanno cambiando. Non a caso
1/3 dei mall sei suburbs[1]è fallito o sta chiudendo. La metropoli USA con un alto grado di accessibilità
pedonale, come Manhattan o San Francisco,
hanno un Pil procapite superiore al 38%, in media, rispetto alle città
dominate dal traffico, secondo lo studio della George Washington University
School of Business insieme a Locus, un programma di Smart Growt America. Lo
studio ha scoperto che gli abitanti delle aree metropolitane più compatte hanno costi di alloggio e
trasporti inferiori agli altri e una mobilità economica superiore, vivono più a
lungo e sono più in salute, con meno casi di obesità e di incidenti. Quindi,
vivere in centro è più sano, più sicuro e più conveniente che abitare in periferia.

La prossimità crea vivibilità, socialità, innovazione.
Questo è il motivo per cui città come Londra o Milano hanno limitato l’accesso
del centro alle macchine, Barcellona o Tel Aviv hanno riscattato gli spazi
portuali dismessi all’uso collettivo, e Parigi o Berlino hanno riconvertito a
parchi pubblici i binari morti di Gleisdreieck o della Petite Ceinture. Ma non
basta. <<La trasformazione sostenibile deve diventare centrale anche per
le regioni circostanti, nel caso di Milano la Lombardia>>, sostiene
Edoardo Croci, direttore di ricerca allo Iefe, il centro di economia e politica
dell’energia e dell’ambiente della Bocconi, oltre che artefice dell’Ecopass
quando era Assessore alla mobilità del Comune di Milano e presidente di
MilanoSiMuove, l’associazione che ha promosso i 5 referendum sull’ambiente tre
anni fa. Milano è sulla buona strada nell’economia della prossimità: solo il
30% degli spostamenti si verifica via
auto, mentre nel resto d’Italia il rapporto è inverso e la quota dell’auto
prevale, con il 60-70% degli spostamenti, in base al Libro Bianco sui trasporti
dell’Eurispes. Eppure le richieste avanzate dai milanesi con i referendum
finora sono state disattese: non più del 20% delle proposte sul traffico, il
verde e l’uso efficiente dello spazio pubblico è stato realizzato. Siamo solo
all’inizio[2].




[1] Centri
commerciali

[2] Dal Sole
24 Ore del 20 luglio 2014

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