spot_img

L’interdittiva antimafia, un rischio o una opportunità!

L’interdittiva antimafia, un rischio o una opportunità!

 

Quando facevo il finanziere in terra di Calabria, al Comando di Reparti deputati al contrasto al crimine organizzato, uno degli impegni principali riguardava l’attività di prevenzione sul territorio.

In tal senso, si svolgevano indagini mirate su personaggi legati o contigui alla criminalità organizzata al fine di proporre, fra l’altro,  una Misura di prevenzione di carattere personale (Soggiorno obbligato, Divieto di soggiorno o  Sorveglianza speciale).

Senza entrare troppo nel merito della procedura seguita, oggi inserita nel D.lgs 159/2011, vorrei ricordare i caratteri principali in base ai quali veniva attivata la richiesta di Misura di prevenzione inviata al Tribunale del territorio, quali:

  1. Indiziati di appartenenza ad associazione di cui all’art.416bis del Codice penale, con riferimento all’esercizio della “forza dell’intimidazione e vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà, finalizzate ad acquisire il controllo – diretto o indiretto di attività economiche – ottenere concessioni, licenze o appalti pubblici nella pubblica amministrazione;
  2. Un tenore di vita particolarmente elevato e sproporzionato ai redditi dichiarati;
  3. Accompagnarsi a personaggi di dubbia moralità;
  4. Precedenti penali specifici per reati di mafia ovvero di carattere generale contro la persona o contro il patrimonio;
  5. Cointeressenze commerciali o partecipazioni societarie  con soggetti di dubbia moralità (socio in affari);
  6. Avere conviventi ovvero legami parentali con soggetti già condannati per delitti di mafia.

Fatta questa debita ed importante premessa, mi capita di leggere “interdittive antimafia” emesse dall’Autorità prefettizia nella presunzione più assoluta che il semplice rapporto parentale, sia pure stretto (pensiamo ad un genitore o ad un fratello), possa di per sé bastare per essere posto a base, quale presupposto per una concausa di scioglimento di un Consiglio Comunale per infiltrazione mafiosa o interrompere un’attività imprenditoriale, con conseguenze nefaste per il territorio. Insomma, bisogna cercare il giusto equilibrio fra la esigenza di assicurare la sicurezza pubblica isolando e perseguendo fenomeni di criminalità e malaffare ed il necessario equilibrio con l’esercizio d’impresa.

In questi casi, a mio avviso, quando mancano elementi investigativi indicati ai punti da 1) a 5) che precedono, bisognerebbe adottare una cautela maggiore per meglio rispettare il dettato costituzionale di cui all’articolo 41 a proposito della libertà d’impresa.

In questi casi, senza eccedere in un senso o nell’altro, sarebbe sufficiente aspettare l’esito del giudizio da parte delle Autorità competenti opportunamente interessate – Tribunale amministrativo regionale o Consiglio di Stato.

In questo modo, verrebbe assicurato il rispetto della legalità, senza trascurare in alcun modo esigenze analoghe meritevoli della massima tutela da parte dell’Istituzione.

In questa ottica dovrebbero porsi tutte le Istituzioni, a cominciare dagli amministratori degli Enti locali  che, più di altri e loro malgrado, diventano protagonisti della sopravvivenza di un territorio.

Non fare questo significherebbe, come ripeteva spesso un grande pensatore siciliano – Leonardo Sciascia – alimentare e dare credito ai “Professionisti dell’antimafia” che non solo non serve a nessuno, ma è capace di distogliere l’attenzione dalla gravità del problema.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CATEGORIE

ULTIMI ARTICOLI

Ti potrebbero interessare anche: