L’antiriciclaggio a “Rischio alto”: terrore allo sportello!
Sovente, mi capita di leggere istruzioni emanate dalle Direzioni generali di intermediari finanziari ad uso e consumo delle filiali, riguardanti l’applicazione concreta delle norme – primarie e secondarie – della normativa antiriciclaggio esistente nel nostro Paese.
In termini generali, la normativa primaria impone ai soggetti obbligati – in primis banche e professionisti – di fare una valutazione di merito sul regolare esercizio di una dichiarata attività economica, secondo una corretta dinamica imprenditoriale: utilizzo conto corrente aziendale, coerenza della operatività registrata in relazione all’attività economica dichiarata e certificata dalle registrazioni camerali (partita Iva, statuto, atto costitutivo etc.) a seconda che trattasi di attività commerciali (ingrosso, dettaglio) o prestazioni di servizi (appalti pubblici, consulenze etc.).
Insomma, per farla breve, le transazioni economiche registrate sui rapporti devono avere e conservare una strumentalità con l’oggetto sociale dichiarato (un commercio all’ingrosso non può versare denaro contante mentre al contrario, un dettagliante può farlo a condizione che, registri i costi interamente tracciabili).
Quando poi si passa alla normativa secondaria, la situazione volge al peggio, significando che il concetto viene enfatizzato all’estremo, fino a perdere il senso della misura, del buon senso, della razionalità.
Anche qui, voglio fare qualche esempio per non dare l’impressione di abbaiare alla luna, andando a leggere le norme della Banca d’Italia del 30 luglio 2019 “Disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”.
Andiamo a leggere il punto 6) della lettera A) dell’allegato 2 delle citate disposizioni a proposito dei “Fattori di rischio elevato”, laddove si raccomanda di far scattare l’Adeguata verifica rafforzata che, testualmente si legge:
“Tipo di attività economica caratterizzata da elevato utilizzo di contante” .
Pratica operativa
Rimanendo nell’alveo di massima pericolosità per effetto dei fattori di rischio elevato e quindi dell’Adeguata verifica rafforzata, oggi ho esordito dicendo che, alla luce delle citate disposizioni Bankit, gli intermediari finanziari rilanciano tali precetti dicendo grosso modo:
“la riconducibilità delle attività economiche a quelle tipologie che per loro natura presentano particolari rischi di riciclaggio e che, per questo, impongono specifiche cautele (ad esempio, attività economiche caratterizzate dalla movimentazione di elevati flussi finanziari, da un uso elevato di contante)”.
Con queste disposizioni, disattendendo completamente ogni sorta di valutazione specifica connessa all’Approccio basato sul rischio, cosa fanno in concreto le banche ed i professionisti sul territorio?
In pratica, asetticamente, senza sapere né leggere e né scrivere prendono tutte quelle attività caratterizzate da significativa movimentazione di denaro contante e le trasferiscono nella zona alta della classifica di rischio. Pensiamo ai supermercati alimentari, ai distributori di carburanti, alle farmacie, ai tabacchi e super enalotto e chi più ne ha più ne metta!
Con queste premesse, mi dite dove vogliamo arrivare?
Così facendo, queste Direzioni generali – terrorizzate dal contesto sanzionatorio – e pensando che in questo modo salvano il salvabile, estremizzano l’applicazione della normativa secondaria fino all’inverosimile.
Questi soloni di periferia che, ovviamente, se e quando parliamo di antiriciclaggio, non sanno neanche dove stanno di casa, scrivono queste amenità, costringendo la rete ad affogare in una montagna di carte ed adempimenti inutili, farraginosi, capaci soltanto di far perdere il senso e l’obiettivo che la stessa normativa di contrasto al malaffare impone.
Intanto, così è, se vi pare!
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