Tre generali nell’inchiesta sulle spie
È lo Stato che indaga su se stesso, in una inchiesta in cui passo dopo passo emergono rapporti organici e ravvicinati tra la squadra di dossieristi guidata dall’ex poliziotto Carmine Gallo e ambienti delle istituzioni. Nelle intercettazioni agli atti dell’indagine milanese emerge come Gallo e il suo azionista di riferimento, il presidente della Fiera di Milano Enrico Pazzali, si suddividano i contatti: Gallo con gli apparati di polizia e l’intelligence, Pazzali con le istituzioni, la politica e la magistratura. «Enrico va in Procura almeno una volta alla settimana a parlare con i magistrati, tant’è che tutti pensano che sia un informatore della Procura», dice il braccio destro di Gallo, Samuele Calamucci.
La Procura di Milano, man mano che l’indagine nata per caso su Gallo prendeva forma, si è resa conto che quanto emergeva la sfiorava da vicino, e che coinvolgeva forze di polizia da sempre al suo servizio: a partire dalla Guardia di finanza, con uno dei suoi massimi esponenti, il generale Cosimo Di Gesù, comandante della Regione Sicilia, in rapporti così stretti con Pazzali da usarlo come ufficio di collocamento. «I tre parlano poi di una ragazza da inserire nel loro team che godrebbe anche di una raccomandazione istituzionale da parte del Generale della Guardia di Finanza, Di Gesù», si legge nelle carte. «Okay – si vanta Pazzali in un’altra intercettazione – possiamo fare perché lui è il mio amico, è un Generale a due stelle ed è, sarà uno dei prossimi comandanti generali». Di Gesù è un nome che conta, legato all’ex comandante Giuseppe Zafarana, e soprattutto ufficiale di fiducia dell’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone. E non è l’unico alto ufficiale in contatto col gruppi di via Pattari: quando Pazzali riceve una soffiata su un’indagine a suo carico, «un suo amico, il Generale della Guardia di Finanza», racconta Gallo a Calamucci, «gli ha detto guarda che il dottor Storari indaga su di te». «Di Gesù?», «No, uno di via …». L’indirizzo del generale chiacchierone, purtroppo, risulta incomprensibile. E quando un finanziere al soldo della banda, il leccese Giuliano Schiano, manifesta i suoi timori, «Calamucci suggerisce di dire a Schiano che comunque lo tuteleranno anche per il tramite del Generale di divisione della Guardia di Finanza, Giuseppe Magliocco». «Comandante della Regione Toscana, annotano a piè di pagina gli investigatori.
La squadra di carabinieri varesini dai coloriti nomi in codice («Mistral. Grillo, Tackle, Nemo») è guidata da un semplice tenente colonnello, David Pirrera, ma sembra muoversi senza timori reverenziali in una indagine che chiama in causa livelli alti delle istituzioni, e che porta a pedinare e indagare fin dentro lo stesso Palazzo di giustizia milanese. Nelle carte vengono riportati i pagamenti per cifre rilevanti che la Procura generale di Milano effettua alla società di intercettazioni dove lavora uno degli indagati, Gabriele Pegoraro: tra i servizi offerti, persino la clonazione del telefono del difensore di Cesare Battisti per localizzare il terrorista latitante.
Di fatto, gli spioni di via Pattari erano al centro di una rete che comprendeva grandi aziende di Stato e private, esponenti politici, servizi segreti, vertici delle forze di polizia. È quasi miracoloso che l’inchiesta sia potuta andare avanti senza fughe di notizie o contromanovre. Come la marcia di avvicinamento sia potuta proseguire è forse in parte raccontato in una informativa della solita squadra di carabinieri, stesa due anni fa, quando l’indagine era appena partita: 86 pagine, sugli uomini dei servizi che frequentavano via Pattari. Le prime quarantuno pagine, sono tutte coperte da omissis. Quando vedranno la luce, forse si capirà meglio cosa sta accadendo.
Fiduciosi nell’operato della magistratura, aspettiamo il processo!