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Assoluzione in Tribunale: Il fatto non sussiste!

Assoluzione in Tribunale: Il fatto non sussiste!

 

Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come rato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile (85 ss. c.p.) o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo – ex 1° comma dell’art. 530 Codice di procedura penale.

Nell’ultimo periodo, pur nelle more di conoscere più in dettaglio il dispositivo  delle diverse sentenze – Tribunale o Corte di Appello – la cronaca ci riferisce di numerosi casi sui quali tanto inchiostro è stato consumato nella fase delle indagini preventive, in qualche caso anche con misure cautelari, nei quali la giustizia terrena ha statuito conclusioni che, per quanto inattese, rovesciano completamente le diverse narrazioni a completo beneficio degli imputati: Assoluzione perché il fatto non sussiste.

Solo per completezza parliamo dell’ex Sindaca di Torino Chiara Appendino, imputata di falso in bilancio, l’ex numero uno di Monte Paschi di Siena Giuseppe Mussari, imputato di manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all’autorità di vigilanza, il Presidente in carica della Regione Lombardia Attilio Fontana, imputato con altri soggetti in “frode in pubbliche forniture” per la storia dei camici in tempi di pandemia e altri che non sto a dire.

A voler allargare la platea abbiamo tantissimi altri casi come quello di Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona, del Presidente dell’ENI Claudio Descalzi, accusato di corruzione internazionale, l’ex Presidente Regione Campania Antonio Bassolino, accusato di falso e abuso d’ufficio, l’imprenditore barese Gino Carlone, imputato per usura ed assolto dopo 14 anni di agonia giudiziaria, l’ex sindaco di Apricena (FG) Antonio Potenza, imputato per peculato, concussione e abuso d’ufficio che per un funzionario pubblico non manca mai   e altri ancora.

Ho voluto ricordare questa carneficina umana per via giudiziaria non per evidenziare le lacune della nostra malandata giustizia, ma per indurre a qualche riflessione coloro i quali che, chiamati dalla Istituzione a fornire una “collaborazione attiva” nella lotta al riciclaggio di denaro sporco o al malaffare in genere, sostituendosi al giudice naturale e pensando di fare cosa giusta e gradita, di fronte ad una indagine preliminare svolta dall’autorità giudiziaria, assumono d’iniziativa, provvedimenti restrittivi e direi fuori dal mondo e dal comune buon senso.

Pratica operativa

Per chi non lo avesse ancora compreso, sto parlando della zelanteria posta in essere dai soggetti obbligati e per essi mi riferisco al mondo delle banche che, di fronte ad indagini giudiziarie, nelle quali risultano coinvolti in varia misura, clienti della stessa banca, per lo  più soggetti economici titolari di attività imprenditoriali, adottano misure ostruzionistiche fino alla chiusura immediata del rapporto di conto.

Già in passato ho parlato di “Indagini giudiziarie e demerito creditizio”, stigmatizzando l’operato di quegli istituti che revocano affidamenti anche nei confronti di soggetti economici le cui attività risultano assolutamente lineari e coerenti con l’oggetto sociale – https://www.giovannifalcone.it/zelo_bancario__inutile__dannoso_e_controproducente_/

Oggi, alla luce di quanto registro nella quotidianità, la situazione è decisamente peggiorata nella misura in cui, non solo non si concede credito – già grave per le tante ragioni che ho indicato nell’articolo – ma si procede alla chiusura d’ufficio del rapporto di conto, determinando in molti casi la morte civile dell’impresa molto prima di una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità giudiziaria.

Penso che bisogna porre qualche toppa, qualche argine a tale modus operandi che, non solo non fornisce alcun valore aggiunto in termini di “legalità” ma distrugge qualunque corretta dinamica imprenditoriale in danno dello sviluppo del sistema Paese.

Infatti, l’avvio di una indagine o addirittura una notizia negativa di stampa, in assenza di riscontri ulteriori, non può e non deve rappresentare una dirimente per la prosecuzione del rapporto di conto.

E quali sono questi riscontri ulteriori che bisogna osservare?

I riscontri dovranno riguardare la verifica circa il corretto utilizzo del credito, per finalità strumentali all’attività d’impresa – come è meglio specificato nell’articolo – ma soprattutto la coerenza delle movimentazioni in rapporto all’attività economica esercitata.

In questi casi, quando una posizione – persona fisica o giuridica, quale può essere una ditta individuale o una società – prima di procedere alla chiusura del rapporto che sembra, ahimè, la strada prescelta, fate una verifica sul Documento unico di regolarità contributiva e una liberatoria dall’Agenzia delle entrate circa l’osservanza degli adempimenti contributivi verso l’Inps e fiscali verso l’amministrazione finanziaria.

Questa documentazione, potrà essere richiesta direttamente all’amministratore dell’attività economica.

Verificata in bonis questa situazione – fiscale e contributiva – sono a chiedervi: vi sembra giusto buttare a mare un cliente del genere solo perché è uscita una indiscrezione di stampa od anche una inchiesta della magistratura, sovente basata sul nulla?

Riflettiamo insieme in doveroso silenzio!

 

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