venerdì, Aprile 26, 2024
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Antiriciclaggio: Guardia di finanza, anomalie apparenti, sanzioni certe!

Antiriciclaggio: Guardia di finanza, anomalie apparenti, sanzioni certe!

 

 

<<Frequenti operazioni di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante o per il tramite di una pluralità di altri intermediari, laddove non giustificate dall’attività svolta dal cliente>>. 

Con l’articolo di oggi ho voluto esordire con il punto 1.2 – 1° paragrafo – degli indici di anomalia, contenute nelle “Istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette” della Banca d’Italia – Edizioni 2001.

Per la esperienza personale del settore penso che per il nostro Paese o meglio i contribuenti italiani, di qualunque genere ed estrazione, non ci sia norma più nefasta e ingiusta di questa, avendo io stesso constatato almeno in due circostanze la portata della citata norma e i danni che riesce a provocare per una sua errata applicazione in concreto.

La Guardia di finanza, nel corso dell’esercizio della sua attività istituzionale, il precetto anzidetto, di proposito,  non lo legge  per intero, ma, per fare le contestazioni allo sventurato di turno lo legge a metà [1] e questo basta, anche per il Ministero e, in qualche caso la stessa lettura parziale viene fatta dall’Autorità giudiziaria fino alla Suprema Corte di Cassazione.

Per meglio suffragare questo concetto che detto così potrebbe apparire come una sorta di lamentela ingiustificata voglio raccontare due episodi realmente accaduti che meglio possono esprimere il concetto appena enunciato.

  1. Segnalazione di operazione sospetta

A gennaio del 2000, da poco assunto in un Gruppo bancario ad  occuparmi della funzione di Responsabile aziendale antiriciclaggio intercettai un conto corrente cointestato nella disponibilità di due studentesse, poco più che ventenni, sorelle, sul quale erano confluiti circa 400 milioni di vecchie lire attraverso venti versamenti, ciascuno di poco inferiore alla soglia obbligatoria di registrazione.

L’intera operatività che ritenni anomala, effettuata nell’arco di un mese, anche per il fatto che le stesse erano prive di reddito ed il padre era un dipendente pubblico.

Motivatamente, ritenendo sospetta la descritta operatività inoltrai una Sos. Dopo qualche giorno ricevetti un rilievo verbale da un dirigente dell’UIC dove venivo bonariamente richiamato al fatto che, a fronte della locuzione “senza ritardo” della vigente normativa, avessi proceduto all’inoltro dopo due anni dalla data delle operazioni. Per sdrammatizzare ricordo che risposi: “Senza ritardo va bene, ma due anni in confronto all’eternità non sono niente e comunque meglio tardi che mai”.

Dopo qualche tempo, arrivò la pattuglia della Guardia di finanza e, nel corso degli accertamenti svolti rinvenne una operatività in capo a due cugine dei nominativi segnalati dallo scrivente, in tutto identiche per importo (400 milioni di lire), per tempi e modalità di versamento.

Immediatamente, vennero da chi scrive per contestarmi la “omessa segnalazione di operazione sospetta”  laddove feci prontamente notare che nel 1998 ero un Ufficiale della Guardia di finanza senza alcun onere di “collaborazione attiva”.

In accoglimento delle mie legittime rimostranze, modificarono immediatamente il destinatario della contestazione, indicando il mio predecessore nell’incarico.

Alla “Memoria difensiva” che andai a produrre al riguardo – ex art.18 legge n.689/81 – feci notare agli esimi militari della Guardia di finanza che il padre dei nominativi dagli stessi indicati poteva assolutamente esprimere una potenzialità economica in quanto esercitava un “Commercio ingrosso e dettaglio di abbigliamento”, con cinque punti vendita ed un fatturato annuo di oltre dieci miliardi delle vecchie lire.

Con questa motivazione, si poteva ragionevolmente ritenere giustificata siffatta operatività in funzione alla riferita attività economica.

La contestazione venne naturalmente archiviata dal Mef di lì a poco!

  1. Omessa segnalazione di operazione sospetta

Questo è stato un caso inverso al precedente ovvero, prelevamenti in contanti invece che versamenti, di poco al di sotto della soglia obbligatoria di registrazione[2].

Tutto nasce sulla scorta di una contestazione del Comando Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di finanza della Regione Sicilia dell’aprile 2000 che, nel corso di taluni accertamenti, ebbe modo di rilevare l’esistenza di un rapporto di conto corrente intestato alla “Cooperativa Interprovinciale Ortofrutticoli” arl, in essere presso l’agenzia 2 di Bagheria (PA) del Banco di Sicilia (ora UniCredit).

Nel periodo interessato all’indagine (1995/1998), il rappresentante legale della citata cooperativa, con frequenza quasi giornaliera – come è detto a pagina 4 della sentenza n.25735/2017 di Cassazione in commento – effettuò una serie di prelevamenti di denaro contante dal conto aziendale, emettendo assegni per oltre 400 milioni di lire, appena sotto la soglia obbligatoria di registrazione in Archivio Unico Informatico (£. 19.500 mila), incassandoli direttamente con la formula “me medesimo”.

Nel corpo dell’intero giudicato, ivi compresa la ripetuta sentenza di legittimità – pagina 4 – venne richiamato il contenuto del Decalogo della Banca d’Italia laddove, il punto 1.2.1 recita:” Frequenti operazioni per importi di poco inferiori al limite di registrazione, soprattutto se effettuate in contante o per il tramite di una pluralità di altri intermediari, laddove non giustificata dall’attività svolta dal cliente” – Istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette- che oggi stiamo a commentare.

Nel caso di specie, l’unica accortezza che avrebbe dovuto porre in essere il nostro Ciccillo Cacace al secolo Direttore di filale di Bagheria del Banco di Sicilia, di natura meramente deontologica, sarebbe stato quello di avvisare l’amministratore della Cooperativa che non potevano effettuarsi pagamenti in denaro contante in misura, pari o superiore alla soglia dell’epoca stabilita (venti milioni di lire).

Non c’era e non c’è nessun altro obbligo, laddove trattavasi di un’attività economica documentata, certificata e assolutamente legittima: punto!

Quattro processi – Mef, Tribunale, Corte di Appello, Cassazione – hanno sentenziato il nulla assoluto, addivenendo ad una condanna che, laddove fosse stata svolta una indagine appropriata, avrebbe dimostrato l’esatto opposto: assoluta insussistenza della ipotesi accusatoria riguardante la “Omessa segnalazione di operazione sospetta”.

Nella peggiore delle ipotesi si sarebbero potuti dimostrare pagamenti in contanti oltre soglia, nel corso dei vari acquisti di prodotti ortofrutticoli e questo, evidentemente, sarebbe stato un altro mondo del tutto diverso dall’incubo e mostro giuridico che si è andato a determinare.

Indagine insufficiente 

Considerato che nel 99% dei casi, se mai ci può essere un sospetto di riciclaggio nella operatività dei rapporti della clientela, il problema si deve porre quando arriva la provvista finanziaria sui rapporti e non certo quando viene prelevata.

E’ in occasione degli accrediti che ci si deve chiedere se il cliente, in relazione alla conoscenza diretta o indiretta, l’attività economica esercitata, ha una potenzialità economica adeguata a giustificare un certo tipo di movimentazione e quindi di operatività dei rapporti.

Nel caso di specie, tutti gli accrediti – spesso provenienti dalla stessa Pubblica amministrazione – sono pervenuti in forma assolutamente tracciabile con regolari bonifici, ritenuti strumentali all’esercizio della dichiarata attività economica.

A questo punto, dovendoci soffermare su alcune modalità di prelevamento della provvista – operazioni frazionate con prelievi di contante ripetuto utilizzando la formula “m.m.” nella emissione di assegni – per onestà intellettuale, a fronte di una operatività di tal fatta, prima di addivenire alla formulazione dell’accusa di “omessa segnalazione di operazione sospetta”da parte della Guardia di finanza, considerato che trattasi della gestione di un’attività economica avente ad oggetto il “commercio ortofrutticolo” e quindi di una contabilità all’uopo predisposta (Partita IVA, Omologazione Tribunale, Registrazione Camera di Commercio), si sarebbe dovuto procedere nel seguente modo.

Per non dilungarmi eccessivamente per chi fosse interessato, si leggesse: https://www.giovannifalcone.it/antiriciclaggio-innocente/

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[1] Non legge la parte in grassetto e sottolineata

[2] Dimenticando, gli stessi verbalizzanti che, grazia al meccanismo dell’aggregazione, la registrazione diventa definitiva in ogni caso laddove si supera la soglia stabilita (all’epoca 20 milioni di lire) nell’arco della settimana lavorativa

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