Truffe:
il codice Iban indica gli estremi del conto corrente intestato al
cliente di una banca e serve unicamente per poter effettuare versamenti
di denaro sul conto.
Ci arrivano spesso richieste di lettori in cui ci viene richiesto di chiarire i rischi nel comunicare il codice Iban.
Il titolare di un conto corrente può trovarsi costretto a fornire gli
estremi del codice Iban tutte le volte in cui un terzo gli deve
effettuare un pagamento o un rimborso: si pensi al datore di lavoro, a
un cliente o anche a un amico che deve ricevere un pagamento e non
possiede un proprio conto di appoggio. È possibile dormire sonni
tranquilli nel momento in cui si comunica il proprio codice Iban oppure c’è il rischio di frodi?
L’Iban è solo il codice identificativo di un conto corrente, così
come la targa lo è per un’auto. Grazie al codice Iban è possibile solo
effettuare pagamenti a favore dell’intestatario del conto. Non è invece possibile addebitare spese o effettuare prelievi non autorizzati a carico di quest’ultimo. Insomma, con l’Iban si può solo “dare” e non “prendere”.
Difatti, la possibilità che qualcuno possa prelevare dal nostro conto
corrente delle somme passa per altri strumenti che non consistono certo
nella comunicazione dell’Iban. Ad esempio:
- è possibile effettuare un addebito su un conto nel momento in cui si firma un Rid:
si tratta di un modulo con cui si autorizza la propria banca ad
effettuare un pagamento periodico in favore di un altro soggetto, senza
bisogno di successivi e specifici ordini (R.I.D. sta infatti per
“rapporto interbancario diretto”). In pratica la banca sa che, ad ogni
scadenza individuata dal cliente (ad esempio, il 1° di ogni mese) dovrà
prelevare una somma dal suo conto e versarla sul conto di un altro
soggetto. Questo metodo avviene spesso per il pagamento del canone di
affitto, che va versato sempre nella stessa misura e alla medesima
scadenza. Il Rid. deve essere firmato espressamente dal titolare del
conto e consegnato alla propria banca oppure inviato per via telematica,
tramite home-banking; - è possibile prelevare somme da un conto corrente
nel momento in cui si conoscono le credenziali di accesso alla relativa
home-banking, ossia al pannello di controllo su internet che consente di
effettuare operazioni online. In verità le tecniche degli hackers si
sono raffinate in tutti questi anni e riescono a trarre nella rete del phishing sempre
più persone. Ma difendersi è davvero molto semplice e richiede un
minimo di accortezza: dotare il proprio computer di un antivirus; non
comunicare mai a terzi le proprie credenziali di accesso all’home
banking; non accedere mai al proprio pannello di controllo da link
presenti su email, ma aprire autonomamente il browser (ad esempio
Explorer) e digitare l’indirizzo sulla barra in alto.
Una banca non può mai autorizzare un pagamento o un addebito a carico di un conto con la semplice comunicazione dell’Iban.
Diversamente, se così fosse, tutti i clienti di una società, che devono
effettuare pagamenti in favore di quest’ultima, e che quindi hanno
ottenuto il relativo Iban alle cui coordinate bonificare l’importo,
potrebbero il giorno dopo riprendersi i soldi, magari comunicando detto codice a terzi e amplificando così il rischio di truffe.
Solo a titolo esaustivo, ricordiamo anche che è sempre possibile
annullare un bonifico bancario una volta eseguito, magari per errore.
Per conoscere la procedura leggi “Come annullare un bonifico bancario”.
In ultimo, ricordiamo che quand’anche il soggetto titolare del conto
sia debitore di un altro soggetto e questi stia tentando di effettuare
nei suoi confronti un pignoramento del conto corrente bancario, non è conoscendo l’Iban che egli potrebbe procedere e assicurarsi il blocco dei soldi. E ciò per due ragioni:
- innanzitutto, il pignoramento del conto non richiede necessariamente
gli estremi dell’Iban, ben potendo avvenire anche solo conoscendo la
banca di appoggio e null’altro (leggi “È possibile rintracciare l’Iban del debitore?”); - in secondo luogo, prima di procedere al pignoramento, il creditore deve procurarsi quello che gli avvocati chiamano “titolo esecutivo”,
ossia un documento che accerti il credito fatto valere. Si può trattare
di una sentenza, un decreto ingiuntivo, un assegno o una cambiale
protestati. Egli deve poi consegnare questi documenti all’ufficiale giudiziario del tribunale che procede alla verifica di due circostanze: 1) la correttezza di tutte le notifiche (ivi compreso il cosiddetto atto di precetto,
che è un’intimazione finale con cui si preannuncia il pignoramento e si
danno altri 10 giorni di tempo per pagare); 2) l’esistenza del predetto
titolo esecutivo. Infine la notifica del pignoramento viene sempre
comunicata al debitore che, comunque, può sempre procedere a effettuare
opposizione.
Quand’anche – in via del tutto fantasiosa – conoscendo l’Iban di un
conto fosse possibile prelevare una somma per bonificarla su un altro
conto, di tale movimentazione bancaria resterebbe sempre traccia, sicché
sarebbe sempre possibile risalire al beneficiario truffatore. Ma
ripetiamo: è un’ipotesi scolastica, che non trova riscontri nella
realtà.
Per sintetizzare, nel momento in cui si comunica il proprio Iban,
l’unico “rischio” – se così lo vogliamo chiamare – è quello di ricevere un pagamento, ma non di vederselo addebitato a propria insaputa. Quindi, potremo tranquillamente comunicare il nostro Iban al
datore di lavoro, a un cliente o a qualsiasi altro creditore. Molte
società sono solite addirittura pubblicare il proprio codice Iban sulla
home page del proprio sito o nella pagina contatti, a dimostrazione che
non si deve temere nulla.