venerdì, Aprile 19, 2024
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CONDOMINIO: Procedura per l’approvazione di un Regolamento

L’art. 1138 c.c. recita:

“Quando in un edificio il numero dei condomini è
superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga
le norme circa l\’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese,
secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché
le norme per la tutela del decoro dell\’edificio e quelle relative
all\’amministrazione.

Ciascun condomino può prendere l\’iniziativa per
la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello
esistente.

Il regolamento deve essere approvato
dall\’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma
dell\’articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7)
dell\’articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell\’articolo
1107.

Le norme del regolamento non possono in alcun
modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti
di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle
disposizioni degli artt. 1118 secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131,
1132, 1136 e 1137 c.c
.”

Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

Partiamo dal primo comma. Il codice civile prevede
una soglia numerica al superamento della quale il regolamento
condominiale è obbligatorio. In sostanza, ogni condominio con più di
dieci partecipanti (cioè da undici in su) deve dotarsi di un regolamento
condominiale. Si era posto, in dottrina, il problema del calcolo della
soglia. In sostanza ci si è chiesti se il numero era riferibile ai
condomini o alle unità immobiliari. L’orientamento maggiore ritiene che
si debba fare riferimento al numero dei partecipanti. Al di sotto di
tale limite minimo il condominio non è obbligato a dotarsi di un
regolamento.

Che cosa succede se un condomino vuole adottare il
regolamento condominiale ma trova l’opposizione degli altri? La risposta
varia a seconda del numero dei partecipanti la condominio. Se questi
sono in misura minore a dieci, non si potrà far altro che sottoporre di
volta in volta la propria proposta all’approvazione dell’assemblea.
Qualora invece il numero sia superiore alle dieci unità ogni singolo
partecipante potrà rivolgersi all’Autorità Giudiziaria per la formazione
del regolamento. E’ dubbio se questo ricorso abbia natura contenziosa o
di volontaria giurisdizione. Stando al tenore letterale della
disposizione normativa contenuta nel secondo comma, non si vede un
rapporto pregiudiziale tra ricorso all’assemblea per la formazioneex novodel
regolamento condominiale e ricorso alla magistratura civile.
Sicuramente, coinvolgendo i diritti di tutti i condomini sulle parti
comuni, il promotore dell’iniziativa di formazione giudiziale del
regolamento dovrà citare in giudizio tutti gli altri partecipanti al
condominio.

Chiariti i contorni pratici del ricorso per la
formazione giudiziale del regolamento passiamo ad affrontare le ipotesi
più ricorrenti: la formazioneassemblearee quellacontrattuale.

Il regolamento si dice di natura assembleare quando è
approvato dall’assemblea dei condomini. E’ bene tenere distinte le due
fasi di formazione e approvazione. Il fatto che l’assise condominiale
approvi un regolamento non è indice del fatto che lo stesso sia stato
formato dal collegio. Infatti, come detto poco sopra ogni condomino può
prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento. Sarà poi una
scelta demandata all’assemblea quella di apportare modifiche o
approvaresic et simpliciteril regolamento condominiale. Appurato ciò è utile chiarire quale sianoquorumnecessari
per approvare un regolamento condominiale assembleare. Il terzo comma
dell’art. 1138 rimanda alle maggioranze previste dall’art. 1136 secondo
comma c.c. Ciò significa che un regolamento condominiale, quantomeno
sotto il profilo delle maggioranze, sarà valido se votato dalla
maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresentino almeno 500
millesimi. Le stesse maggioranze sono richieste per la modifica del
regolamento o di una sua parte. Una volta approvato il regolamento
obbliga tutti i condomini al suo rispetto (si veda art. 1137 c.c.) e
sarà valido pure nei confronti di un nuovo condomino (non partecipante
all’assemblea) in caso compravendita di una unità immobiliare. Ciò anche
in base al fatto che, come detto in materia di obbligazioni
condominiali (c.d.propter rem), assieme al diritto reale si
trasferiscono tutta una serie di posizioni ad esso connesse. Il
contenuto è quello prescritto dal primo comma dell’art. 1138 c.c. Si
tratta di quelle norme destinate: a) a disciplinare l’uso delle cose
comuni (es. si potrà stabilire una turnazione dell’uso del parcheggio
condominiale); b) alla ripartizione delle spese secondo i diritti e gli
obblighi di ciascuno (in sostanza come detto in precedenza secondo i
criteri di all’art. 1123 c.c.); c) a tutelare il decoro dell’edificio
(es. disciplinando l’utilizzo delle parti comuni al fine di evitare la
lesione del decoro architettonico); d) a disciplinare l’amministrazione
(es. istituzione del consiglio dei condomini). La legge (art. 71 disp.
att. c.c.) prevede la trascrizione del regolamento in un registro tenuto
presso l\’associazione professionaledei proprietari di fabbricati, che
è cosa differente dalla trascrizione presso la Conservatoria dei
pubblici registri immobiliari. La norma appena citata è rimasta
inattuata. In questi casi il contenuto del regolamento, non potrà essere
limitativo dei diritti dei singoli condomini né sulle parti di
proprietà comune né su quelle di proprietà esclusiva. Così, la norma
regolamentare che disciplini l’uso turnario dello spazio adibito a
parcheggio non potrà escludere nessuno da quest’uso, ne delimitare ed
assegnare i singoli posti in uso esclusivo. Allo stesso modo il
regolamento di natura assembleare non potrà limitare l’uso delle parti
di proprietà esclusiva, ad esempio vietando una specifica destinazione.
Ciò detto, è utile domandarsi se queste limitazioni sono proprie del
regolamento assembleare o se nessun può imporre limiti ai diritti
soggettivi dei partecipanti la condominio. Si tratta, in realtà, di
limiti propri del solo regolamento assembleare. Un altro tipo di
regolamento potrà disporre diversamente. E’ il c.d. regolamento
contrattuale. Esso è così detto perché è accettato da tutti i condomini
ed ha, per l’appunto, valenza contrattuale. Solitamente il regolamento
contrattuale è predisposto dal proprietario originario dello stabile ed
inserito nei singoli atti d’acquisto o in esso richiamato. Con questo
tipo di regolamento sarà possibile limitare l’uso delle parti comuni
stabilendo, ed esempio, che una parte dello stabile andrà in uso
esclusivo di alcuni condomini, o ancora sarà possibile derogare al
criterio legale di ripartizione delle spese (criterio della
proporzionalità ex art. 1123 c.c.). Si tratta di un vero e proprio
contratto con il quale le parti possono disporre dei propri diritti. E’
utile capire sino a che punto il regolamento condominiale possa derogare
alle disposizioni di legge. Il quarto comma dell’art. 1138 c.c., così
come l’art. 72 disp. att. c.c. pongono una serie di limiti al campo
d’azione del regolamento condominiale. Così, a puro titolo
esemplificativo, non potranno essere derogate: a) le norme di cui
all’art. 63 disp. att. c.c. relative al procedimento d’ingiunzione
contro il condomino moroso; b) quelle relative al dissenso rispetto alle
liti art. 1132 c.c.; c) quelle relative alle maggioranze assembleari;
d) quelle relative all’impugnazione delle delibere, ecc. Queste norme
sono sicuramente valide per il regolamento condominiale di natura
assembleare; e per quello di natura contrattuale? La risposta è la
stessa, per quanto siano stati sollevati dei dubbi da una parte della
dottrina, deve ritenersi che trattandosi di norme inderogabili esse non
possano essere disapplicate solo perché vi è l’accordo unanime di tutti i
partecipanti al condominio.

C’è da chiedersi che efficacia abbia questo tipo di regolamento. Come tutti i contratti ha valore di leggeinter partes, tuttavia a norma dell’art. 1372, terzo comma c.c. “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge“.
Ciò significa che il caso di cessione dell’unità immobiliare se il
regolamento non è inserito nell’atto d’acquisto o quantomeno
espressamente richiamato, esso non avrà efficacia nei confronti
dell’acquirente. In effetti trattandosi di un vero e proprio contratto
non potrebbe essere diverso. Questa rigidità di posizioni unità alla
necessità di chiarire iquorumnecessari alla modifica del
regolamento contrattuale hanno contribuito ad alimentare un contrasto
giurisprudenziale sfociato in una sentenza delle Sezioni Unite. Proviamo
a chiarire.

Fino ad ora si è parlato di regolamento condominiale
di natura assembleare e di regolamento di natura contrattuale. Ciò
portava, in coerenza con le definizioni, alle seguenti conclusioni: per
la modifica del regolamento assembleare saranno necessarie le
maggioranze indicate dal terzo comma dell’art. 1138 c.c., per la
revisione del regolamento contrattuale sarà necessario l’accordo tra
tutti i condomini essendo tale regolamento un contratto a tutti gli
effetti. La dottrina ha sempre proposto una interpretazione, che aveva
come centro della propria attenzione non il regolamento globalmente
considerato ma le singole clausole che lo andavano a comporre. Così
dicendo, la dottrina era solita distinguere tra clausole di natura
contrattuale e clausole di natura assembleare. La differenza non è di
poco conto: le clausole di natura assembleare, infatti, sono contenute
anche nei regolamenti di natura contrattuale, anzi così come per le
tabelle millesimali (di natura contrattuale ma a contenuto “legale”), è
facile imbattersi in regolamenti contrattuali che sianoin totocomposti
da clausole di natura assembleari. Conseguenza di ciò, a dire degli
studiosi, era che per modificare le clausole di natura assembleare
presenti nel regolamento contrattuale sarebbe stata necessaria la
semplice maggioranza indicata dal terzo comma dell’art. 1138 c.c. e non
l’unanimità. Un intervento delle Sezioni Unite, relativo alla forma che
deve assumere il regolamento condominiale, ha ribadito incidentalmente
che “è stata da tempo abbandonata l\’opinione secondo cui sarebbero
di natura contrattuale, quale che sia il contenuto delle loro clausole, i
regolamenti di condominio predisposti dall\’originario proprietario
dell\’edificio e allegati ai contratti d\’acquisto delle singole unità
immobiliari, nonché i regolamenti formati con il consenso unanime di
tutti i partecipanti alla comunione edilizia (v. sent. nn. 2275 del
1968,882 del 1970). La giurisprudenza più recente e la dottrina
ritengono, invece, che, a determinare la contrattualità dei regolamenti,
siano esclusivamente le clausole di essi limitatrici dei diritti dei
condomini sulle proprietà esclusive (divieto di destinare l\’immobile a
studio radiologico, a circolo ecc…) o comuni (limitazioni all\’uso
delle scale, dei cortili ecc.), ovvero quelle clausole che attribuiscano
ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri (sent. nn.
208 del 1985,3733 del 1987,854 del 1997).Quindi il regolamento
predisposto dall\’originario, unico proprietario o dai condomini con
consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue
clausole si limitano a disciplinare l\’uso dei beni comuni pure se
immobili. Conseguentemente, mentre è necessaria l\’unanimità dei consensi
dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, come sopra
inteso, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è,
invece, sufficiente una deliberazione maggioritaria dell\’assemblea dei
partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che
non abbia tale natura
” (così Cass. SS.UU. n. 943 del 1999). Ciò
significa quanto segue: ogni partecipante ad un condominio dotato di un
regolamento, sia esso di natura assembleare o di natura contrattuale,
potrà chiedere di modificare le clausole avendo riguardo alla natura
delle stesse e non a quella del regolamento globalmente considerato.
Quanto esposto porta a dire che è più corretto parlare di clausole di
natura contrattuale o assembleare, mentre riferendoci al regolamento
sarà più opportuno dire che esso è di origine contrattuale o
assembleare: tanto per sottolineare le modalità di approvazione dello
stesso. Così potrà accadere che un regolamento di origine contrattuale
contenga clausole di natura assembleare ma non viceversa. Il tutto con
le sopra evidenziate conseguenze in materia diquorumnecessari per la revisione della norme in esso contenute.

Un’ultima questione è quella attinente la forma del
regolamento condominiale. La lettura delle norme ad esso relative dà
l’impressione che per ogni regolamento sia necessaria la forma scritta.
Le Sezioni Unite, con la succitata pronuncia del 1999, hanno giustamente
sottolineato tale fatto affermando cheun regolamento di condominio
non contenuto nello scritto è inconcepibile perché l\’applicazione delle
sue disposizioni, a volte di incerta interpretazione, e la sua
impugnazione sarebbero difficili se non impossibili in assenza di un
riferimento documentale. Inoltre per la necessità della forma scritta
militano le seguenti decisive osservazioni: a) l\’art. 1138 del codice
civile prevede la trascrizione del regolamento nel registro di cui
all\’art. 71 disp. att. cod. civ., in deposito presso l\’associazione
professionale dei proprietari di fabbricati, e questa previsione rivela
la volontà del legislatore di richiedere il requisito formale anche se
la norma è divenuta inapplicabile presupponendo la sua operatività
l\’esistenza dello ordinamento corporativo non più in vigore; b) per
l\’art. 1136 7 comma del codice civile deve redigersi processo verbale,
da trascrivere in un registro conservato dall\’amministratore del
Condominio, di tutte le deliberazioni dell\’assemblea dei partecipanti
alla comunione e, quindi, anche della delibera di approvazione del
regolamento a maggioranza; e, per la identità di ratio deve essere,
altresì, depositato presso l\’amministratore il documento contenente il
regolamento; c) la tesi secondo cui la forma scritta sarebbe richiesta
solo “ad probationem” non merita adesione. Infatti, accertato che il
regolamento deve essere racchiuso in un documento, la scrittura
costituisce un elemento essenziale per la sua validità in difetto di una
disposizione che ne preveda la rilevanza solo probatoria, presupponendo
questa, per la sua eccezionalità, un\’espressa previsione normativa
nella specie mancante; d) la forma scritta per la validità del
regolamento contrattuale è poi fuori discussione, incidendo le sue
clausole sui diritti che i condomini hanno sulle unità immobiliari di
proprietà esclusiva o comune
.(così Cass. SS.UU. n. 943 del 1999).
Così come per la forma “iniziale” anche le eventuali revisioni devono
essere apportate in forma scritta non potendosi far valere una sorta di
abrogazione tacita o perfacta concludentia. Sul punto l’appena citata sentenza ha affermato che “ritenuto
che il regolamento di condominio per essere valido debba risultare da
un atto scritto, è indubbio che la stessa forma sia richiesta per le sue
modificazioni perché queste, risolvendosi nell\’inserimento nel
documento di nuove clausole in sostituzione delle originarie, non
possono non avere i medesimi requisiti di esse
” (Cass. ult. Cit).

E tanto più la forma scritta è indispensabile se
le variazioni riguardino le clausole di un regolamento contrattuale che
impongano limitazioni ai diritti immobiliari dei condomini, in quanto
queste integrano per la giurisprudenza oneri reali o servitù prediali da
trascrivere nei registri della Conservatoria per l\’opponibilità ai
terzi acquirenti di appartamenti dello stabile condominiale (sent. nn.
1091 e 2408 del 1968,882 del 1970)
“(Cass.SS.UU. 943 del 1999).

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