venerdì, Marzo 29, 2024
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CRITICARE IL SINDACO SENZA PROVE? Diffamazione!

Il Sindaco è cinico, postalo
su facebook solo se puoi dimostrare che è vero

La sentenza della Cassazione n. 32791 del 27 luglio 2016 sulle
problematiche derivanti dall\’utilizzo dei Social e sulla dichiarazione di non
doversi procedere in caso di condotta riparatoria.

Sempre più le aule giudiziarie si trovano ad affrontare vicende che
nascono dall\’utilizzo “disinvolto” dei Social network, strumenti di
comunicazione che spesso degenerano in diffamazione, come nel caso giunto
dinanzi alla Suprema Corte che vede una signora al banco degli imputati per
aver postato sulla propria bacheca personale facebook un commento sferzante nei
confronti del sindaco del suo comune tacciato di insensibilità riguardo ai
problemi dell\’imputata e di un\’altra persona a questa legata, oltre che di
scarsa umanità.

Citata in giudizio dal Pubblico Ministero davanti al Giudice di Pace
per ilreato di diffamazione previsto dall\’art. 595del codice
penale, l\’aveva scampata in corner dalla condanna in quanto, avendo offerto in
udienza la somma di 800 euro a titolo riparatorio, ex art. 35 d.lgs. 28 agosto
2000, n. 74, otteneva unasentenza di non doversi procedere per
intervenuta condotta riparatoria
.

Ma insoddisfatta ha impugnato la sentenza dinanzi la Corte di
Cassazione in quanto la sentenza impugnata nulla dice in ordine alla richiesta
principale di assoluzione per esercizio del diritto di critica, che – a
suo giudizio – importa la nullità della sentenza per violazione di legge.

La Corte di Cassazione Penale, Sezione Quinta con sentenza n. 32791
pubblicata il 27 luglio 2016
(Presidente: Bruno Paolo Antonio – Udienza:
13.5.2016), nel rigettare il ricorso condannando la signora alle spese
processuali, ha tra l\’altro, evidenziato che il giudizio sferzante postato
su facebook nei confronti del Sindaco era certamente idoneo a lederne la
reputazione in quanto attribuiva a quest\’ultimo indifferenza verso le
sofferenze umane, se non vero e proprio cinismo; il che, tenuto conto del ruolo
ricoperto dalla persona offesa (Sindaco) ne comportava un evidente scadimento
nella considerazione generale.

Tale lesione dell\’integrità morale – per la Corte – “sarebbe
stata certamente irrilevante, dal punto vista penale, stante il ruolo pubblico
della persona offesa, ove si fosse trattato di fatti veri, dimostrati nella
loro obiettività
. Nulla è dato sapere, però, circa la verità di quei fatti,
nè stante la natura dell\’istituto attivato dall\’imputata – un accertamento era
consentito al giudice, che ha dovuto necessariamente fermarsi all\’esame della
contestazione e alla verifica del suo inquadramento in fattispecie di reato
tipizzate. Tanto ha concretamente fatto, constatando che il reato era
sussistente, anche sotto il profilo della diffusività della propalazione (attraverso
una bacheca facebook si ha propalazione di notizie in un ambito rilevante, a
meno che non sia stato limitato l\’acceso ad una sola persona
: Cass., n.
24431 del 28/4/2015)”.

Fermo quanto sopra – che si spera faccia riflettere sull\’importanza di
ponderare le espressioni che con troppa facilità e superficialità si trovano
postate sui Social – la Corte ha affermato che il giudice è tenuto a
pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell\’art. 129 del codice di
procedura penale
, qualora risulti “evidente” la ricorrenza di una
delle condizioni che impongono il proscioglimento nel merito, ovvero che
l\’azione penale non poteva essere promossa o non può essere proseguita.

Tale norma – applicabile al giudizio che si svolge dinanzi al Giudice
di pace – va calata nel meccanismo applicativo dell\’istituto previsto dall\’art.
35 del d.lgsd.lgs. 28 agosto 2000, n.74
, che consenteal
giudice di dichiarare estinto il reato qualora l\’imputato dimostri di
aver proceduto, prima dell\’udienza di comparizione, alla riparazione del danno
cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver
eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Va considerato, poi, che la norma richiede, per l\’applicazione
dell\’istituto, che il giudice “senta” le parti e, eventualmente, la
persona offesa, se comparsa. Gli strumenti a disposizione del giudice – dai
quali poter trarre argomenti per valutare la congruità dell\’offerta, sia sotto
il profilo risarcitorio che quello social-preventivo – sono quindi limitati, anche
se non è escluso che il giudice, dopo aver ascoltato le parti, possa acquisire
documenti idonei a valutare l\’entità del danno o la gravità del reato, mentre è
da escludere, invece, una attività istruttoria volta ad accertare l\’esistenza
(o insussistenza) del reato o la sua commissione da parte dell\’imputato, ovvero
l\’insussistenza dell\’elemento soggettivo
, giacchè verrebbe frustrata, in
tal modo, la funzione dell\’istituto, volto sia a realizzare una forma di
giustizia conciliativa, sia a deflazionare il carico giudiziario, attraverso
una forma di componimento extra giudiziario, o, più strettamente, extra
processum
.

In ogni caso tale verifica, anche implicita, che compie il giudice può
legittimare il ricorso per cassazione solo nei casi di “evidente”
arbitrarietà della valutazione
(quando, per esempio, venga accolta
l\’offerta riparatoria per un fatto certamente lecito).

Tanto premesso in via generale, la Suprema Corte ha rilevato che,
nessun vizio affligge la sentenza impugnata cheha fatto corretta applicazione
dei principi sopra sinteticamente riportati in quanto,nello
specifico,nessuna “evidenza” era rilevabile dal giudice, quando
fu dichiarato estinto il reato per congruità dell\’offerta, né la ricorrente ha
sollevato argomenti – rilevanti nel giudizio di cassazione – idonei a
dimostrare un errore del giudice.

Verdetto finale niente assoluzione, ma non luogo a procedersi per
intervenuta condotta riparatoria.

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