venerdì, Marzo 29, 2024
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DECRETO 231/01: Come rilevano le ipotesi di concorso nel reato ai fini della valutazione della responsabilità dell’ente?


E’ importante sottolineare che la responsabilità dell’ente
può sussistere anche laddove il dipendente autore dell’illecito abbia concorso
nella sua realizzazione con soggetti estranei all’organizzazione dell’ente
medesimo.

Tale ipotesi è chiaramente rappresentata nel codice
penale e, in particolare, negli artt.110 cp[1] e 113 cp[2]. Risulta, invece, non
altrettanto immediata la sua rilevanza ai fini del decreto 231.

Diversi possono essere i settori di business nei quali
può annidarsi più facilmente il rischio del coinvolgimento in concorso del
dipendente e quindi, ricorrendone i presupposti di interesse e/o vantaggio,
dell’ente. In particolare, rilevano i rapporti connessi agli appalti e, in
generale, i contratti di partnership.

A titolo esemplificativo, si fa riferimento alla
possibilità di concorrere a titolo di colpa nei reati presupposto in materia di
salute e sicurezza sul lavoro (omicidio e lesioni colpose), laddove alla
violazione colposa dell’obbligo della ditta appaltatrice di adottare adeguate
misure preventive, cui consegue l’evento delittuoso, abbiano contribuito i
criteri economici di aggiudicazione dell’appalto adottati dalla committente o,
ancor di più, la violazione dell’obbligo di valutare la congruità dei costi
della sicurezza (art.26, comma 6, d.lgs n.81/2008).

Analoghe considerazioni possono essere fatte con riguardo
ai reati presupposto in materia ambientale. Si pensi, ad esempio, ai reati in
materia di gestione non autorizzata di rifiuti (art.256, d.lgs 152/2006), nei
casi di mancata valutazione preliminare del committente circa la sussistenza dei
requisiti di legge in capo alle ditte potenziali appaltatrici, ovvero di
accettazione pedissequa di condizioni economiche di particolare vantaggio, se
non addirittura fuori mercato.

Altro ambito da considerare è quello riguardante il
rischio di partecipazione concorsuale da parte del committente che manchi di
considerare – o escluda in modo non motivato – taluni indici di valutazione
previsti per legge ai fini della selezione dei propri partner commerciali.

In proposito rilevano, ad esempio, le c.d. white list previste dalla legge
n.190/2012 e disciplinate dal DPCM del 18 aprile 2013, entrato in vigore il 14
agosto 2013. In attuazione di questa disciplina, presso le Prefetture è stato
istituito l’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori
non soggetti a tentativo di infiltrazioni mafiosa, operanti nei settori
maggiormente a rischio (c.d. “White list”)[3]. L’iscrizione nell’elenco,
che è di natura volontaria, soddisfa i requisiti per l’informazione antimafia
per l’esercizio dell’attività per cui è stata disposta l’iscrizione ed è valida
per dodici mesi, salvi gli esiti delle verifiche periodiche.

Al riguardo, si rileva che la mancata valutazione di tali
indici di rischio può determinare l’accertamento di un’ipotesi concorsuale in
ordine a gravi reati presupposto. In questi casi, peraltro, non si può
escludere il rischio che l’impresa committente venga coinvolta a titolo di
colpa nei reati intenzionalmente compiuti dalle imprese criminali, per avere
trascurato di valutare il suo potenziale partneralla luce delle specifiche indicazioni di pericolosità previste dalla
legge.

In questo senso, si richiama l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui “E’ ammissibile il concorso colposo nel delitto
doloso sia nel caso di cause colpose indipendenti, che nel caso di cooperazione
colposa, purché, in entrambe le ipotesi, il reato del partecipe sia previsto
anche nella forma colposa e nella sua condotta siano effettivamente presenti
tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. E’ pertanto necessario che il
soggetto sia titolare di una posizione di garanzia o di un obbligo di tutela o
di protezione e che la regola cautelare dal medesimo inosservata sia diretta ad
evitare anche il rischio dell’atto doloso del terzo, risultando dunque quest’ultimo
prevedibile per l’agente” (Cassazione, IV Sez. Penale, sentenza n.34285 del
2011).

Il concorso nel reato può rilevare ai fini della
responsabilità dell’ente anche nella particolare ipotesi del c.d. concorso dell’extraneus nel reato “proprio”. In
particolare, la responsabilità in concorso – ai sensi dell’art.110 del cp –
dell’extraneus può ricorrere laddove
costui, consapevole della particolare qualifica soggettiva del suo partner criminale(es.: pubblico ufficiale,
testimone, sindaco etc.), concorra nella condotta del reato proprio a quest’ultimo
ascrivibile (es.: abuso in atti d’ufficio). In tal caso l’extraneus risponderà in concorso del medesimo reato previsto a
carico del soggetto qualificato. Inoltre, non si può escludere la contestazione
del concorso nel reato proprio da parte dell’extraneus che sia, al contrario dell’ipotesi appena richiamata. Inconsapevole
della qualifica soggettiva del concorrente nel reato. Si tratta di un’ipotesi
fondata nel diritto positivo (v. art.117 cp[4]) e sostenuta da una parte
della giurisprudenza, ma tuttora dibattuta anche in dottrina. In particolare,
si discute in ordine alla natura “oggettiva” della responsabilità in questo
caso ascrivibile all’extraneus e alla
possibilità che egli risponda comunque ex art.117 cp, anche se la condotta
posta in essere sarebbe priva di rilevanza penale laddove l’autore non fosse un
soggetto qualificato (c.d. reato proprio non esclusivo).

La fattispecie sopra considerata potrebbe realizzarsi, in
concreto, nel caso del dipendente di un’impresa che, approfittando di rapporti
personali con il funzionario pubblico preposto al rilascio di determinati
permessi e/o autorizzazioni, prenda contatto con quest’ultimo per ottenere un
provvedimento favorevole nell’interesse dell’impresa, pur consapevole di non
averne diritto. In un caso del genere, il dipendente potrebbe supportare il
funzionario pubblico fornendogli pareri legali e documenti utili ai fini del perfezionamento
del reato.

La condotta del funzionario che rilascia il provvedimento
non dovuto si inquadrerebbe nella fattispecie dell’abuso d’ufficio (art.323
cp), che si configura come reato “proprio”. Tuttavia, il dipendente (e con lui
l’impresa nel cui interesse lo stesso abbia agito) risponderebbe a titolo di
concorso dell’extraneus nel reato “proprio”,
in quanto nella sua condotta si rinverrebbero:

1. Consapevolezza
della funzione di pubblico ufficiale del soggetto contattato;

2. Consapevolezza
dell’antigiuridicità della condotta richiesta;

3. Partecipazione
attiva alla concretizzazione della condotta stessa[5].

Si è consapevoli di aver utilizzato a titolo di esempio
un reato – l’abuso d’ufficio – non previsto nel novero dei reati presupposto
del decreto 231. Tuttavia, l’esempio è utile per evidenziare il potenziale
rilievo del concorso di persone nel reato, in particolare dell’extraneus nel reato proprio.

Tutta la casistica sopra richiamata suggerisce l’opportunità
di promuovere all’interno dell’impresa un adeguato livello di consapevolezza
delle dinamiche realizzative dei reati rilevanti ai fini del decreto 231. Ciò
soprattutto per favorire un’attenta selezione e successiva gestione dei propri
partner e interlocutori, sia pubblici che privati.

Da Linee Guida Confindustria – edizione aggiornata agosto
2014

 

 

 



[1] Quando più persone concorrono nel medesimo
reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questa stabilita

[2] Nel delitto colposo, quando l’evento è stato
cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle
pene stabilite per il delitto stesso

[3] Le attività imprenditoriali iscrivibili nell’elenco
prefettizio sono espressamente individuate nell’art.1, comme 53 della legge
n.190/2012:

a.Trasporto
di materiali a discarica per conto di terzi;

b.Trasporto,
anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;

c.Estrazione,
fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;

d.Confezionamento,
fornitura e trasporto di calcestruzzo e bitume;

e.Noli a
freddo di macchinari;

f.fornitura
di ferro lavorato;

g.noli a
caldo;

h.autotrasporto
per conto di terzi;

i.guardiania
dei cantieri. L’iscrizione è soggetta alle seguenti condizione: I) assenza di
una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67,
d.lgs 159/2011; II) assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa
tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa di cui all’art.84,
comma 3, d.lgs 159/2011.

[4] Art.117 cp: “Se, per le condizioni o le
qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l’offeso,
muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli
altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il
giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le
qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena”

[5] Cassazione, VI Sez., 29.05.2000,
17.10.1997, 15.02.1996; Cassazione, VI Sez. sentenza n.43020 del 11.11.2003

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