Ricalcolo della pensione: se
l’assegno è versato in misura superiore rispetto al dovuto, l’Inps può chiedere
la restituzione dei soldi al pensionato anche se in buona fede o quest’ultimo
ha diritto a trattenere le somme percepite sino ad allora?
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Può capitare che il pensionato riceva un importo di pensione superiorea quello dovuto e l’Inps, dopo essersi accorto di ciò, provveda al
cosiddetto ricalcolo della pensione. In particolare, il ricalcolo
della pensione può avvenire per due possibili cause: una svista dell’Inps o
un errore del datore di lavoro che non ha trasmesso correttamente i dati
relativi al computo della pensione. Nel primo caso, al pensionato non può
essere richiesta la restituzione dei soldi in più percepiti sino ad
allora; nel secondo caso, invece, l’anziano dovrà restituire le somme a lui non
spettanti. L’Inps, infatti, si “fida” di ciò che gli comunica l’azienda e non
può essere onerato di effettuare il controllo su ogni trasmissione. Al
contrario, la verifica sull’esattezza della posizione contributiva aperta
presso l’Inps spetta al lavoratore.
È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza di poche
ore fa [1] ove si legge testualmente: «non sussiste errore imputabile
all’ente erogatore (…) [2] nell’ipotesi in cui la liquidazione della
pensione sia avvenuta sulla base dei dati contributivi trasmessi dal datore di
lavoro, in quanto non esiste un onere dell’ente previdenziale di sottoporre a
verifica tali dati prima di procedere alla erogazione della prestazione».
Se, dunque, l’Inps versa al pensionato somme maggiori di quelle
dovutegli per via del fatto che il datore non ha comunicato dati corretti, le
somme indebitamente percepite vanno restituite. E con gli interessi.
Inizialmente la legge [3] era favorevole al lavoratore e, nella
sua formulazione iniziale, prevedeva l’impossibilità del recupero dei ratei di
pensione erogati per errore e quindi indebitamente riscossi. La norma è stata
successivamente modificata [2] e, allo stato attuale, il pensionato ha
diritto a trattenere le somme superiori a lui non spettanti solo se sussistono
quattro condizioni:
- il pagamento delle somme in base a formale, definitivo
provvedimento; - la comunicazione del provvedimento all’interessato;
- l’errore, di qualsiasi natura, imputabile all’Inps;
- l’assenza della malafede
dell’interessato.
Entro quanto tempo l’Inps
può richiedere la restituzione dei soldi?
La legge impone un’ultima condizione per poter legittimare la
richiesta di restituzione delle somme superiori erogate erroneamente al
pensionato. In particolare, l’Inps deve agire per il recupero dei soldi entro
un termine perentorio fissato nell’anno successivo al pagamento. A nulla
vale, come detto, che l’errore sia stato del datore e non del lavoratore che
era però e comunque tenuto al controllo.
[1] Cass. sent. n. 17417/16 del 30.08.16.
[2] Ai fini dell’art. 13 co. 1 L. n. 412/1991.
[3] Art. 52 L. n. 88/1989.
P.S.: Personalmente ho vissuto un caso analogo dove l\’INPDAP (l\’ex ente previdenziale per dipendenti pubblici), mi chiedeva la restituzione di circa 20mila euro, per un errore di calcolo fatto dallo stesso ufficio, in ordine ad una indennità “Una tantum” già liquidata.
Ho fatto ricorso alla Corte dei Conti di Bari e dopo dieci anni ho vinto, pur dovendo sobbarcarmi le spese legali per effetto della “compensazione” disposto in sentenza.