venerdì, Aprile 19, 2024
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IL MODELLO ORGANIZZATIVO D’IMPRESA (D.lgs 231/01): ESIGENZA DI ESSERE O SOLO APPARIRE?

IL MODELLO ORGANIZZATIVO D’IMPRESA (D.lgs 231/01): ESIGENZA DI ESSERE O SOLO APPARIRE?

 

Benché nessuna norma lo obblighi e men che mai il Decreto legislativo 231/01 riguardante la responsabilità amministrativa d’impresa, derivanti dalle condotte penalmente rilevanti dei dipendenti o apicali di un’azienda, molti o quasi tutti si attrezzano e ricorrono a darsi un Modello organizzativo e annesso Codice etico per prevenire o comunque contrastare il malaffare.

A quasi venti anni dall’uscita della normativa che esenta l’azienda da qualsivoglia responsabilità amministrativa per condotte illecite di altri, laddove sia in grado di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per tracciare un modus operandi corretto e nel solco della legalità nella propria dinamica imprenditoriale.

Oggi, si avverte una sensazione diffusa secondo la quale disegnare un Modello organizzativo ed un Codice etico di condotta, possa da solo servire a scongiurare ogni rischio di coinvolgimento quando scoppia l’incidente di percorso che vede coinvolto l’amministratore o il dipendente in una condotta penalmente rilevante.

Con questo approccio al problema, nel quadro di una comune esigenza di correttezza dei rapporti e legalità della dinamica imprenditoriale, pochi curano l’attuazione concreta e fattiva del Modello.

Io, per la mia esperienza maturata sull’argomento credo che non serva darsi l’aria di quello che vuole rispettare le norme quando poi nella realtà fa tutt’altro.

Per restare al mondo bancario, a che serve costruirsi un vestito, spesso anche costoso, sapendo poi che non lo indosserò mai.

Per non essere accusato di parlare sempre di riciclaggio e reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione, oggi voglio fare un cenno ai reati societari a cominciare dalle False comunicazioni sociali.

Fuor di metafora, violare sistematicamente il Codice civile con informazioni false in bilancio – ex art. 25 ter del decreto – appostando i “crediti senza garanzie”, quelli erogati a babbo morto fra le “attività”, se poi so bene che, al primo controllo serio di verifica della solidità patrimoniale le stesse poste vengono immediatamente trasferite nel “portafoglio sofferenze”?

Parlo di storia recente, questa non è teoria.

Gli stress test disposti dalla Banca Centrale Europea nei confronti di numerosi Istituti di credito nostrani, finalizzati alla verifica della rispettiva solidità patrimoniale ebbero modo di accertare i ripetuti e sistematici “Falsi in bilancio” di tante nostre banche.

E questo è ancora poco!

Falsificare i bilanci con questa sistematicità ha consentito negli anni 2010/2015, elargire compensi lunari agli amministratori e dividendi gonfiati ai soci.

In pratica, questi paperoni del risparmio, oggi sotto inchiesta di varie Procure della Repubblica, hanno dilapidato i soldi dei risparmiatori distruggendo la solidità patrimoniale degli istituti coinvolti ed omettendo gli opportuni “accantonamenti” annuali dagli utili di esercizio.

La solidità patrimoniale non ha interessato nessuno, gli amministratori prima e gli Organismi di controllo poi, interni ed istituzionali.

Se così è stato, come sembra, alla luce dei fallimenti bancari registrati per i quali è intervenuta la mano pubblica, la domanda che possiamo porci oggi è: a che è servito il Modello organizzativo ed il Codice etico?

Dove stava l’Organismo di Vigilanza all’uopo nominato?

Quale capacità, professionalità, autonomia e indipendenza aveva per l’esercizio dei compiti di propria competenza?

Mi fermo qua per non infierire troppo: sarebbe come uccidere un uomo morto!

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