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INFORTUNIO SUL LAVORO: Sconfitta del dipendente

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

 

Sentenza 8.11.2010 n. 22707

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente: ordinanza

 

sul ricorso 24693-2009 proposto da: M.S. – ricorrente –

 

contro

 

INAIL – controricorrente –

 

avverso la sentenza n. xx della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del xx, depositata il xx; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE; è presente il P.G. In persona del Dott. ENNIO ATTILIO SEPE.

 

Fatto

 

M.S. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 7 luglio 2009, confermativa di quella di primo grado, che aveva rigettato la domanda avanzata da esso ricorrente nei confronti dell’INAIL, di riconoscimento del diritto alla rendita per infortunio sul lavoro, per infarto al miocardio subito il (OMISSIS).

La Corte territoriale ha ritenuto, prestando adesione alle conclusioni della consulenza tecnica rinnovata in appello, coincidenti peraltro con i risultati dell’indagine espletata in primo grado, che lo sforzo compiuto dal lavoratore il (OMISSIS), mentre espletava le mansioni di autista alle dipendenze della UNICOOP (aveva dovuto cambiare una ruota dell’automezzo da lui condotto), ed al quale era seguito un dolore precordiale, non aveva avuto un ruolo, neppure concausale, nel determinismo dell’infarto.

L’INAIL ha resistito con controricorso.

Essendo la presente impugnazione soggetta alle disposizioni introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 ed essendo stata ravvisata la possibilità di definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5 con ordinanza in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., poi notificata ai difensori delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

 

Diritto

 

l’unico motivo di ricorso, nel denunciare vizio di motivazione, critica la sentenza impugnata per il contrasto con criteri medico- legali ravvisato nella deduzione svolta nella relazione della consulenza tecnica, e poi riverberatasi nella sentenza che quella relazione ha fatto propria, laddove l’ausiliare aveva sostenuto: è impossibile identificare la ragione scatenante dell’infarto poi instauratosi, ammesso che ce ne sia una perché – una volta destabilizzata una placca ateroma tosa e se non si ristabilizza spontaneamente o terapeuticamente – l’angina instabile evolve spontaneamente verso l’infarto. Sono stati trascurati i criteri cronologico, topografico, della continuità fenomenica, dell’adeguatezza lesiva e di esclusione, che invece, ove seguiti, ad avviso del ricorrente avrebbero dimostrato come lo sforzo lavorativo per la patologia coronarica preesistente aveva indotto il fatto anginoso, che a sua volta aveva aggravato lo stato preesistente di miocardiocoronopatia, concorrendo nella genesi dell’infarto miocardico.

Il ricorso non può essere accolto.

Come è stato rilevato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. Civ., secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in materia di invalidità, qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte, le quali si risolvono in una inammissibile critica del convincimento del giudizio (cfr. fra le tante, Cass. 22 maggio 2004 n. 9869 e più di recente Cass. 29 aprile 2009 n. 9988).

Tanto si verifica nella specie, dovendosi inoltre sottolineare che la censura, la quale peraltro riporta solo un brano della relazione, si limita a richiamare una mera ipotesi avanzata dal consulente di ufficio a fronte dell’affermazione sentenza impugnata, che, dopo avere rimarcato la mancanza di qualsiasi confutazione da parte dell’appellante alle conclusioni del medesimo consulente di ufficio, successivamente al deposito della relazione, ha escluso la mancanza di prove sul nesso causale, sia pure in termini ragionevolmente presuntivi, fra sforzo lavorativo e infarto.

II Collegio condivide le suesposte considerazioni, cui del resto il ricorrente non ha mosso alcuna replica.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’INAIL delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2010

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