venerdì, Aprile 19, 2024
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LA POLITICA IN VETRINA: L’errore capitale dei mille giorni!



Con eccezione dell’epilogo finale, mai come adesso mi trovo d’accordo nella valutazione politica della parabola del fiorentino nel governo dei mille giorni.
Aver rotto il Patto del Nazareno con il suo principale alleato, attraverso la nomina del Presidente della Repubblica, imponendo la figura di Mattarella è stato un errore di strategia di lungo respiro,
La mossa, salvo nella fase iniziale, non è servita neanche a recuperare l’opposizione interna che al contrario, ha continuato nell’opera costante di demolizione del Partito democratico fino alla scissione registrata qualche mese addietro.
Il percorso parlamentare, sotto il profilo del processo riformatore avrebbe continuato ad avere l’appoggio di tutto il centro destra, con Berlusconi padre nobile tanto della riforma elettorale che della Costituzione del 4 dicembre 2016.


Nell’intervista che segue, il politologo FELTRIN suggeriva una sosta più lunga e non un paio di mesi come invece è successo.
L’ho detto prima: non sono d’accordo nella considerazione finale, nella necessità di scomparire dalla vita politica nazionale rimanendo nell\’ombra.


Vorrei sommessamente ricordare che nel terzo millennio, anche pochi mesi, considerata la velocità della globalizzazione nella vita delle persone e quindi anche della politica, diventa preistoria laddove, un periodo del genere avrebbe significato la perdita di una opportunità, davanti ad un vuoto di visione e di progetto della politica italiana.


Al contrario, come ho sempre detto in questa pagina, un ritorno veloce sulla scena politica nazionale servirà a recuperare l’appeal con una cospicua parte di elettorato, a mio avviso in crescita, particolarmente interessato al processo riformatore temporaneamente interrotto il 4 dicembre 2016.
Per questa ragione il popolo del SI, quello del 41% dice “bentornato Presidente”, il lavoro da fare è delineato, basta chiacchiere, il Paese è fermo, imballato, oggi si corre!


AVANTI TUTTA!


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Fonte: glistatigenerali.com
BUONA LETTURA


LA PARABOLA PERDENTE DI RENZI.DIALOGO CON IL POLITOLOGO PAOLO FELTRIN


1 aprile 2017
“Vedi – mi dice mentre ci sediamo ai tavolini all’aperto del Bar Magenta, in questa calda primavera estiva milanese – c’è stato un momento in cui Renzi poteva davvero cambiare le sorti e la politica di questo paese”. Attendo il seguito con interesse, mentre aspettiamo che il cameriere registri le nostre ordinazioni. Chi mi parla è Paolo Feltrin, politologo e consulente strategico spesso vittorioso di tanti politici, importanti e meno importanti, ma che non ama stare al centro della scena e sotto i riflettori mediatici. Novello Richelieu?
Ride di gusto al paragone. “Ma no, quale stratega… semplicemente vedo, e racconto, le cose che tutti hanno sotto gli occhi, ma che spesso non riescono a vedere, immersi in qualche sogno personale. Un’iniezione di realismo, con qualche suggerimento appropriato.” Lo riporto al nostro fiorentino, ed al suo momento topico. Torniamo all’ormai lontano 2014, quando Renzi era il politico più amato, trasversalmente, dall’elettorato italiano, forse il più apprezzato di sempre, perché non divisivo, come era invece Berlusconi. Capace di parlare in maniera efficace a tutti, indipendentemente dal colore politico. Un uomo del dialogo, pragmatico, che teneva aperti i ponti levatoi con ogni partito, perfino con i 5 stelle.
“In quell’anno fatidico, gli unici suoi nemici veri erano coloro che lui voleva rottamare, all’interno del PD, oppure la Cgil, o la sinistra più radicale che non concepiva quel modo di comportarsi, così poco di sinistra. Ma gli altri lo seguivano: gran parte degli elettori del Pd, ma anche quelli degli altri partiti, e perfino una significativa quota dei pentastellati. Molti speravano davvero che da lui nascesse qualcosa di nuovo.”
Ma poi, cosa è successo, che cosa non ha più funzionato? Vuoi sapere qual è stato il punto di svolta, mi chiede, l’istante in cui la sua parabola vittoriosa è cominciata a declinare? Mi vengono in mente il jobs act, la buona scuola, Verdini. Si, anche, in parte, risponde, ma non furono quelle le cause prime della sua discesa. “Il momento esatto è stato quando ha deciso di rompere con Berlusconi, scegliendo di candidare Mattarella senza concordare con lui la candidatura, o almeno informarlo preventivamente. Il ponte levatoio si è repentinamente chiuso, e oltretutto senza alcun motivo, senza alcuna visione strategica.”
Gli domando se a suo parere Renzi fosse stato davvero, fino a quel momento, un abile stratega. Non è chiaro nemmeno a lui se le mosse precedenti del premier fossero davvero pensate, oppure gli venissero così, automaticamente, come un animale politico che sa ciò che deve fare senza magari rifletterci neanche tanto.
Ma in quel momento, mi dice, è venuto meno il suo intuito, o la sua strategia. Riflettiamo: Renzi ha scelto Mattarella, senza l’approvazione di Berlusconi, per riappacificarsi con la sinistra interna, per convincerla che non stava al gioco del Cavaliere, che non aveva bisogno di lui. Ma a che serviva? La sinistra interna ha continuato ad attaccarlo su altri fronti, comunque, e in quel modo ha definitivamente perso l’appoggio implicito del centro-destra, che ha iniziato a fargli la guerra su tutto, in particolare sull’Italicum e sulla riforma costituzionale. I due obiettivi principali di Renzi. Forse pensava di essere sufficientemente forte, ma ha sbagliato a pensarlo. E con Berlusconi tacitamente dalla sua parte, al contrario, le due riforme sarebbero passate magari già in Parlamento, senza bisogno di referendum.
“E’ montata l’onda mediatica contro di lui, da destra, da sinistra e dai 5 stelle. Da quel momento, il premier non si è più ripreso. Dall’elezione di Mattarella alla personalizzazione del referendum, ogni passo è stato un passo errato, che l’ha portato alla sconfitta definitiva, senza appello.” E dopo il fatidico 4 dicembre, cosa avrebbe dovuto fare? Semplice, mi risponde. Ogni politico sconfitto deve ritirarsi, almeno per un po’, farsi da parte.
“Come Cincinnato, si parva licet, doveva saltare un giro, rimanere nell’ombra, aspettando il momento migliore per tornare, se l’avessero chiamato di nuovo perché non si trovavano altre soluzioni. Farsi desiderare per qualche anno, visto che in Italia uomini politici con il suo fiuto, almeno inizialmente, non sembra ce ne siano. Uscire dall’arena politica per un paio di mesi, come ha fatto lui, serve a poco. Non è sufficiente per far dimenticare gli smacchi subiti. Ed è molto difficile, ora, tornare in sella.”
Mentre ci congediamo, mi chiedo se Renzi ascolterebbe mai il consiglio di Paolo Feltrin. No, non penso. Non è Cincinnato.

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