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LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE & LE ORIGINI DEL DISASTRO – Le tante facce di un passato da ricordare

 

 

L’attuale stato comatoso in cui verte la Pubblica Amministrazione, fatto di rendite di posizione, privilegi ingiustificabili, sprechi, inefficienze e approssimazione di vario  genere, non è una scoperta dell’ultima ora, è una vecchia storia che viene da lontano.

 

 

 

Vedere oggi qualche Ministro affrontare questo grande malato sul territorio, sulla sua organizzazione, anche a cominciare dalle cose più ovvie, nel tentativo di rianimarlo, mi disorienta fino a commuovermi. Si tratta di un tentativo tanto lodevole quanto immane, osteggiato da tutti o comunque da molti che ritengono che “la pacchia debba continuare”.

 

In molti casi si tratta di una ostilità preconcetta, o maturata nella convinzione di fare una lotta giusta per ostacolare con ogni mezzo un programmato taglio di risorse pubbliche ai tanti capitoli di bilancio, aventi la finalità dichiarata di razionalizzare la spesa.

 

E’, questa del taglio, una priorità ineludibile che non ammette rinvii o tentennamenti.

 

Avendo personalmente fatto parte della Pubblica Amministrazione per circa un trentennio, per meglio spiegare il concetto, voglio raccontare qualche aneddoto di vita vissuta che più di altri, forse, possono meglio aiutare a comprendere certi meccanismi che hanno caratterizzato la storia della finanza pubblica nel nostro Paese.

 

Verso la metà degli anni ’70 e per circa un decennio, facendo parte del Contingente di mare della Guardia di finanza, ero imbarcato sulle Unità navali del Corpo deputate al contrasto del contrabbando di tabacchi lavorati esteri e merci di provenienza straniera (polizia doganale), sicurezza della vita umana in mare e polizia marittima.

 

 

 

Verso la fine di ogni anno – ottobre/dicembre – si ricevevano ordini di navigazione di questo tenore: “USCITE SUBITO IN MARE” e, alla domanda tesa a conoscere la destinazione, la rotta, ci sentivamo rispondere: “ANDATE DOVE VOLETE, L’IMPORTANTE CHE CONSUMATE NAFTA”.

 

 

 

Nel contempo, in altre Amministrazioni dello Stato, sempre nello stesso periodo, apprendevo vicende simili riguardanti la necessità di esaurire capitoli di bilancio come quello utilizzato per il trattamento economico di missione per attività Istituzionali  svolte fuori dalla ordinaria sede di servizio.

 

 

 

Perché succedeva questo? È presto detto.

 

 

 

In pratica, con l’approssimarsi della fine dell’esercizio finanziario, l’ordine di scuderia era quello di esaurire le risorse assegnate su ogni capitolo di bilancio laddove  ricordo che, all’epoca, con una inflazione a due cifre (15/20%), si aveva diritto a tale incremento per l’esercizio successivo sulla base dell’assegnato – e “faticosamente” portato ad esaurimento  – dell’annualità precedente.

 

 

 

Questa era la ragione per la quale non venivano tollerati residui passivi, pena la decurtazione di ingenti provviste economiche nella successiva assegnazione.

 

 

 

Il debito pubblico con il quale oggi siamo costretti a confrontarci è nato e si è ingigantito anche grazie a questo “modus operandi”.

 

 

 

Con i provvedimenti assunti o anche solo annunciati sul piano della finanza pubblica, si vuole invertire una tendenza nefasta, che negli anni, ha in primo luogo deresponsabilizzato gli amministratori, a cominciare proprio dai tanti politici democraticamente eletti. E’ giunta l’ora di restituire dignità agli amministratori capaci, chiamati a impiegare questa enorme ricchezza sottratta ai cittadini e alle imprese  attraverso la tassazione diretta e indiretta.

 

 

 

La spesa pubblica, concepita ed alimentata negli anni anche con la metodologia degli aneddoti che ho testè sommariamente raccontato, è stata costruita nella convinzione di avere un “pozzo senza fondo”.

 

 

 

Così non è stato!  

 

 

 

Il fondo lo abbiamo raggiunto e non sembra opportuno superarlo se vogliamo destinare le risorse dove servono, come i servizi sociali, le infrastrutture, la sicurezza, la ricerca e lo sviluppo, cercando di competere sul mercato ormai globalizzato.

 

 

 

Se siamo d’accordo nei principi appena accennati, invertiamo questo treno e, insieme, cominciamo a remare nell’unica direzione possibile. 

 

 

 

 

 

 

 

Casamassima, 19 novembre 2008

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