venerdì, Aprile 19, 2024
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L’Abuso d’ufficio: L’incubo del funzionario della pubblica amministrazione

L’Abuso d’ufficio: L’incubo del funzionario della pubblica amministrazione

Ecco l’antidoto contro la paura della firma | L’analisi di Luigi Balestra

Si è in particolare domandata una decisa presa di posizione alla politica affinché venga scongiurata la proroga ovvero la stabilizzazione della norma che esclude la possibilità di configurare una responsabilità del pubblico funzionario per illecito erariale in caso di colpa grave. Sino al 30 giugno 2023, infatti, i fatti causativi di un danno per l’Erario possono essere fonte di responsabilità solo se il pubblico funzionario abbia agito con dolo. La colpa grave, invece, mantiene intatta la sua rilevanza qualora il danno derivi da omissione o inerzia del soggetto agente.

È un tema indubbiamente delicato, che richiede un’adeguata riflessione. Esso non deve però condurre a dimenticare l’operosità dei tanti funzionari e dirigenti pubblici, i quali non hanno paura di agire. Chi ricopre ruoli apicali, infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, pur lamentando un condizionamento psicologico derivante dalla possibilità di incorrere in contestazioni erariali, comunque agisce, perché avverte forte la responsabilità di dover far fronte a bisogni della collettività.

In un intervento di qualche settimana fa mi ero permesso di sottolineare che stante, da un lato, i plurimi problemi che affliggono la pubblica amministrazione (ingovernabile coacervo di norme nel contesto di un sistema legislativo ipertrofico, reclutamento e formazione dei pubblici funzionari) e, dall’altro, la forte esigenza di agire celermente ed efficientemente con riguardo alle importanti missioni del PNRR, l’eliminazione della colpa grave, seppur in via temporanea, fosse il male minore. E questo soprattutto perché i processi di semplificazione del quadro normativo ovvero di reclutamento, nonché formazione, del personale – invocati come possibile soluzione al problema – postulano un’azione a largo spettro proiettata in un tempo non breve. Laddove l’esigenza di agire tempestivamente è perentoria e quantomai vivificata dall’intensa progettualità da realizzare mediante le enormi risorse che stanno affluendo nel nostro Paese.

In un intervento recente la Presidente dell’Associazione Magistrati Corte dei conti ha sostenuto che l’eliminazione della colpa grave non sia in realtà il male minore, bensì il peggiore poiché altererebbe la gestione dei conti pubblici. Inoltre, che il Paese si bloccherebbe più eliminando la colpa grave che mantenendola. Affermazioni però non corroborate da dimostrazione argomentativa.

Né dal mio punto di vista si può sostenere che l’eliminazione della colpa grave agevoli l’azione della criminalità organizzata, posto che le infiltrazioni trovano terreno fertile quanto meno in atteggiamenti compiacenti del pubblico funzionario; quindi, non già nella colpa – seppur grave – bensì nel dolo.

Si è anche detto che una delle virtù benefiche della colpa grave consisterebbe nella capacità deterrente; essa decreterebbe un’ansia di far bene che è giusto esista a presidio della correttezza dell’agire del pubblico funzionario.

Sono personalmente convinto che occorra rifuggire l’idea che l’azione della pubblica amministrazione, così come incarnata dalle persone – donne e uomini – che quotidianamente ne sono i protagonisti, possa rinvenire nell’ansia di dover far bene la giusta leva su cui costruire l’efficienza e la correttezza dell’operato del pubblico funzionario.

Certamente occorre far perno sulla responsabilità, elemento imprescindibile dell’agire nell’àmbito di una comunità organizzata; ancor più, allorquando esso sia connotato dalla realizzazione e dalla salvaguardia degli interessi che fanno capo all’intera collettività. Inoltre, è giusto che si pretenda competenza e celerità.

Ritengo però che in una società già fortemente connotata – così come rappresentato da alcune indagini empiriche – da un aumento vertiginoso delle patologie ansiose, la paura non sia la giusta leva alla quale affidarsi.

La paura, l’ansia, è giusto che alberghino con riguardo a fattispecie penalmente rilevanti, in cui ciò che si pretende da ciascun consociato – e, quindi, anche dai pubblici funzionari – è che ci si astenga dal porre in essere comportamenti integranti fattispecie di reato. Ma non con riferimento all’azione amministrativa tout court, ove a venire in gioco è un dovere di agire (chiaramente astenendosi, come detto, dal porre in essere reati).

Del resto, tutto il dibattito consumatosi nel tempo sul ruolo della colpa nell’illecito erariale, teso a trovare un punto di equilibrio tra la necessità, da un lato, di perseguire condotte integranti lo scorretto impiego di risorse pubbliche e, dall’altro, di un’efficiente e celere azione amministrativa, ha fatto perno proprio sulla serenità del funzionario, al quale deve essere garantita una soglia di sicurezza. Serenità e responsabilità, non già l’ansia, devono costituire la bussola attorno alla quale far ruotare il corretto esercizio delle funzioni pubbliche.

Queste, dunque, le ragioni per cui rimango dell’idea che l’eliminazione temporanea della colpa grave sia il male minore.

A meno che il decisore politico non riesca in tempi brevi a mettere mano a una riforma che – come ho avuto modo di ricordare in un’altra occasione – ben potrebbe andare nel senso tracciato dal Presidente della Corte dei conti. Vale a dire un intervento attraverso cui regolamentare le ipotesti di colpa grave al fine di elidere il rischio di ipotesi degenerative. In pari tempo, vòlto a introdurre – solo con riguardo all’agire colposo – forme di parametrazione e di riduzione dell’entità del danno, che tengano conto delle condizioni patrimoniali ovvero della ricorrenza di oggettivi ostacoli al corretto adempimento dei doveri di servizio.

Vi è anche un’altra strada, che peraltro ben potrebbe combinarsi con la precedente. Ripristinare lo spirito Cavouriano, con una Corte dei conti che, attraverso una implementazione e un impegno nell’attività consultiva e nel controllo preventivo di legittimità, dialoghi proficuamente – nel rispetto, beninteso, di prerogative e ruoli propri di ciascuno – con la Pubblica amministrazione. Dico questo perché nell’epocale momento di cambiamento che il Paese sta attraversando il fattore tempo tende ad assumere una importanza infinitamente più grande rispetto a quanto esso poteva avere nel passato. Ciò porta a concentrare l’attenzione sulla assoluta necessità di mettere le amministrazioni pubbliche, a iniziare da quelle territoriali, nella condizione di poter sviluppare l’azione amministrativa al servizio dei cittadini nel modo più corretto e proficuo, sin dal suo inizio.

Quelle menzionate – va sottolineato – sono funzioni già intestate alla Corte dei conti (il controllo preventivo di legittimità addirittura è legato alla stessa istituzione della Corte dei conti, ormai più di centosessant’anni fa). Esse nondimeno stentano a trovare spazio e ad assumere reale rilevanza. Ecco allora che un intervento legislativo potrebbe andare nel senso di una messa a punto delle già menzionate funzioni e di una chiarificazione del ruolo della Corte dei conti.

Se solo si intraprendesse un itinerario di questo genere, l’alibi della paura della firma diventerebbe immediatamente implausibile, consentendo di perseguire efficacemente non solo i delinquenti, ma anche e realmente tutti quei pubblici funzionari incapaci e inetti.

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2 Commenti

  1. In una gara ad evidenza pubblica (appalto concorso, licitazione privata etc.), inviare degli inviti in ritardo e non consentire alle imprese di presentare una offerta congrua e meditata, mandando sostanzialmente deserta la gara ad esclusivo beneficio dell’unico concorrente che nella realtà si è voluto favorire.
    Questa era una fattispecie frequente che mi trovavo di fronte in diverse decine di indagini in terra di Calabria nel periodo 1988/1993, laddove, quale appartenente alla Guardia di finanza, mi occupavo di “grandi appalti pubblici”.
    Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che si comporta in tal modo, è corrotto (non ci sono prove) o è solo sbadato e superficiale?

  2. In una gara ad evidenza pubblica (appalto concorso, licitazione privata etc.), inviare degli inviti in ritardo e non consentire alle imprese di presentare una offerta congrua e meditata, mandando sostanzialmente deserta la gara ad esclusivo beneficio dell’unico concorrente che nella realtà si è voluto favorire.
    Questa era una fattispecie frequente che mi trovavo di fronte in diverse decine di indagini in terra di Calabria nel periodo 1988/1993, laddove, quale appartenente alla Guardia di finanza, mi occupavo di “grandi appalti pubblici”.
    Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che si comporta in tal modo, è corrotto (non ci sono prove) o è solo sbadato e superficiale?

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