martedì, Aprile 23, 2024
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LAVORO IN BANCA: Il demansionamento da preposto con dipendenti sottoposti a tenutaria del registro statistico delle rapine legittima il danno alla professionalità ma non il mobbing

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO




Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:Dott. ROSELLI Federico –
Presidente -Dott. AMOROSO Giovanni –
Consigliere -Dott. NOBILE Vittorio – rel.
Consigliere -Dott. BALESTRIERI Federico –
Consigliere -Dott. GHINOY Paola –
Consigliere -ha pronunciato la seguente:
sentenzasul ricorso 15150-2008 proposto da:INTESA SANPAOLO S.P.A.,
(già SANPAOLO IMI S.P.A.), in persona dellegale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,CORSO VITTORIO EMANUELE II
326, presso lo studio degli avvocatiSCOGNAMIGLIO CLAUDIO, SCOGNAMIGLIO
RENATO, che la rappresentano edifendono unitamente all\’avvocato RIZZO
GAETANO, giusta delega inatti;
– ricorrente – contro
B.G. C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, VIASABOTINO 2,
presso lo studio dell\’avvocato ZAZA CLAUDIO, che larappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controricorrente -avverso la sentenza n. 3812/2007 della
CORTE D\’APPELLO di NAPOLI,depositata il 31/07/2007 R.G.N.
5847/2004;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del26/06/2014 dal Consigliere Dott. NOBILE VITTORIO;udito
l\’Avvocato SANGERMANO FRANCESCO per delega
SCOGNAMIGLIOCLAUDIO;udito l\’Avvocato ZAZA CLAUDIO;udito il P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.CERONI Francesca
che ha concluso per l\’improcedibilità,inammissibilità, in
subordine rigetto del ricorso.



Fatto



Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli del 21-3- 2001 B.G., quadro presso ilBanco di
Napoli, già preposta prima all\’ufficio 8 e poi all\’ufficio 10, assumeva:
che il 15-10-1999era stata assegnata all\’ufficio 7 senza specifiche
mansioni; che il 14-1-2000 le era stata affidata lapreposizione
dell\’ufficio 1 Segreteria del Servizio senza ricevere le consegne dal
precedentetitolare nè gli strumenti normativi necessari; che dagli
inizi del 1999 la Direzione aveva adottatonei suoi confronti soprusi e
angherie; che dal 18-9-2000, trasferita all\’ufficio 6, aveva trascorso
lasua giornata quasi del tutto inattiva perchè non le era stato
affidato alcun incarico; che talicomportamenti erano stati
particolarmente gravi in quanto iniziati in un periodo per lei difficile
pergravissimi motivi familiari (essendo stato il coniuge colpito da
una grave malattia che lo avevaportato alla morte nel dicembre 1999).
Tanto premesso la ricorrente chiese il risarcimento deidanni subiti per
effetto delle continue vessazioni (mobbing) di cui era stata
destinataria, daquantificarsi anche in via equitativa;chiese, poi, che
accertata la sua dequalificazione, le fossero assegnate mansioni
adeguate alla suaprofessionalità, con condanna della società al
risarcimento danni, da quantificarsi anche in viaequitativa.



La s.p.a. San Paolo IMI contestava quanto sostenuto dalla B. e concludeva per il rigetto delladomanda.



Il giudice adito, con sentenza
depositata il 7-10-2003, dichiarava la nullità della domandariguardante
il mobbing ed accoglieva la richiesta risarcitoria per danni alla
professionalità peresservi stata dequalificazione nel periodo
18-9-2000/21-3-200; quantificava equitativamente ilrisarcimento nella
misura della metà delle retribuzioni ricevute per le giornate di
effettiva attivitàcon riferimento al predetto periodo, oltre accessori.



Con ricorso dell\’8-7-2004 la San Paolo
IMI impugnava parzialmente la decisione di primo grado,con riferimento
soltanto all\’accertamento della dequalificazione, in quanto i testi
escussi avevanoreso dichiarazioni non interpretate correttamente dal
primo giudice.



Evidenziava, poi, che quest\’ultimo si
era spinto ultra petita in quanto aveva disposto ilrisarcimento del
danno con riferimento alla perdita di professionalità, mentre la B.
aveva chiesto ilrisarcimento per danni subiti sul piano biologico.
Precisava comunque che non era stato provatoalcun danno, considerato in
re ipsa dal giudice, e concludeva, pertanto, per la parziale
riformadella sentenza di primo grado con rigetto della domanda
riguardante la asserita dequalificazione econdanna dell\’appellata alla
restituzione della somma di Euro 4.760,11 corrisposta in
dipendenzadella esecuzione della sentenza di primo grado.



La B. si costituiva resistendo al
gravame di controparte e proponendo appello incidentale,chiedendo che
la quantificazione del risarcimento fosse estesa anche ai giorni di
assenza dal lavoronel periodo riconosciuto dal primo giudice e che
fosse accolta anche la domanda di risarcimentoda mobbing essendo stato
dedotto ogni elemento utile ai fini della sua individuazione.



La Corte d\’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 31-7-2007, rigettava entrambi gli appelli.



In sintesi la Corte territoriale, in
base alle risultanze della prova testimoniale, riteneva accertato
ildemansionamento con il trasferimento all\’ufficio 6 Vigilanza,
allorquando la B. si trovògerarchicamente sottoposta al quadro S.R.,
svolgendo attività del tutto secondarie e marginali. Nelcontempo la
Corte confermava la determinazione equitativa del risarcimento del
danno,evidenziando che il primo giudice non era incorso in alcuna
ultrapetizione, avendo la attrice findall\’inizio chiesto il
risarcimento dei danni per essere stata “adibita a mansioni
dequalificaterispetto al grado rivestito e ed alla professionalità
raggiunta”.



La Corte di merito riteneva, poi,
corretta la quantificazione operata dal primo giudice sulla basedelle
giornate lavorative effettive e, seppure considerava valida la domanda
di risarcimento permobbing, la rigettava nel merito, non essendo stati
neppure allegati reiterati e specificicomportamenti datoriali vessatori
e aggressivi a suo danno, come tali “mobbizzanti”.



Per la cassazione di tale sentenza la Intesa San Paolo s.p.a. ha proposto ricorso con cinque motivi.



La B. ha resistito con controricorso.



La s.p.a. Intesa San Paolo ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..



Diritto



Con il primo motivo, denunciando
violazione dell\’art. 2103 c.c. e degli artt. 1362 e
ss.sull\’interpretazione del CCNL di categoria 11- 7-1999 e dell\’accordo
7-5-1997, la ricorrente siduole che la Corte territoriale “si è
lasciata suggestionare dalla considerazione che la B. dal18-9-2000 era
stata assegnata all\’ufficio Vigilanza, dove non aveva conservato la
posizione dipreposta” e deduce che le mansioni di preposizione non sono
le uniche attribuite ai quadri eneppure quelle maggiormente
qualificanti” e che la Corte di merito avrebbe dovuto accertare
laequivalenza o meno delle nuove mansioni rispetto a quelle precedenti.



Il motivo in parte è inammissibile e in parte è infondato.



In primo luogo non viene indicata
specificamente la collocazione tra gli atti processuali del CCNLe
dell\’accordo aziendale richiamati (v.



Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726), dei
quali vengono, peraltro, riportati soltanto alcuni stralci deltutto
inidonei ai fini dell\’osservanza del principio di autosufficienza, in
relazione al vizio diinterpretazione dei detti atti denunciato.



La censura si incentra, poi, nella
denuncia di insufficiente e contraddittoria motivazione alriguardo e
circa il necessario accertamento della equivalenza o meno delle nuove
mansioni rispettoalle precedenti.



Tale censura è infondata in quanto la
Corte di merito, dopo aver attentamente analizzato lerisultanze della
prova testimoniale ha accertato che la B., allorquando venne spostata
all\’ufficio 6″ha perso la preposizione che aveva avuto in precedenza”
ed “è stata addetta a tenere un registrostatistico delle rapine,
mansione che, oltre ad essere di minima rilevanza, la teneva occupata
soloper poco tempo”. Successivamente la B. “all\’inizio del 2001 fu
spostata all\’ufficio budget edaddetta a digitare dati al computer, per
poi giungere all\’ufficio Segreteria ove si occupò dellosmistamento
della Posta.



Tanto rilevato la Corte territoriale
ha affermato che “le mansioni affidate alla appellata dalsettembre
2000, dunque, non sono più state quelle di preposto con altri dipendenti
a lei sottopostima, oltre ad essere di poca rilevanza, escludevano
anche la posizione di preposto che, sebbene nonsiano le uniche affidate
ai quadri, sono certo quelle maggiormente qualificanti, rappresentative
egratificanti; anzi, ella fu sottoposta gerarchicamente ad un altro
quadro e lasciata sostanzialmenteinattiva, visto che le attività
affidatele la tenevano occupata poco tempo nell\’ambito della
giornatalavorativa”.



Tale accertamento di fatto risulta
congruamente motivato e resiste alla censura della societàricorrente,
che, peraltro, in effetti, neppure indica specificamente quali siano
state le mansioniqualificanti (anche se non di preposizione), svolte
dalla lavoratrice, che sarebbero state trascuratedalla Corte di merito.



Con il secondo motivo la ricorrente
lamenta la mancata considerazione del fatto che la B. avevarifiutato di
ricevere il foglio contenente il carico di lavoro che le era stato affidato”, cosìmanifestando “un sostanziale rifiuto
di eseguire le mansioni maggiormente qualificanti che leerano state
assegnate”, e che nel periodo in questione la lavoratrice era rimasta
spesso assente permalattia e cause varie.



Anche tale motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.



In primo luogo la ricorrente afferma
di aver censurato sul punto con l\’atto di appello la pronunciadi primo
grado, ma non riporta specificamente il contenuto di tale atto nella
parte de qua, inossequio al principio di autosufficienza.



La ricorrente, poi, neppure indica
alcuna risultanza istruttoria dalla quale sarebbe emersa lacircostanza
di fatto invocata, per cui deve ritenersi che la stessa in definitiva
sia rimasta una meraasserzione.



Infine della circostanza che “il demansionamento si è perpetrato per meno di sei mesi durante iquali la presenza al lavoro della appellata non è stata certo costante” la Corte di merito ha giàtenuto ampiamente conto.



Con il terzo motivo la ricorrente
lamenta ultrapetizione deducendo che i giudici di merito
hannoriconosciuto un risarcimento del danno alla professionalità, pur
avendo il ricorso introduttivo adoggetto soltanto il danno alla salute.



Tale motivo è infondato giacchè, come
ha rilevato la Corte d\’Appello, la B. con il ricorsointroduttivo aveva
chiesto il risarcimento dei danni per essere stata “adibita a
mansionidequalificate rispetto al grado rivestito ed alla
professionalità raggiunta”, di guisa che non vi èstata alcuna
ultrapetizione. Del resto si tratta chiaramente di una componente del
danno(complessivo) lamentato con la domanda.



Infine con il quarto motivo la
ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe “taciuto deltutto
sui parametri in base ai quali ha operato la liquidazione equitativa”.



Anche tale motivo è infondato.



Come è stato chiarito da questa Corte
“qualora proceda alla liquidazione del danno in viaequitativa, il
giudice di merito, affinchè la sua decisione non presenti i connotati
della arbitrarietà,deve indicare i criteri seguiti per determinare
l\’entità del risarcimento, risultando il suo poterediscrezionale
sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorchè si
dia conto chesono stati considerati i dati di fatto acquisiti al
processo come fattori costitutivi dell\’ammontare deidanni liquidati”
(v. fra le altre Cass. 4-4-2013 n. 8213).



Nel caso in esame la Corte d\’Appello,
nel respingere l\’appello incidentale della B. e nel confermarela
pronuncia di primo grado, circa la quantificazione del risarcimento del
danno nel 50%, delleretribuzioni giornaliere spettanti per ogni giorno
di effettivo servizio, ha affermato che,”considerato anche che il
demansionamento si è perpetrato per meno di sei mesi” (vedi
sopra),”appare rispondente ad equità ritenere che il suo bagaglio
professionale sia stato compromessosolo durante le poche giornate in
cui ella si è dedicata alle nuove mansioni che, peraltro,
nonrichiedevano alcun impegno e non la occupavano per tutte le ore di
lavoro”.



Tale motivazione risulta senz\’altro
conforme al principio sopra richiamato (essendo evidenziati ilcriterio e
i fatti rilevanti) e resiste alla censura della ricorrente.



Il ricorso va pertanto respinto e la
ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata alpagamento
delle spese in favore della B..



P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e condanna
la ricorrente a pagare alla B. le spese liquidate in Euro100,00 per
esborsi e Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori
di legge.



Così deciso in Roma, il 26 giugno 2014.



Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2014

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