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PROVE D’ESAME: Copiare è reato

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Sentenza 21.6.2010 n. 32368

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente –

Dott. COLLA Giorgio – Consigliere –

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere –

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere –

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da:

 

M.T., n. a (OMISSIS);

 

avverso la sentenza in data il novembre 2008 della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto ;

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giovanni Conti; Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Stabile Carmine, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione relativamente al reato di cui al capo A e per l’annullamento con rinvio relativamente al reato di cui al capo B;

 

Udito per la parte civile S.C. l’avv. Campanelli Giuseppe, in sostituzione dell’avv. Mattesi Cesare, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito per l’imputata l’avv. Buccico Nicola, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

 

FATTO E DIRITTO

 

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto , confermava la sentenza in data 4 giugno 2004 del Tribunale di Taranto, appellata da M.T., condannata, con le attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi dieci di reclusione, oltre al risarcimento dei danni di parte civile, in quanto responsabile dei reati, in continuazione tra loro, di cui alla L. 19 aprile 1925, n. 475, artt. 1 e 3 (Capo A:

per avere, nella prova scritta del concorso pubblico di Dirigente del servizio contenzioso e ufficio di conciliazione della Provincia di Taranto , presentato come proprio un elaborato in realtà interamente trascritto da una sentenza del T.A.R. Alla stessa previamente comunicata da Mu.Fr., membro della commissione esaminatrice) e agli artt. 56, 110 e 323 c.p. (Capo B: per avere concorso con il Mu., il quale, attraverso la condotta di cui al capo precedente, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare alla stessa un ingiusto vantaggio patrimoniale, costituito dal superamento del concorso, proclamato dalla Giunta Provinciale di Taranto con delibera n. 390 del 29 ottobre 1999, non conseguendo l’intento per effetto di successive pronunce del T.A.R. Che accoglievano i ricorsi promossi contro detta delibera dal concorrente soccombente S.C.); in (OMISSIS).

Ricorre per cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, avv. Emilio Nicola Buccico, che denuncia:

1. Vizio di motivazione e violazione di legge, in riferimento agli artt. 521 e 522 c.p.p. E artt. 56 e 323 c.p., relativamente al capo B, per difetto di correlazione tra imputazione e sentenza: nella prima si è addebitato all’imputata il fatto che il Mu. Non l’avesse esclusa dal concorso, collocandola al primo posto della graduatoria; nella seconda, si individua la condotta criminosa nell’avere la M. ricevuto per fax, due giorni prima della prova scritta, la sentenza del T.A.R. Campania attinente a una questione giuridica che avrebbe costituito l’oggetto della prova scritta.

2. Vizio di motivazione e violazione di legge, sempre relativamente al capo B, in riferimento agli artt. 110, 56 e 323 c.p., D.P.R. n. 487 del 1994, art. 13 norma quest’ultima che impone la esclusione dal concorso del candidato che effettui la copiatura del compito sulla base di altro elaborato, posto che nella specie la M. nello svolgimento del compito aveva legittimamente fatto riferimento a una sentenza del T.A.R. Campania ampiamente diffusa attraverso riviste specialistiche, che atteneva al tema sottoposto ai candidati, estratto casualmente tra altri tre, come fa fede il verbale di concorso, peraltro sviluppando autonomamente autonome ed originali considerazioni.

3. Vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 3 (capo A), norma che si riferisce a dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e in genere a lavori che siano opera di altri e non certo a sentenze pubblicate e conoscibili da ogni interessato.

4. Vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento all’art. 157 c.p., essendo il reato di cui al capo A, consumato il 7 luglio 1999, prescritto in data antecedente al giudizio di secondo grado, anche tenendo conto delle cause di sospensione.

Ad avviso della Corte il ricorso è infondato.

E’ stato accertato, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità, che il compito redatto dalla M. riproduceva, pressocchè ad litteras, finanche nella punteggiatura, il contenuto, relativo alla parte “in diritto”, di una sentenza del TAR Campania specificamente dedicata alla questione (allora controversa) su cui si dovevano impegnare i candidati (rilevanza della sentenza di patteggiamento ai fini delle cause di incandidabilità di cui alla L. n. 55 del 1990, art. 1), e che tale sentenza era stata comunicata via fax alla candidata, due giorni prima della prova scritta, dal commissario Mu..

Non merita qui esaminare se il Mu., nel momento in cui trasmise il fax, già sapesse (per averla già ideata) che una delle tre tracce di temi su cui si sarebbe effettuato il sorteggio concerneva proprio una simile questione di diritto, ipotesi peraltro non irragionevolmente privilegiata dalla sentenza impugnata; né risulta in alcun modo che il sorteggio tra le tre tracce ideate dalla commissione sia stato influenzato da qualche anomalia.

Rileva però che il Mu. Era uno dei commissari di esame e che egli fornì alla candidata, attraverso la trasmissione della sentenza, la fonte conoscitiva utilizzabile e di fatto utilizzata dalla medesima, non importa se in via esclusiva, nella prova scritta del concorso.

Risulta pertanto ineccepibile la valutazione dei giudici di merito secondo cui la M. nel corso della prova scritta effettuò, pur senza essere in quel frangente scoperta, una pedissequa copiatura del testo della sentenza trasmessole dal Mu., essendo da escludere che la stessa fosse in possesso di doti mnemoniche di tale sovrumana eccezionalità da renderle possibile di riprodurre, finanche nella punteggiatura, un testo da lei preventivamente mandato a memoria, che del resto era solo ipoteticamente relativo a uno degli innumerevoli argomenti su cui avrebbero potuto essere impegnati i candidati.

In diritto una simile condotta corrisponde alla fattispecie criminosa contestata al capo A, la cui ratio consiste nella repressione della condotta di chi, in occasione di prove relative a concorsi o esami pubblici, presenta come frutto di una personale elaborazione temi o dissertazioni che, attraverso le più varie modalità, formino oggetto di una non consentita copiatura, non importa da quale fonte (privata, scientifica, giurisprudenziale), all’atto in cui la prova è sostenuta dal candidato.

Consegue che il reato è integrato anche qualora il candidato faccia riferimento a opere intellettuali, tra cui la produzione giurisprudenziale, di cui citi la fonte, ove la rappresentazione del suo contenuto sia non il prodotto di uno sforzo mnemonico e di una autonoma elaborazione logica, ma il risultato di una materiale riproduzione operata mediante la utilizzazione di un qualsiasi supporto abusivamente impiegato nel corso della prova.

Quanto al capo B, non è ravvisabile la dedotta immutazione del fatto.

Al Mu. (e in concorso con questo all’imputata) è stato contestato di avere operato per determinare la vittoria della M. nel concorso pubblico, “nonostante che egli fosse consapevole che la stessa avesse copiato pedissequamente l’intera prima prova scritta dalla sentenza del TAR” da lui preventivamente trasmessale; e tanto è stato infatti accertato dai giudici di merito e posto a base dell’affermazione della responsabilità penale; che ovviamente si collega alla ulteriore contestazione sub A, una volta accertata, per le considerazioni sopra svolte, l’abusività della condotta della M. durante la prima prova scritta del concorso.

Il reato di cui al capo A, contrariamente a quanto dedotto, non è prescritto.

Premesso che nella specie è applicabile la disciplina previgente alla L. n. 251 del 2005, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 10 di questa legge, dato che la sentenza di condanna in primo grado è stata pronunciata in data 4 giugno 2004 (v. S.U. 29 ottobre 2009, D’Amato), il termine di prescrizione di sette anni e sei mesi, ex art. 157 c.p., n. 4 e art. 160 c.p., u.c., decorrente dalla cessazione della continuazione (22 settembre 1999) ex art. 158 c.p., comma 1, cade il 22 marzo 2007, termine cui vanno aggiunti tre anni, un mese e 17 giorni, dovuti a varie sospensioni per impedimento del difensore o dell’imputato occorse sia in primo sia in secondo grado, così determinandosi il maturare della prescrizione al 9 maggio 2010, e cioè in data successiva alla prima udienza del 6 maggio 2010 davanti a questa Corte, in cui il dibattimento venne rinviato a nuovo ruolo e rifissato per la odierna udienza a causa di un ulteriore impedimento del difensore.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. La condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché a rifondere alla parte civile S.C. Le spese sostenute nel grado che, in relazione all’impegno difensivo, si stima di determinare in Euro 2.500 complessivi.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché a rifondere alla parte civile S.C. Le spese sostenute nel grado che liquida in Euro 2.500 complessivi oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 21 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2010

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