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REPECHAGE: Licenziamento ingiustificato

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

24 maggio 2011 n. 11356

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da:

vari ricorrenti – ricorrenti

contro

xx – controricorrente –

avverso la sentenza n. 865/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/09/2007, R.G.N. 2134/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO; udito l’Avvocato D’ANDREA ROBERTO per delega PIOVAN CESARE; udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO;

udito il P.M. In persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con sentenza del 20 – 27/9/07 la Corte d’Appello di Milano accolse l’appello principale proposto il 23/12/05 dalla società P. s.p.a avverso la sentenza n. 249/05 del Tribunale di Como, che aveva annullato i licenziamenti intimati da quest’ultima in data 26/7/04 ai dipendenti B.M.C. E da U.M., mentre rigettò l’appello incidentale dei lavoratori diretto alla verifica del rispetto dell’obbligo datoriale di repechage, e di conseguenza riformò la sentenza impugnata, rigettando le domande di reintegra dei lavoratori. La Corte milanese addivenne a tale decisione ritenendo che era stata provata la legittimità dei licenziamenti dovuti al motivo oggettivo della soppressione del posto di lavoro dei suddetti dipendenti con redistribuzione delle loro mansioni ad altri lavoratori; inoltre, la Corte rilevò che la B., impiegata presso l’ufficio servizi, aveva solo allegato, senza provarlo, di aver dato la sua disponibilità a svolgere mansioni di linea, mentre per lo U., impiegato di sesto livello, era emerso che nel ramo tecnico, dal medesimo indicato come reparto di suo gradimento per un impiego alternativo, nessuno era stato assunto dalla società.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso la B. e lo U., affidando l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resiste con controricorso la P. s.p.a. Che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Successivamente la B. ha depositato la notifica dell’atto di rinuncia al presente ricorso e la P. s.p.a ha accettato tale rinunzia come da relativo atto depositato in data 27/10/09, debitamente notificato alla controparte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente la Corte prende atto della intervenuta transazione tra B.M.C. E la società P. s.p.a, come da relativa scrittura del 17/6/09 prodotta in atti dalla quale emerge che le stesse hanno concordato anche la compensazione delle spese del presente giudizio, nonché della rinunzia agli atti del giudizio da parte della B., rinunzia che è stata regolarmente accettata dalla controparte, come da relativa nota di deposito in cancelleria, per cui va dichiarata l’estinzione del giudizio nei confronti di B.M.C.. Resta, pertanto, da esaminare il ricorso di U.M. Che si articola in tre motivi di censura.

1. Col primo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Attraverso tale motivo il ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha errato nell’individuare la portata delle ragioni inerenti all’attività produttiva, al suo regolare funzionamento e all’organizzazione del lavoro poste a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e a conforto di tale tesi deduce che non può esservi soppressione del posto se le mansioni svolte dal lavoratore sopravvivono integralmente senza essere abolite neppure in parte, in quanto diversamente opinando si finirebbe per liberalizzare senza confini l’iniziativa imprenditoriale. Quindi, secondo il ricorrente, il motivo oggettivo necessitava nella fattispecie di una giustificazione che, essendo stata indicata dalla datrice di lavoro in ragioni di ordine economico, avrebbe dovuto essere sorretta, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 5 da una rigorosa prova, che non solo era mancata, ma che stata anche erroneamente ritenuta superflua dal giudicante.

Il quesito di diritto che al riguardo viene posto è il seguente: “Dica la Corte se sia legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro dei dipendenti della P. s.p.a. B. e U. qualora le relative mansioni non siano state in tutto o in parte soppresse, ma solo integralmente ridistribuite fra altri lavoratori. Dica altresì, in subordine, nella denegata ipotesi affermativa, se sia lecito che il giudice, in presenza della intervenuta integrale ridistribuzione delle mansioni dei lavoratori B. e U., abbia ritenuto superfluo l’indagine circa l’esistenza della allegata diminuzione degli ordini e del fatturato della società e circa la sua situazione patrimoniale prescindendo con ciò dalla prova, incombente sul datore di lavoro L. n. 604 del 1966, ex art. 5 di tali ragioni oggettive atte a giustificare il licenziamento”.

2. Col secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 116 c.p.c. In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), ponendosi il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se, una volta che i ricorrenti B. e U. abbiano specificamente contestato, nell’atto introduttivo di primo grado, la sussistenza delle condizioni economiche e organizzative allegate dalla P. s.p.s. Nella lettera di licenziamento del 26/7/04 a supporto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed abbiano invitato la resistente a fornirne la prova rigorosa senza mai modificare tale atteggiamento univoco nel corso del giudizio, dovessero nuovamente reiterare la negazione, all’udienza di discussione, delle contrarie argomentazioni al riguardo svolte dalla società resistente nella memoria difensiva e se il non averlo fatto possa o meno far ritenere non contestate dette ragioni, così come addotte dalla P. a supporto del licenziamento, in violazione dell’art. 2697 c.c., nonché della L. n. 604 del 1966, art. 5 e dell’art. 116 c.p.c.”.

In pratica, attraverso tale motivo, si lamenta un travisamento della norma atto a far desumere dal giudicante elementi di prova dal comportamento delle parti nel giudizio, in quanto quest’ultimo, dopo aver erroneamente ritenuto la superficialità dell’indagine circa l’esistenza o meno dell’allegata diminuzione degli ordini e del fatturato della società e della situazione patrimoniale, aveva aggiunto che, peraltro, la circostanza, allegata nella memoria costitutiva del giudizio di primo grado, non era stata contestata dagli attori nella prima occasione processuale utile, dovendosi, quindi, intendere come provata e per la stessa ragione doveva ritenersi come acquisito il dato della progressiva riduzione della forza di lavoro della P. a partire dal luglio del 2003.

Osserva la Corte che i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente posto che in entrambi è affrontata, seppur sotto diverse angolazioni, la questione della prova della soppressione del posto di lavoro interessante lo U. come elemento giustificativo dell’intimato licenziamento.

Ebbene, entrambi i motivi sono infondati.

Invero, occorre partire dalla considerazione, emersa anche dalla sentenza di primo grado che fu favorevole al lavoratore, che nella fattispecie si ebbe realmente una redistribuzione tra altri dipendenti delle mansioni svolte dal ricorrente.

Ciò emerse dalle deposizioni assunte in primo grado e risultò, altresì, che la suddetta ridistribuzione era stata giustificata sulla scorta della incontestata circostanza delle ragioni economiche dipese dalla diminuzione degli ordini e del fatturato, cui era seguita una progressiva riduzione della forza lavoro.

Tutto ciò era sufficiente ad integrare gli estremi del giustificato motivo di recesso, non essendo necessario, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, che fosse la stessa mansione interessante il ricorrente a dover scomparire dall’organizzazione aziendale.

Si è, infatti, già avuto modo di affermare (Cass. Sez. lav. n. 17887 del 22/08/2007) che “il licenziamento per motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità (Nella specie, la S.C. Ha confermato la sentenza impugnata che, nel riconoscere l’effettività della scelta imprenditoriale di razionalizzare l’attività aziendale, aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad una biologa addetta un laboratorio di analisi, il cui posto di lavoro, a seguito della contrazione delle richieste concernenti l’attività. Pertanto, la stessa doglianza di cui al secondo motivo, per la quale l’onere di contestazione delle circostanze dedotte dalla società con la memoria costitutiva (diminuzione degli ordini e del fatturato nel 2004 rispetto all’anno precedente e progressiva riduzione della forza lavoro a partire dal luglio del 2003) doveva ritenersi assolto sin dal ricorso introduttivo del giudizio col quale era stata posta in discussione la sussistenza delle circostanze atte a legittimare il licenziamento, non è condivisibile per le seguenti ragioni:

anzitutto, il grado di specificità delle allegazioni difensive societarie esigeva, ai fini della completa attuazione del principio della circolante degli oneri probatori, una altrettanto specifica contestazione da parte del ricorrente; inoltre, l’obiezione odierna non incide sulla autonoma “ratio decidendi” della sentenza nella parte in cui è ritenuta superflua ogni ulteriore indagine sull’esistenza della allegata riduzione degli ordini e del fatturato in ragione della già accertata sussistenza, per il mezzo della prova testimoniale, della avvenuta redistribuzione delle mansioni, quale causa legittima del recesso interessante la posizione lavorativa dello U..

3. Col terzo ed ultimo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. In relazione all’obbligo del “repechage”, nonché dell’art. 2697 c.c. E e dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), oltre che l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) chiedendosi di accertare, per quel che concerne la posizione ancora in discussione dello U., se la P. s.p.a. Abbia assolto l’obbligo di “repechage” senza aver fornito la prova di non poter adibire l’ U. alle mansioni, dallo stesso indicate, di addetto al ramo tecnico od al laboratorio, violando le stesse norme sopra indicate.

In particolare il ricorrente si duole del fatto che pur avendo la Corte riconosciuto che egli aveva esposto di poter essere impiegato in tutto il ramo tecnico o nell’ufficio industrializzato del prodotto, la stessa finiva, poi, per ritenere offerta la prova della impossibilità del “repechage” per la sola circostanza che nessuno era stato assunto dalla società in tale ufficio dopo il licenziamento, tanto più con il suo inquadramento. Tuttavia, osserva il ricorrente, la mancata assunzione di altri nell’ufficio industrializzazione del prodotto non dimostra affatto che egli non potesse essere adibito ad altro ruolo “in tutto il ramo tecnico” o al laboratorio (come dichiarato in udienza), la qual cosa evidenzierebbe una carenza di indagine costituente un vizio motivazionale. Il motivo è fondato.

Invero, l’argomento seguito dal giudice d’appello nella spiegazione del suo convincimento in ordine al fatto che si poteva ritenere raggiunta la prova che la datrice di lavoro aveva assolto al suo obbligo di “repechage”, vale a dire quello per il quale in tutto il ramo tecnico o nell’ufficio di industrializzazione del prodotto, nei quali il lavoratore aveva manifestato la sua disponibilità ad essere reimpiegato, nessuno era stato assunto dopo il suo licenziamento e, per giunta, col suo stesso inquadramento, poggia su un dato che potrebbe essere semplicemente occasionale o, in ipotesi, voluto e che, pertanto, non può dar contezza dei reali sforzi seguiti in concreto dalla parte datoriale nell’assolvimento del predetto obbligo.

La motivazione censurata è, quindi, insufficiente ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni atte a far ritenere adempiuto l’onere probatorio avente ad oggetto l’obbligo datoriale di cercare di utilizzare il dipendente in altro posto di lavoro per il disimpegno delle stesse mansioni o di altre equivalenti all’interno dell’impresa, per cui lascia irrisolta la questione legittimamente sollevata dal lavoratore in merito alla concreta possibilità di essere eventualmente adibito in altro ruolo in tutto il ramo tecnico o nel predetto ufficio di industrializzazione del prodotto, settori lavorativi, questi, rispetto ai quali egli aveva manifestato la sua disponibilità per un reimpiego.

Il vizio appena riscontrato riguarda, quindi, un punto decisivo, vale a dire quello della verifica dell’assolvimento dell’onere probatorio di rispetto dell’obbligo di “repechage”, tale, cioè, da rendere possibile una diversa soluzione ove il relativo errore non fosse stato commesso, per cui la sentenza impugnata va cassata limitatamente a tale motivo ed il procedimento va rinviato per la verifica nel merito, da parte del giudice d’appello, della prova dell’assolvimento dell’obbligo in esame da parte della datrice di lavoro.

In definitiva, il ricorso va rigettato in ordine ai primi due motivi di censura, mentre va accolto limitatamente al terzo motivo, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano che giudicherà, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara l’estinzione del giudizio nei confronti di B.M. C. e compensa fra costei e la società le spese del giudizio;

accoglie il ricorso dello U. limitatamente al terzo motivo, rigettando i primi due; cassa la sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per il regolamento delle spese.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

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