sabato, Aprile 20, 2024
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RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA D’IMPRESA: E’ autonoma rispetto al reato perseguibile a titolo personale

 
MASSIMA
La responsabilità amministrativa dell\’ente ex D.Lgs 231/2001,
anche se presuppone la commissione di un reato, è autonoma rispetto a quella
penale, di natura personale. Per cui non si può escludere automaticamente la
responsabilità amministrativa della persona giuridica in conseguenza
dell\’assoluzione del suo funzionario.

CASUS DECISUS

Il pubblico ministero presso il tribunale di Milano propone
ricorso immediato per cassazione contro la sentenza di assoluzione della
Citibank N.A. dall\’illecito amministrativo di cui all\’articolo 5 del d.lgs.
231/01.
 
 
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 9 maggio
2013, n.20060 – Pres. Ferrua – est. Demarchi Albengo

Ritenuto in fatto

1. Il pubblico ministero presso il tribunale di Milano propone
ricorso immediato per cassazione contro la sentenza di assoluzione della
Citibank N.A. dall\’illecito amministrativo di cui all\’articolo 5 del d.lgs.
231/01.

2. A sostegno del ricorso lamenta erronea applicazione dell\’art.
8 del predetto d.lgs. con riferimento all\’illecito sub capo M (rectius: capo L),
in relazione al reato presupposto di cui al capo D.2 contestato a B.P. (dal
quale quest\’ultimo è stato assolto per non aver commesso il fatto).

3. Sostiene il pubblico ministero che avendo il Tribunale
ritenuto sussistente il reato presupposto, come si evincerebbe da quanto esposto
alla pagina 60 della sentenza, non avrebbe dovuto assolvere la Citibank, in
quanto quello dell\’ente è un titolo autonomo di responsabilità rispetto al reato
presupposto, tanto che l\’articolo 8 del d.lgs. afferma che la responsabilità
dell\’ente sussiste anche quando l\’autore del reato non è stato
identificato.

4. La Citibank ha depositato memoria a mezzo del difensore
mediante la quale contesta, primo luogo, che il tribunale abbia ritenuto la
sussistenza del reato (pur non commesso dal B. ), rilevando che alla pagina 61
la sentenza esclude in modo assoluto qualsiasi concorso nell\’illecito da parte
di soggetti riferibili alla società.

5. In secondo luogo afferma che non può procedersi per
l\’illecito amministrativo quando il reato si è estinto per prescrizione, che nel
caso di specie è maturata prima del 18/04/2011 e quindi prima della sentenza di
primo grado.

6. In terzo luogo sostiene che la responsabilità dell\’ente è
vincolata alla indispensabile individuazione di un soggetto che abbia commesso
un reato completo di ogni elemento, sia oggettivo che soggettivo; in particolar
modo, poiché il reato presupposto è doloso, non sarebbe possibile ritenere
sussistente tale reato in mancanza di individuazione dell\’autore materiale, con
riferimento al quale si deve valutare la sussistenza dell\’elemento
psicologico.

Considerato in diritto

1. Prima di procedere alla disamina dei motivi di ricorso,
occorre valutare quali siano gli effetti della prescrizione del reato
presupposto sulla perseguibilità dell\’illecito amministrativo.

2. Dice l\’art. 60 del d. lgs. 231/2001 che \’Non può procedersi
alla contestazione di cui all\’articolo 59 quando il reato da cui dipende
l\’illecito amministrativo dell\’ente è estinto per prescrizione\’.

3. La relazione governativa afferma che l\’articolo 60 prevede un
termine finale (di decadenza, secondo la rubrica dell\’articolo) per l\’esercizio
da parte del pubblico ministero del potere di contestare all\’ente l\’illecito
amministrativo dipendente dal reato, decorso il quale non può più procedersi
alla contestazione stessa (sul punto si veda, in motivazione, Sez. 5, n. 4335
del 16/11/2012, Franza, Rv. 254326).

4. L\’articolo 60 è piuttosto chiaro nel suo contenuto normativo
e comporta che l\’estinzione per prescrizione del reato impedisce unicamente
all\’accusa di procedere alla contestazione dell\’illecito amministrativo e non
impedisce, invece, di portare avanti il procedimento già incardinato.

5. D\’altronde, se è vero che l\’illecito amministrativo si
prescrive in cinque anni dalla commissione del reato, è anche vero che si devono
applicare le cause interruttive del codice civile e pertanto la prescrizione non
corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il
procedimento (articolo 2945 cod. civ.. Per un caso analogo si veda Sez. 4, n.
9090 del 05/04/2000, Lefemine, Rv. 217126: A norma degli artt. 2943 e 2945 cod.
civ. la prescrizione è interrotta dall\’atto col quale si inizia un giudizio ed
essa pertanto non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza
che definisce il processo; ne consegue che, in applicazione analogica di tale
principio allorché la connessione con reati attribuisce al giudice penale la
cognizione di un\’infrazione amministrativa, il processo che venga iniziato a
seguito di un rapporto regolarmente notificato all\’interessato, ai sensi degli
artt. 14 e 24, secondo comma legge n. 689/1981, interrompe la prescrizione
dell\’illecito punito con sanzione amministrativa fino al passaggio in giudicato
della sentenza penale).

6. Ciò premesso sotto il profilo processuale, si deve ritenere
fondato il ricorso del pubblico ministero. Vanno richiamate, innanzitutto, le
considerazioni espresse dalla pubblica accusa con riferimento alla relazione
governativa al decreto legislativo, ove -premessa l\’autonomia della due ipotesi
di responsabilità (penale del singolo ed amministrativa della società) – si
afferma che in caso di mancata individuazione del soggetto responsabile non vi è
ragione di escludere la responsabilità dell\’ente.

7. È vero che sui criteri di interpretazione della legge,
cristallizzati dalla norma contenuta nell\’articolo 12 delle preleggi, non vi è
uniformità, ma non può essere messo in dubbio il criterio teleologico di natura
soggettiva, e cioè il ruolo non indifferente che nell\’attività ermeneutica deve
svolgere l\’indagine sull\’intenzione concretamente perseguita dal legislatore
storico con la emanazione della legge.

8. Occorre ricordare, infatti, che un orientamento di
legittimità, pur risalente, equipara i due criteri contenuti nel comma primo
dell\’art. 12 preleggi, intendendo la \’voluntas iegis\’ come volontà
soggettivamente espressa dal legislatore (\’Quando la lettera della legge è
esplicita e quando la intenzione del legislatore è fatta palese e inequivocabile
attraverso i lavori parlamentari durante i quali il testo della legge sia stato
ampiamente discusso, ogni diversa interpretazione, se può servire a rilevare
inconvenienti o lacune, non vale certamente ad immutare il senso della legge
stessa in guisa da farle dire cosa profondamente diversa da quanto ha voluto
dettare, sovrapponendosi alla volontà del costituente e del legislatore
ordinario, con grave pregiudizio della certezza del diritto e delle prerogative
parlamentari\’; cfr. Sez. 6, n, 126 del 26/01/1967, Tinelli, Rv. 103410. Fa
riferimento al pensiero e alla volontà del legislatore, anche al di là della
dizione letterale, anche Sez. 3, n. 894 del 25/03/1963, Rosmino, Rv. 98978). Vi
sono anche pronunce più recenti, pure delle sezioni unite, che arrivano a dare
prevalenza al profilo interpretativo soggettivo, ritenendo che quello letterale
non sia nemmeno un criterio interpretativo, ma solo il limite d\’ogni altro
metodo ermeneutico (Sez. U, n. 11 del 19/05/1999, Tucci, Rv. 213494).

9. Altre sentenze sembrano suggerire la prevalenza della ratio
oggettiva della norma, ricercando lo scopo perseguito soggettivamente dal
legislatore storico solo in caso di dubbio: \’Quando la lettera della norma sia
ambigua e sia altresì infruttuoso il ricorso al criterio ermeneutico sussidiario
costituito dalla ricerca, attraverso l\’esame complessivo del testo, della mens
legis, l\’elemento letterale e l\’intenzione del legislatore, rivelatisi
insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano, nel procedimento
interpretativo della legge, un ruolo paritetico, sicché – mediante la
valorizzazione della congiunzione \’e\’ interposta, nel primo comma dell\’art. 12
delle preleggi, fra un criterio interpretativo e l\’altro – l\’intenzione del
legislatore funge da criterio comprimario di ermeneutica, atto ad ovviare
all\’equivocità della formulazione del testo da interpretare\’ (v. sent. 3359/75,
RV. 377497; Sez. L, n. 1482 del 26/02/1983, Rv. 426307; N. 2663 del 1983, Rv.
427036; n. 2183 del 1983, Rv. 426382; n. 1557 del 1983, Rv. 426307; n. 5493 del
26/08/1983, Rv. 430429).

10.Altre sentenze ancora affermano la prevalenza del criterio
letterale, superabile solo nel caso in cui questo sia oscuro e foriero di
un\’interpretazione in contrasto con il sistema normativo (\’Il criterio di
interpretazione teleologia, previsto dall\’art. 12 delle preleggi, può assumere
rilievo prevalente rispetto all\’interpretazione letterale soltanto nel caso,
eccezionale, in cui l\’effetto giuridico risultante dalla formulazione della
disposizione di legge sia incompatibile con il sistema normativo; non è infatti
consentito all\’interprete correggere la norma, nel significato tecnico giuridico
proprio delle espressioni che la compongono, nell\’ipotesi in cui ritenga che
l\’effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto rispetto alla finalità
pratica cui la norma è intesa\’; cfr. Sez. L, n. 3495 del 13/04/1996, Rv. 497000.
Nello stesso senso si esprime in motivazione Sez. 3, n. 9700 del 21/05/2004, Rv.
572999: \’..quando l\’interpretazione letterale di una norma di legge sia
sufficiente a esprimere un significato chiaro e univoco, l\’interprete non deve
ricorrere all\’interpretazione logica, specie se attraverso questa si tenda a
modificare la volontà della legge chiaramente espressa (Cass, 17 novembre 1993,
n. 11359, nonché, tra le tantissime, Cass. 23 settembre 1985, n. 4711; Cass. 13
novembre 1979, n. 5901; Cass. 21 giugno 1972 n. 2000,- Cass. 3 dicembre 1970 nn.
da 2533 a 2537; Cons. SL, sez. 4^, 29 febbraio 1996, n. 222). Solo qualora il
significato proprio delle parole secondo la connessione di esse non sia già
tanto chiaro e univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione,
si deve ricorrere al criterio logico: ciò al fine di individuare, attraverso una
congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa \’intenzione del
legislatore\’, avendo cura, però, di individuarla quale risulta dal singolo testo
che è oggetto di esame e non già, o semmai in via subordinata e complementare,
quale può genericamente desumersi dalle finalità ispiratrici di un più ampio
complesso normativo in cui quel testo, insieme con altri, ma distintamente da
essi, è inserito (Cass. 16 ottobre 1975 n. 3359). Il criterio di interpretazione
teleologia, previsto dall\’ultima parte del primo comma dell\’art. 12, preleggi,
in particolare, può assumere rilievo prevalente, rispetto alla interpretazione
letterale solo nel caso, eccezionale, in cui l\’effetto giuridico risultante
dalla formulazione della disposizione di legge sia incompatibile con il sistema
normativo, non essendo consentito all\’interprete correggere la norma, nel
significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, nella
ipotesi in cui ritenga che l\’effetto giuridico che ne deriva sia solo inadatto
rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa\’).

11. Un\’interpretazione più recente sembra condividere i
risultati della dottrina più \’progressista\’, secondo cui lo scopo della norma
non è quello propostosi dai compilatori della legge (interpretazione
soggettiva), ma quello oggettivamente inteso (interpretazione oggettiva), come
tale suscettibile di mutamenti con il variare della realtà sociale, onde della
norma è possibile una interpretazione evolutiva. Si veda in motivazione Sez. U,
n. 5385 del 26/11/2009, D\’Agostino, Rv. 245584: \’… i criteri propri della
interpretazione logica cui, ai sensi dell\’art. 12 delle disposizioni sulla legge
in generale, il giudice deve fare ricorso, con il solo limite rappresentato
dalla lettera della norma nella sua massima capacità di espansione, per
stabilire quale sia la reale intenzione del legislatore. Intenzione che, secondo
un canone ermeneutico ormai generalmente recepito e costantemente adottato dalla
giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Sez. III 13/5/08 n. 36845
con riferimento al reato di cui all\’art. 674 c.p.) va considerata non in senso
soggettivo ma in senso oggettivo, come voluntas legis, sicché non è importante
tanto stabilire (soprattutto se, come nel caso di specie, l\’origine della norma
è lontana nel tempo) quale fosse lo scopo perseguito da chi l\’ha redatta, quanto
piuttosto individuare quale è la funzione cui essa risponde nel contesto del
sistema in cui è attualmente inserita; e ciò al di là delle parole usate che,
nella loro accezione più comune, possono non essere, per le più svariate
ragioni, le più idonee a compiutamente rivelare la ratio della
disposizione\’.

12. Ma l\’approdo cui sono giunte le sezioni unite sembra
tutt\’altro che univoco; la sentenza riportata si pone in (sembra) inconsapevole
contrasto con una pronuncia di poco precedente, che invece assegnava carattere
predominante al criterio teleologia) di natura soggettiva, ritenendo che la
volontà legislativa fosse quella desumibile dai lavori parlamentari (v. in
motivazione Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537).

13.Or bene, pur nell\’impossibilità di trovare un punto fermo
nella valutazione di prevalenza dei vari criteri interpretativi, si deve
osservare che nessuna questione si pone allorché tutti e tre i predetti criteri
(letterale, teleologia) soggettivo e teleologico oggettivo) conducano al
medesimo risultato.

14. Dice l\’art. 8 del d.lgs. 231/2001 che \’La responsabilità
dell\’ente sussiste anche quando: a) l\’autore del reato non è stato identificato
o non è imputabile (…)\’. Il senso letterale della norma è chiarissimo
nell\’evidenziare non tanto l\’autonomia delle due fattispecie (che anzi
l\’illecito amministrativo presuppone – e quindi dipende da – quello penale),
quanto piuttosto l\’autonomia delle due condanne sotto il profilo processuale.
Per la responsabilità amministrativa, cioè, è necessario che venga compiuto un
reato da parte del soggetto riconducibile all\’ente, ma non è anche necessario
che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile.
La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad
esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché
questi è non imputabile) e ciò non ostante può essere sanzionata in via
amministrativa la società.

15.Anche l\’intenzione soggettiva del legislatore (che, in questo
caso, emerge dalla relazione governativa, trattandosi di decreto legislativo) è
chiara in tal senso, affermando che il titolo di responsabilità dell\’ente, anche
se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale,
di natura personale. Dice la relazione ministeriale che non vi sarebbe ragione
di escludere, in queste ipotesi, la responsabilità dell\’ente. Quello della
mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è,
infatti, un fenomeno tipico nell\’ambito della responsabilità d\’impresa: anzi,
esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte
si avvertiva l\’esigenza di sancire la responsabilità degli enti (viene portato
l\’esempio ai casi di c.d. imputazione soggettivamente alternativa, in cui il
reato (perfetto in tutti i suoi elementi) risulti senz\’altro riconducibile ai
vertici dell\’ente e, dunque, a due o più amministratori, ma manchi o sia
insufficiente la prova della responsabilità individuale di costoro). L\’omessa
disciplina di tali evenienze – prosegue la relazione – si sarebbe dunque
tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio
complessiva del provvedimento. Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la
complessità dell\’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la
responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno
risulti accertata la commissione di un reato, l\’ente ne dovrà rispondere –
ricorrendone tutte le condizioni di legge – sul piano amministrativo.

16.Infine, anche la ratio oggettiva della norma – quale emerge
sistematicamente dal complesso delle disposizioni sulla responsabilità
amministrativa degli enti – persegue la finalità di sanzionare l\’ente collettivo
ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di
amministrazione o di direzione dell\’ente (o sulle quali queste esercitano, anche
di fatto, la gestione e il controllo) commettono dei reati nel suo interesse o a
suo vantaggio.

17. Ora, chiarito il principio di diritto, il problema \’pratico\’
che solleva la sentenza è che vi è una apparente contraddittorietà della
motivazione (censura non sollevata dal P.M. e dunque non esaminabile in via
diretta) che non consente a questo collegio di comprendere con certezza se vi è
stato automatismo, come ritenuto dal P.M., nell\’escludere la responsabilità
dell\’ente per il solo fatto che un dipendente non era stato ritenuto
personalmente responsabile.

18. L\’assoluta mancanza di motivazione sul punto, però, non può
che interpretarsi come automatismo, perché in caso contrario il tribunale
avrebbe dovuto spiegare perché aveva assolto la Citibank dall\’illecito
amministrativo (cosa che non ha fatto).

19.D\’altronde, la tesi della difesa, secondo cui il tribunale
avrebbe escluso la sussistenza dell\’illecito penale, confligge apertamente con
un passo chiarissimo della motivazione, laddove si dice che è provato che il
testo del comunicato \’incriminato\’ fu previamente concordato tra il gruppo
Parmalat e la Citibank. È vero che nel capoverso successivo si dice che nessuna
condotta concorsuale è ravvisabile nell\’incontro avvenuto a (omissis) , ma per
dare un senso logico alla motivazione si deve ritenere che tale ultima
affermazione concerna solamente la persona del presunto concorrente B. . Ed
infatti alla fine dello stesso capoverso si evidenzia la condotta incensurabile
tenuta in quel frangente dai \’funzionari\’, senza alcun riferimento a dirigenti o
amministratori.

20. Tale interpretazione pare la più corretta anche se si torna
al capoverso precedente, che riconduce la condotta di reato non alla riunione di
(omissis) , ma ad un precedente scambio di mails fra le due società.

21. Ed allora, il fatto che nella predetta riunione non siano
emersi comportamenti penalmente rilevanti, a titolo di concorso, non esclude
affatto che la condotta di reato possa essersi realizzata con altre modalità ed
in tempi diversi.

22. L\’indagine sul dolo è questione di fatto che dovrà essere
approfondita in sede di rinvio dal giudice di merito, non potendovi provvedere
questa Corte in questa sede di legittimità.

23.Anche le altre questioni di merito sollevate dalla difesa
della Citibank non possono essere risolte in questa sede, essendo invece proprie
del giudizio di rinvio. Questa Corte, in sostanza, non deve decidere se la
Citibank è responsabile ai sensi del d.lgs. 231/2001, ma ha l\’unico compito di
valutare la sussistenza o meno della violazione di legge lamentata e, in caso
positivo, rimettere le parti davanti al giudice di merito che dovrà valutare
autonomamente ed in piena libertà la sussistenza di tutti gli elementi
costitutivi dell\’illecito.

24. Conclusivamente, ritiene questa corte che la violazione di
legge sussista e sia configurabile nell\’avere il tribunale ritenuto
automaticamente esclusa la responsabilità amministrativa dell\’ente in
conseguenza dell\’assoluzione del suo funzionario. Il giudice di rinvio potrà
procedere ad una nuova assoluzione, corredata però di adeguata giustificazione
ed eliminando le contraddizioni che affliggono il provvedimento impugnato,
ovvero – considerato che l\’illecito amministrativo dell\’ente ha carattere
autonomo e può quindi sussistere anche in mancanza di una concreta condanna del
sottoposto o della figura apicale societaria (come accade appunto nel caso di
mancata individuazione del responsabile) – procedere in concreto all\’esame degli
elementi costitutivi dell\’illecito contestato alla Citibank e poi concludere di
conseguenza, restando libero nelle proprie valutazioni di merito.

25. Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, con il
conseguente annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio al giudice di
appello (cfr. Sez. 4, n. 38560 del 16/09/2008, Zanelli, Rv. 241061) per il
giudizio di secondo grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d\’appello
di Milano per il relativo giudizio.

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