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RIFLETTIAMO INSIEME (06 maggio 2010)

INDAGINI GIUDIZIARIE & INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

Leggere sulla stampa fatti ed episodi di alcuna utilità alle indagini è sicuramente cosa deplorevole e da stigmatizzare e perseguire. Se invece si vuole mettere un bavaglio alla polizia giudiziaria, allora penso che non sia giusto.

Lo strumento della intercettazione telefonica, è stato e rimane il mezzo più efficace per combattere le attività illecite e la criminalità organizzata in genere.

E\’ grazie alla pubblicazione di sintesi di atti processuali che i cittadini hanno notizia di gravissimi episodi di corruzione nella Pubblica Amministrazione, come per esempio il recente episodio della compravendita immobiliare che ha costretto il Ministro Scaiola alla dimissioni.

ACCANIMENTO GIUDIZIARIO – L\’AMMINISTRATORE DELLA FASTWEB RESTA IN CARCERE

Silvio SCAGLIA rimane in carcere. Inquinamento delle prove, rischio di fuga e pericolosità sociale. Queste sono le motivazioni per le quali esiste nel nostro Paese la c.d. “custodia cautelare”. Purtroppo, poi, vediamo che è più facile soffrire il carcere prima del processo che dopo la condanna divenuta definitiva. Quando le prove sono state ampiamente raccolte e documentate dalla Polizia giudiziaria e poste a disposizione del Pubblico ministero attraverso l\’apposita informativa, manca il rischio di fuga, posto che l\’imputato, rientrando dall\’estero,  si è presentato spontaneamente per essere arrestato e nssuna reiterazione del reato è possibile avendo cessato tutte le cariche di vertice nella società, non si comprendono le ragioni per le quali non vengono concessi neanche gli arresti domiciliari.

LOTTA AL RICICLAGGIO: Professionisti in campo

Con il decreto del Ministero della giustizia del 16 aprile 2010, sono state rese note tanto le linee guida e le procedure per l\’inoltro delle Segnalazioni di operazioni sospette da parte del professionisti legali e contabili di cui agli articoli 12 e 13 del d.lgs 231/07.

In particolare, insieme agli indici di anomalia ampiamente dettagliati, viene altresì ricordata la “riservatezza” sottostante all\’intero iter della segnalazione di operazione sospetta.

In proposito voglio ricordare il contenuto testuale della norma:

“L’identità delle persone fisiche può essere rivelata solo quando l’autorità giudiziaria, con decreto motivato, lo ritenga indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati per i quali si procede” (comma 7, art.45 del D.L.vo 231/07). 

Trattasi della riproposizione di quanto a suo tempo introdotto dall’art.3, comma 1, del D.L.vo 153/2007 che andò ad integrare in modo particolarmente significativo i connotati dell’allora  vigente disciplina antiriciclaggio del 1991. 

Oggi, introduco l’argomento della “RISERVATEZZA” quale passaggio fondamentale nell’attività investigativa della Guardia di finanza nell’accertamento delle ipotesi di riciclaggio, per segnalare alcune “divergenze” applicative della norma, messe in campo in occasione della Segnalazione di Operazione Sospetta prodotta dai soggetti tenuti alla c.d. “Collaborazione attiva”. Lo stesso organismo deputato alla indagine sul territorio, viene attivato dal Comando Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di finanza di Roma, a sua volta attivato dall’Unità d’Informazione Finanziaria in seno alla Banca d’Italia (UIF), titolare della ricezione a livello nazionale di tutte le Segnalazioni di Operazioni Sospette. 

Giova ricordare che fino al 1997, le Segnalazioni in parola venivano inoltrate dagli Intermediari bancari e finanziari, in ossequio al dettato normativo di cui all’art.3 della legge 197/91, alle Questure territorialmente competenti.

I citati Comandi di polizia, ricevuta la Segnalazione, nel giro di qualche tempo, disponevano un intervento di una pattuglia apposita presso la filiale della banca interessata dalle “operazioni” oggetto di segnalazione. In tal modo, procedevano ad escutere in atti il responsabile della filiale allo scopo di formalizzare ed acquisire ogni utile ed ulteriore elemento di dettaglio sul profilo soggettivo di quel determinato cliente (attività economica svolta, frequentazioni, contatti, richieste particolari etc.).

A conclusione delle indagini preliminari, ove si giungeva alla richiesta di “rinvio a giudizio” del cliente-imputato, l’avvocato di fiducia, attraverso l’acquisizione dell’intero fascicolo processuale dell’accusa,, poteva leggere anche il contenuto della testimonianza del già citato Direttore di filiale.

In tal modo, tutte le informazioni, indiscrezioni o in qualche caso pettegolezzi forniti in occasione della testimonianza, finivano nella testa dell’imputato-cliente. 

Sai cosa ha detto il tuo Direttore alla finanza? Ha detto che sei un trafficante di droga, una cartiera di fatture false, un usuraio e che nella tua vita non hai mai lavorato onestamente!”.

Questo era grossomodo il contenuto di una qualunque chiacchierata del nostro cliente-imputato con il suo avvocato. 

A questo punto, per la banca o per il malcapitato Direttore di filiale si aprivano due strade, o meglio due possibili percorsi alternativi:

1.     L’imputato-cliente veniva assolto da ogni accusa; lo stesso, appena riacquistata la libertà si recava in banca e chiudeva definitivamente ogni relazione d’affari;

2.     Il cliente-imputato veniva condannato per riciclaggio e quant’altro a una pesante pena detentiva; SI RISCHIAVA UNA PREMATURA SCOMPARSA DELL’EROICO DIRETTORE DI FILIALE 

Questa fu la principale premessa per la quale nel 1997, il legislatore, oltre ad imporre l’inoltro della Segnalazione di Operazione Sospetta direttamente all’allora Ufficio Italiano Cambi (dal 1° gennaio 2008 sostituito dall’UIF), con la finalità di tagliare quel cordone ombelicale che in passato univa l’Intermediario abilitato all’organo di polizia, impose altresì l’obbligo del “Decreto motivato” dell’Autorità giudiziaria ricordato in premessa, laddove si dovesse ritenere indispensabile una eventuale testimonianza dell’autore della segnalazione. 

A oltre dieci anni da questa fondamentale e mai sufficientemente digerita novità, cosa succede oggi? 

Dico subito che le notizie in mio possesso, non sono ahimè confortanti. 

La Guardia di finanza, ovvero alcune articolazioni operative sul territorio, in modo improvvido, dimenticano spesso di dotarsi del “Decreto motivato” allorquando decidono di sentire in atti il Responsabile di una qualunque filiale, relativamente ad alcuni aspetti connessi all’attività investigativa scaturita in conseguenza dell’inoltro di una Segnalazione di Operazione Sospetta. 

Trattandosi di una tematica molto impegnativa, aggiungo di non parlare per sentito dire ma di esperienze vissute direttamente. Io stesso, nella veste di Responsabile antiriciclaggio di un gruppo bancario, nell’anno  2003, ricevetti la visita di una pattuglia della Guardia di finanza che, pur senza alcun Decreto motivato puntualmente richiesto dallo scrivente, in modo sconveniente, pretese di sentirmi a verbale su una “Segnalazione “ da me prodotta in epoca precedente su un giro di false autofatturazioni.

Unicamente a beneficio di coloro che avranno l’opportunità di leggermi, voglio riportare il passaggio testuale della mia testimonianza fornita in Bari, alle ore 11,30 del 23 giugno 2003 (in piena vigenza del ricordato art.3 del D.L.vo n.153/97): 

“Salvo affermare che il sig. Ciccillo CACACE[1][1], sopraindicato, alla data attuale non risulta essere nostro cliente – come Istituto di credito – non conosco nessun altro motivo che possa rivelarsi di alcuna utilità all’indagine della quale mi è stata data notizia e di cui sconoscevo l’esistenza.” 

Gli stessi verbalizzanti, in calce al Verbale di Operazioni Compite, aggiunsero: “La parte (cioè me medesimo) tra l’altro, non intende rispondere ad alcuna domanda, nella sua qualità di persona informata sui fatti richiestigli dai verbalizzanti.” 

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