mercoledì, Aprile 24, 2024
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RISARCIMENTO DEL DANNO: Cade dal traliccio e muore. Paga il datore di lavoro in favore degli eredi

Infortunio mortale: cade dal traliccio senza cintura
di sicurezza. Il datore di lavoro è responsabile e deve risarcire gli eredi

(Cassazione civile sez. III, Sentenza 16.4.2015n. 7684)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:Dott. BERRUTI Giuseppe M. – Presidente -Dott. PETTI
Giovanni Battista – Consigliere -Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
-Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere -Dott. ROSSETTI Marco – rel.
Consigliere -ha pronunciato la seguente: sentenzasul ricorso
11083-2011 proposto da: D.G.P. (OMISSIS), D.G.P.(OMISSIS), G.E.
(OMISSIS), SVID SRL(OMISSIS) in persona del legale rappresentante sig.
D.G. A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERCALLI 11,
pressolo studio dell\’avvocato FRANCESCO TAGLIALATELA, che li rappresenta
edifende giusta procura a margine del ricorso; – ricorrenti –
contro P.A., + ALTRI OMESSIelettivamente domiciliati in
ROMA,VIA C. PASSAGLIA N. 14, presso lo studio dell\’avvocato SARA
MERLO,rappresentati e difesi dall\’avvocato ANTONIO CORSO giusta procura
amargine del controricorso; – controricorrenti -avverso la
sentenza n. 586/2010 della CORTE D\’APPELLO di NAPOLI,depositata il
16/02/2010 R.G.N. 3513/2003;udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del19/12/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;udito l\’Avvocato FRANCESCO TAGLIALATELA;udito il P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.RUSSO Rosario Giovanni
che ha concluso per il rigetto del ricorso econdanna alle spese.

Fatto

1. Il 4.11.1993 P.V. morì in
conseguenza di infortunio sul lavoro.

La vittima perse la vita perchè,
priva di cintura sicurezza, precipitò dal traliccio sul quale
stavaeseguendo lavori di verniciatura.

2. Nel 1999 i prossimi congiunti
della vittima convennero dinanzi al Tribunale di Napoli il datoredi
lavoro della vittima (la società Svid di Di Gioia P. & C. s.n.c.), il
responsabile dellasicurezza di tale società ( G.E.) ed i soci della stessa
( D.G. P. e D.G.P.), chiedendone la condannain solido al risarcimento dei
danni rispettivamente patiti.

La domanda venne proposta dalla
madre della vittima ( C. R.); dalla convivente more uxorio (D.M.); dal
figlio ( P.A.); e da sette fratelli ( P. C., C., D., F., G., M. e T.).

3. Il Tribunale di Napoli con
sentenza n. 4438 del 9.4.2003 accolse la domanda.4. La sentenza,
impugnata dai soccombenti, venne confermata dalla Corte d\’appello di Napoli
consentenza 16.2.2010 n. 586.

Per quanto in questa sede ancora
rileva, il giudice d\’appello ritenne che:

(a) gli attori avessero proposto una
domanda di condanna fondata sull\’invocazione dellaresponsabilità
aquiliana di convenuti, e quindi sottratta alla “competenza” del
giudice del lavoro(recte, al rito previsto per le controversie di
lavoro);

(b) il nesso di causa tra il lavoro
e l\’infortunio, e la colpa delle persone fisiche convenute eranostati
accertati dal giudice penale con decisione vincolante per il giudice civile, ex
art. 651 c.p.p.;

(c) nei confronti della società
datrice di lavoro – che non aveva partecipato al giudizio penale –
lasentenza penale non era vincolante, ma poteva essere utilizzata quale
prova atipica, e dimostraval\’esistenza della colpa della società;

(d) la circostanza che esistesse un
rapporto di convivenza more uxorio tra la vittima e l\’attriceD.M. non era
stata contestata dai convenuti;

(e) la liquidazione del danno da
parte del Tribunale era stata equa.

5. La sentenza d\’appello viene ora
impugnata per cassazione da D. G.P., D.G.P., G.E. e dalla Svids.r.l. con
9 motivi. Hanno resistito con controricorso unitario tutti gli originari
attori, indicati al 2.

Diritto

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe viziatada una
nullità processuale, ai sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 4.

Espongono, ai riguardo, che gli
attori avevano formulato in primo grado una domanda fondatasulla
allegazione della responsabilità contrattuale dei convenuti, mentre il giudice
di merito l\’haqualificata come una domanda fondata sulla allegazione
della responsabilità extracontrattuale deiconvenuti. Da ciò, concludono i
ricorrenti – è disceso che la causa non è stata decisa dal giudice”competente”,
cioè il giudice del lavoro.

1.2. Il motivo è tanto inammissibile
quanto infondato, e per di più in modo manifesto.

1.2.1. In primo luogo, il motivo è
inammissibile perchè la qualificazione della domanda èaccertamento di
fatto, incensurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio
dimotivazione, non certo ai sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 4.

1.2.2. In secondo luogo, il motivo è
inammissibile perchè l\’errore denunciato dai ricorrenticonsiste
nell\’erronea individuazione del rito applicabile, non nella violazione delle
regole sullacompetenza (che sarebbe stata comunque del Tribunale di
Napoli), e la celebrazione del processocon un rito diverso da quello
prescritto dalla legge non è causa di nullità del giudizio nè dellasentenza,
a meno che chi se ne duole non deduce sotto quale aspetto l\’erronea scelta
della formadel ritto abbia nuociuto al suo diritto di difesa:

doglianza che nel caso di specie non
è stata nemmeno ventilata (ex permultis, Sez. 2, Sentenza n.22075 del
17/10/2014, Rv. 633130; Sez. 3, Sentenza n. 19136 del 29/09/2005, Rv. 586440;
Sez. L,Sentenza n. 221 del 13/01/1996, Rv. 495350).1.2.3. In terzo
luogo, il motivo è infondato perchè la domanda di risarcimento del
danno,formulata jure proprio dai congiunti del lavoratore deceduto a
causa di un infortunio sul lavoro èsoggetta al rito ordinario “anche
se la morte del dipendente sia derivata da inadempimentocontrattuale del
datore di lavoro verso il dipendente ex art. 2087 cod. civ.” così,
testualmente, Sez.3, Sentenza n. 3650 del 20/02/2006, Rv. 588886; nello
stesso senso, ex multis, si sono pronunciateanche Sez. 3, Sentenza n.
20355 del 21/10/2005, Rv.

584559; Sez. L, Sentenza n. 9359 del
04/09/1999, Rv. 529634; Sez. 3, Sentenza n. 6608 del23/07/1996, Rv.
498687; Sez. L, Sentenza n. 11445 del 03/11/1995, Rv. 494509; Sez. 3,
Sentenzan. 4248 del 07/04/1992 (Rv. 476651).

Da tale giurisprudenza, e dalle
ragioni giuridiche da essa addotte a sostegno, i ricorrentiprescindono
del tutto e non si fanno carico di confutarla.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbeaffetta sia da una
violazione delle regole sulla competenza; sia da una violazione di legge, ai
sensiall\’art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati agli artt. 2043 e
2087 c.c., nonchè l\’art. 409 c.p.c.); siada un vizio di motivazione, ai
sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 5. Nonostante l\’intitolazione del
motivo,nella illustrazione di esso i ricorrenti tornano ad insistere sul
fatto che la Corte d\’appello avrebbeerrato nel qualificare la domanda
come extracontrattuale, invece che come contrattuale.

2.2. Il motivo è manifestamente
inammissibile, per le medesime ragioni già indicate supra, ai pp.1.2 e
seguenti della presente motivazione.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affettasia da una
violazione di legge, ai sensi all\’art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati
agli artt. 2727 ess. c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi
dell\’art. 360 c.p.c., n. 5.

Espongono, al riguardo, che la Corte
d\’appello avrebbe errato nel ritenere che D.M. fosseconvivente more
uxorio della vittima. Di ciò non vi era prova, nè poteva questa trarsi dal solo
fattoche la donna ebbe un figlio dal defunto.

3.2. Il motivo è manifestamente
infondato.

La Corte d\’appello ha ritenuto
“non contestata” la circostanza della convivenza tra la vittima
eM.D.. E la non contestazione d\’una circostanza di fatto, come noto,
rende superfluo l\’accertamentogiudiziale di essa, e rende irrilevante
l\’assenza di altre prove della circostanza non contestata.

Devono solo aggiungersi due rilievi:

(a) che gli effetti della “non
contestazione”, appena ricordati, si applicano anche ai giudizi
iniziatiprima della riforma dell\’art. 115 c.p.c., che ha elevato a
dignità normativa il principio di “noncontestazione”. Anche
prima di quella riforma, infatti, al medesimo risultato questa Corte era
giàpervenuta in via interpretativa, a partire dal fondamentale decisum di
Sez. U, Sentenza n. 761 del23/01/2002, Rv. 551789, relativa al rito del
lavoro; i cui principi sono stati estesi al rito ordinario,tra le tante,
da Sez. 1, Sentenza n. 6936 del 08/04/2004, Rv. 571977;

(b) gli odierni ricorrenti nel
costituirsi in primo grado depositarono una comparsa di costituzione
erisposta della lunghezza di una cartella e mezza, nella quale nulla si
eccepiva in meritoall\’esistenza del rapporto di convivenza tra la vittima
e D. M.; e parimenti nulla si eccepiva alriguardo nella memoria
depositata ai sensi dell\’art. 180 c.p.c., nella quale gli odierni ricorrenti
silimitarono a discorrere della inopponibilità ad essi della sentenza penale
e del concorso di colpadella vittima.

Indubitabile, quindi, è che
l\’esistenza del rapporto di convivenza tra la vittima e l\’attrice D.M.
nonfu oggetto di tempestiva contestazione.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe
affettacontemporaneamente sia da una violazione di legge, ai sensi
all\’art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumonoviolati agli artt. 99, 101 e 210
c.p.c.); sia da una nullità processuale, ai sensi dell\’art. 360 c.p.c.,
n.4; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 5.
Espongono, al riguardo, che nelloro atto d\’appello avevano eccepito che
dal danno patrimoniale patito dal minore P.A. (dell\’età di4 anni al
momento della morte del padre) andasse decurtato il valore della rendita
erogataglidall\’Inail.

Avevano, di conseguenza, chiesto che
fosse ordinata l\’esibizione ex art. 210 c.p.c. della
relativadocumentazione, per la stima del danno differenziale.

La Corte d\’appello, tuttavia:

– aveva rigettato l\’istanza ex art.
210 c.p.c., ritenuta inammissibile perchè “esplorativa”;

– aveva utilizzato, per rigettare la
suddetta eccezione, una ricevuta bancaria depositata dagli attoricon la
comparsa conclusionale in primo grado (dalla quale risultava una modesta
rendita a favoredel minore), sul presupposto che fosse
“indispensabile” ex art. 345 c.p.c.;

– aveva confermato la stima del
danno differenziale compiuta dal giudice di primo grado, sulpresupposto
che non fosse stata impugnata.

Tale decisione secondo i ricorrenti
sarebbe:

(a) contraddittoria nella
motivazione, perchè da un lato ha ritenuto esplorativa l\’istanza ex art.
210c.p.c., e dall\’altro ha ritenuto “indispensabile” ex art.
345 c.p.c. il documento prodotto dagli attori;

(b) viziata in diritto, per avere
determinato il danno differenziale senza acquisire ladocumentazione
Inail, e quindi sottostimando il valore della rendita da questo pagata al
minore;

(c) viziata in diritto, perchè
erroneamente ha ritenuto non impugnata la stima del dannodifferenziale
compiuta dal Tribunale, che invece aveva formato oggetto di specifico
motivod\’appello.

4.2. Il motivo è infondato in tutti
i suoi profili.

4.3. Nella parte in cui lamenta la
mancata ammissione dell\’istanza ex 210 c.p.c. il motivo è
tantoinammissibile quanto infondato.

E\’ inammissibile perchè non
riproduce il contenuto dell\’istanza, in violazione del principio
diautosufficienza del ricorso per cassazione (ex multis, Sez. U, Sentenza
n. 28336 del 22/12/2011,Rv.620000).

E\’, in ogni caso, infondato perchè
gli atti ed i documenti emessi dall\’Inail non possono essereoggetto
dell\’actio ad exhibendum ex art. 210 c.p.c., non costituendo atti comuni alle
parti (cioè gliattori ed i convenuti), e non hanno una destinazione
probatoria comune (principio pacifico nellagiurisprudenza di questa
Corte, a partire da Sez. 2, Sentenza n. 993 del 15/02/1979, Rv.
397190,secondo cui il giudice non può ordinare la esibizione in giudizio
di documenti alla cui redazionenon abbia collaborato la parte istante o
che, comunque, non la riguardino, in quanto perl\’ammissibilità dell\’actio
ad exhibendum sono requisiti essenziali la esistenza certa del
documento,l\’interesse della parte che ne chiede la produzione per la sua
influenza nella causa, nonchè il fattoche il documento sia di proprietà
comune e fonte o prova comune).

4.4. Nella parte in cui lamenta
l\’erroneo calcolo del danno patrimoniale spettante al figlio minoredella
vittima, il motivo è inammissibile perchè non sorretto da interesse ex 100
c.p.c..

Che il figlio minore d\’un operaio
deceduto a causa di infortunio sul lavoro percepisca una
renditadall\’assicuratore sociale è un fatto estintivo della pretesa al risarcimento
del danno patrimonialederivante dalla morte del genitore. In quanto tale,
la circostanza deve essere eccepita e provata daldanneggiante-debitore.

Nel presente giudizio il giudice ha
liquidato il danno tenendo conto di tale rendita, ricavandola daun
documento che lo stesso danneggiato-creditore aveva prodotto in giudizio, ma
tardivamente.

In questa sede i ricorrenti (nella
loro veste di danneggianti- debitori) si dolgono del fatto che ilgiudice
abbia utilizzato quel documento, tardivamente prodotto: ma in realtà
dovrebberorallegrarsene, dal momento che se il giudice di merito avesse
rigorosamente applicato le regole delprocesso, avrebbe dovuto escludere
qualsiasi riduzione del risarcimento, non avendo provato iconvenuti la
percezione della rendita Inail. Pertanto, ove questa Corte affermasse
l\’erroneità dellasentenza nella parte in cui ha defalcato dal
risarcimento la rendita Inail nella misura risultante daldocumento
tardivamente prodotto dagli attori, di quel documento il giudice di rinvio non
dovrebbetenere conto, e la misura del risarcimento spettante al figlio
della vittima si accrescerebbe, anzichèdiminuire. Nè potrebbero gli
odierni ricorrenti dolersi del fatto che il giudice di merito non
abbia,d\’ufficio, acquisito ex art. 213 c.p.c. i documenti attestanti
l\’ammontare della rendita pagatadall\’Inail al figlio della vittima: tali
documenti infatti, in quanto atti pubblici erano ostensibili achiunque vi
avesse interesse, ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 22 e ss. ed è
sin tropponoto che non può invocarsi dal giudice l\’esercizio dei suoi
poteri officiosi per acquisire documentiai quali le parti avrebbero
comunque diritto di accesso.

4.5. Col terzo ed ultimo profilo del
quarto motivo di ricorso, infine, i ricorrenti si dolgono del fattoche la
Corte d\’appello avrebbe erroneamente ritenuto non impugnata la sentenza del
Tribunale,nella parte in cui aveva determinato il quantum del danno
patrimoniale differenziale patito daP.A., figlio (all\’epoca) minore della
vittima, vale a dire la differenza tra il danno civilistico e ilvalore
capitalizzato della rendita corrisposta al minore dall\’assicuratore sociale.
Anche questoprofilo è infondato.

Perchè possa dirsi
“impugnata” una statuizione di merito avente ad oggetto la
liquidazione d\’undanno patrimoniale, è necessario ai sensi dell\’art. 342
c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporisal presente giudizio) che
l\’appellante quanto meno indichi quale sarebbe dovuto essere il
diversocriterio da applicare, e quale il diverso risultato cui avrebbe
condotto. Nel caso di specie gliodierni ricorrenti hanno trascritto a
pag. 31, primo capoverso, del proprio ricorso, il passo del loroatto
d\’appello col quale, a loro avviso, sarebbe stata impugnata la liquidazione del
dannopatrimoniale compiuta dal Tribunale.

Si tratta di tre righe e mezza di
straordinaria genericità, irrispettose del requisito di
specificitàrichiesto dall\’art. 342 c.p.c., e certamente insufficienti per
ritenere impugnata la sentenza delTribunale, nella parte in cui aveva
liquidato il danno patrimoniale differenziale.

Correttamente, pertanto, la Corte
d\’appello ha ritenuto che il quantum del danno patrimonialedifferenziale
liquidato ad P. A. non formò “oggetto di specifica impugnazione”
(così la sentenzaimpugnata, p. 16, ultimo rigo).

5. Il quinto motivo di ricorso.

5.1. Col quinto motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe incorsain un
vizio di motivazione, ai sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 5.

Espongono, al riguardo, che la Corte
d\’appello ha ritenuto generico il motivo d\’appello col qualegli
appellanti censuravano la liquidazione del danno morale patito dalla madre
della vittima, C.R..Sostengono che la Corte d\’appello avrebbe adottato al
riguardo una motivazione “semplicistica”.

5.2. Il motivo è palesemente
inammissibile, per più d\’una ragione.

La prima ragione è che colui il
quale assume che il giudice d\’appello, errando, abbia ritenutogenerico un
motivo d\’appello che non lo era, lamenta un error in procedendo, e cioè un
errore didiritto.

Ora, nel giudizio di legittimità è
inammissibile il motivo di ricorso col quale si lamenti il vizio
dimotivazione della sentenza con la quale il giudice di merito abbia
risolto una questione di dirittoprocessuale, giacchè l\’accertamento
demandato alla Corte di cassazione deve consistereunicamente nella
verifica del rispetto, da parte del giudice di merito, della legge processuale,
anulla rilevando il modo in cui egli abbia motivato la propria decisione (ex
multis, Sez. 3, Sentenzan. 13683 del 31/07/2012, Rv. 623591).

La seconda ragione è che la Corte
d\’appello di Napoli ha rigettato l\’appello degli odierni ricorrenti,nella
parte in cui invocava una più contenuta liquidazione del danno morale patito da
C. R., condue motivazioni: sia perchè generico, sia perchè la
liquidazione di tale danno da parte delTribunale doveva ritenersi equa.

I ricorrenti tuttavia hanno
impugnato soltanto la prima delle suddette rationes decidendi: ed è
sintroppo noto che quando la sentenza impugnata si fonda su più
motivazioni indipendenti, èinammissibile il ricorso che non formuli
specifiche doglianze avverso anche una soltanto di talirationes
decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (ex multis, Sez.
U, Sentenza n.7931 del 29/03/2013, Rv. 625631).

La terza ragione di inammissibilità
del quinto motivo di ricorso è che esso sollecita, e per di più intermini
ultragenerici, una nuova valutazione di un accertamento in fatto riservato al
giudice dimerito.

6. Il sesto motivo di ricorso.

6.1. Col sesto motivo di ricorso i
ricorrenti, senza indicare formalmente alcuno dei vizi di cuiall\’art. 360
c.p.c., allegano che la sentenza impugnata avrebbe:

(a) erroneamente ritenuto
sussistente un giudicato interno;

(b) erroneamente omesso di
pronunciarsi sul motivo d\’appello col quale si chiedeva una nuova eminore
liquidazione del danno morale accordato dal Tribunale ai fratelli della
vittima.

Nella illustrazione del motivo, i
ricorrenti spiegano che la Corte d\’appello avrebbe erroneamenteritenuto
“non contestata” la liquidazione del danno morale compiuta dal
Tribunale in favore deifratelli della vittima, là dove l\’impugnazione
della aestimatio anche di questo tipo di danno erastata debitamente
proposta.

6.2. Il motivo è infondato, sebbene
la motivazione della sentenza impugnata debba, sul punto,essere corretta.

I ricorrenti, in ossequio al
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, hanno
trascrittoalle p. 34-35 del proprio ricorso per cassazione i termini con
i quali, nell\’atto d\’appello, hannointeso impugnare la liquidazione del
danno morale compiuta dal Tribunale a pro dei germani P..

Per come trascritta nel ricorso per
cassazione, quella impugnazione era di una genericitàdisarmante,
limitandosi a definire la liquidazione del Tribunale “gravosamente
esagerata etotalmente inattendibile”. La Corte d\’appello, pertanto,
se avesse esaminato quel motivod\’impugnazione, non avrebbe potuto che
dichiararlo inammissibile, ai sensi dell\’art. 342 c.p.c.. Edin tal senso
va corretta dunque la motivazione della sentenza impugnata.

7. Il settimo motivo di ricorso.

7.1. Col settimo motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbeviziata da una nullità
processuale, ai sensi dell\’art. 360 c.p.c., n. 4.

Nella illustrazione del motivo, i
ricorrenti adottano formule totalmente incomprensibili.

Dalla lettura di esso, pertanto,
questa Corte non è in grado di comprendere di cosa si dolgano iricorrenti.

Il motivo va dunque dichiarato
inammissibile per difetto totale ed assoluto di intelligibilità.

8. L\’ottavo motivo di ricorso.

8.1. Con l\’ottavo motivo di ricorso
i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbeaffetta da una violazione
di legge, ai sensi all\’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si assume violato l\’art. 83 c.p.c..

Espongono, al riguardo, che gli
attori avevano conferito in primo grado mandato all\’avvocatoD\’Alterio, ma
poi in giudizio era comparso sempre a rappresentarli l\’avv. Antonio Corso, che
peròera privo di procura.

8.2. Il motivo è inammissibile.

La Corte d\’appello ha ritenuto in
facto che l\’avv. Antonio Corso, nel giudizio di primo grado, abbiaagito
solo quale sostituto d\’udienza dell\’avv. D\’Alterio, e dunque non aveva bisogno
di alcunaprocura per svolgere tale attività. Che l\’avv. Corso abbia
rappresentato gli attori quale sostitutod\’udienza è un accertamento di
merito, come tale insindacabile in sede di legittimità.

9. Il nono motivo di ricorso.

9.1. Col nono motivo di ricorso i
ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affettasia da una
violazione di legge, ai sensi all\’art. 360 c.p.c., n. 3, (non si indicano le
norme che siassumono violate); sia da un vizio di motivazione, ai sensi
dell\’art. 360 c.p.c., n. 5, sia da “eccessodi potere”.

Espongono, al riguardo, che la Corte
d\’appello avrebbe erroneamente sovrastimato il danno moraleliquidato alla
convivente ed all\’orfano della vittima.

Spiegano che, nel liquidare tale
danno, la Corte d\’appello non avrebbe dovuto ricorrere allepresunzioni
semplici, non avendo gli attori allegato alcuna circostanza di fatto idonea a
giustificareil ricorso ad esse (come, ad es., il mutamento nelle
abitudini di vita).9.2. Il motivo è manifestamente inammissibile, perchè
sollecita da questa Corte una nuovavalutazione delle prove e delle
risultanze istruttorie, e dunque un accertamento di merito.

10. Le spese

Le spese del giudizio di legittimità
vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell\’art. 385 c.p.c.,comma
1.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l\’art.
380 c.p.c.:

-) rigetta il ricorso;

-) condanna la Svid s.r.l., G.E.,
D.G.P. e D.G.P., in solido, alla rifusione in favore di C. R., +ALTRI OMESSI
in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano
nellasomma di Euro 10.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa
forense e spese forfettarieD.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella camera di
consiglio della Terza Sezione civile della Corte dicassazione, il 19
dicembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 16
aprile 2015

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