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SIMON WIESENTHAL: Il cacciatore di giustizia

“Giustizia, non vendetta”. Questo è stato il motto che ha accompagnato la vita dell’ultimo mezzo secolo di Simon Wiesenthal, tutta dedicata alla ricerca di gerarchi nazisti autori dell’immane genocidio contro sei milioni di ebrei durante l’ultimo conflitto mondiale.

Fin dalla sua liberazione da un campo di prigionia, ad opera dei tanto “odiati e guerrafondai” amici americani, avvenuta nel 1945, è stato l’espressione vivente della Shoah, fiero ed unico rappresentante delle vittime senza volto dell’eccidio nazista.

Simon Wiesenthal, rischiando continuamente la vita, ha dedicato la sua esistenza alla ricerca ed alla cattura di oltre mille criminali nazisti, cercando “giustizia, non vendetta”, come era solito ripetere. Oggi, all’età di 96 anni, è morto un uomo che, con la sua infaticabile opera, ha restituito una dignità alle milioni di vittime senza voce. Credo e spero che l’umanità intera lo ricordi e ne pianga la scomparsa, apprezzandone l’insegnamento.

E’ un modo anche questo per gridare al mondo che i crimini contro l’umanità non si prescrivono, gli autori di tali eccidi, sono stati e saranno perseguiti ovunque e con ogni mezzo. La storia, soprattutto una certa storia, non si cancella, non si dimentica; gli assassini di ogni tempo, ogni epoca, non dovranno mai sentirsi al sicuro, sia pure con la complicità consapevole di qualche Stato che, ahimé, ancora esistono, sedendo anche impunemente ai congressi internazionali fra i c.d. Paesi civili.

Il suo insegnamento dovrebbe andare non solo ai tanti dittatori di oggi duri a morire, ma soprattutto a quegli Stati che già in passato e forse anche in futuro, hanno protetto o proteggeranno i tanti criminali in fuga dalla giustizia.

Le nefandezze continuano ancora oggi, se pensiamo ai tanti regimi comunisti ancora in circolazione che, in forza di una ideologia – tanto utopistica quanto criminale – già condannata dalla storia, continuano a calpestare i diritti umani più elementari, annullando con la forza ogni sorta di opposizione politica interna e infischiandosene dei tanti richiami rivolti dalla comunità internazionale. Oggi, la nostra memoria deve servire per testimoniare l’opera di un uomo che ha saputo dedicare la propria vita alla giustizia, come lo stesso ebbe a dichiarare nel 2003: “se ci sono ancora criminali che non ho trovato, sono troppo vecchi e fragili per sostenere un processo. Il mio lavoro è concluso.”

E’ vero, quel lavoro è concluso.

Purtroppo bisognerebbe iniziarne altri, dove forse cambia il colore, dal nero si passa al rosso, ma il risultato è identico se non superiore a quello nazista e che, in assenza di protagonisti alla “Wiesenthal”, sarà molto difficile anche solo immaginarlo.

Il rosso, purtroppo, per effetto di un daltonismo acuto abbastanza diffuso, non viene percepito a sufficienza o quantomeno, non sembra corretto parlarne. Infatti, non voglio parlarne, l’ho voluto solo ricordare per rispetto di qualche futuro “cacciatore di giustizia”.

Bari, 20 settembre 2005

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