giovedì, Aprile 25, 2024
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STALKING: Lo stalker non può avvicinarsi nei luoghi frequentati dalla vittima

1. Con il provvedimento impugnato veniva confermata l\’ordinanza del Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma in data 04/08/2011, con
cui veniva applicata nei confronti di V.V. la misura cautelare del divieto di
avvicinamento alla persona offesa M.P. per il reato di cui all\’art.612 bis cod.
pen., commesso dall\'(omissis) in danno della P., con la quale aveva intrattenuto
una relazione sentimentale, suonando anche in orari notturni al campanello dell\’abitazione della stessa
in Roma, appostandosi settimanalmente presso detta abitazione, presentandosi più
volte in stato di ubriachezza nel ristorante frequentato dalla P., appostandosi
presso il locale ed ingiuriando e minacciando la donna e, dal (omissis) ,
facendo pervenire anche in tempo di notte telefonate e messaggi ingiuriosi
sull\’utenza cellulare della predetta, chiedendole di riprendere la
relazione.
La sussistenza dei gravi indizi a carico dell\’indagato era ritenuta in base
alle denunce della persona offesa, alla certificazione medica relativa alle
precarie condizione psicologica della stessa ed alle dichiarazioni della madre
M.L.C., dell\’amica M.S. e di An.Pu., gestore del ristorante di cui
sopra.
 
2. L\’indagato ricorrente deduce violazione di legge e mancanza di motivazione
in ordine:
2.1. alla sussistenza dei gravi indizi, lamentando la mancata vantazione
della smentita alle dichiarazioni della persona offesa proveniente dalla
trascrizione integrale dei messaggi telefonici intercorsi fra la stessa e
l\’indagato, da cui risultava che quest\’ultimo nel periodo del fatti denunciati
era ospite della famiglia della denunciante, la cui madre gli offriva anche
occasioni di lavoro;
2.2. alla sussistenza ed alla attualità delle esigenze cautelari, osservando
che la denuncia della persona offesa rappresentava una situazione esauritasi già
nel (OMISSIS) allorché la controversia si trasferiva sul piano giudiziario, e
che in mancanza di atti persecutori successivi a quella data la persistenza
delle ragioni di cautela non poteva essere affidata, come sostenuto dal
Tribunale, all\’esistenza di problematiche ancora pendenti fra le parti, la cui
risoluzione esula dalle funzioni dei provvedimenti cautelari;
 
SENTENZA PER ESTESO
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE
Sentenza 16 gennaio – 11 aprile 2012, n. 13568
Ritenuto in fatto 1. Con il
provvedimento impugnato veniva confermata l\’ordinanza del Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Roma in data 04/08/2011, con cui
veniva applicata nei confronti di V.V. la misura cautelare del divieto di
avvicinamento alla persona offesa M.P. per il reato di cui all\’art.612 bis cod.
pen., commesso dall\'(omissis) in danno della P., con la quale aveva intrattenuto
una relazione sentimentale, suonando anche in orari notturni al campanello
dell\’abitazione della stessa in Roma, appostandosi settimanalmente presso detta
abitazione, presentandosi più volte in stato di ubriachezza nel ristorante
frequentato dalla P., appostandosi presso il locale ed ingiuriando e minacciando
la donna e, dal (omissis) , facendo pervenire anche in tempo di notte telefonate
e messaggi ingiuriosi sull\’utenza cellulare della predetta, chiedendole di
riprendere la relazione. La sussistenza dei gravi indizi a carico dell\’indagato
era ritenuta in base alle denunce della persona offesa, alla certificazione
medica relativa alle precarie condizione psicologica della stessa ed alle
dichiarazioni della madre M.L.C., dell\’amica M.S. e di An.Pu., gestore del
ristorante di cui sopra. 2. L\’indagato ricorrente deduce violazione di legge e
mancanza di motivazione in ordine: 2.1. alla sussistenza dei gravi indizi,
lamentando la mancata vantazione della smentita alle dichiarazioni della persona
offesa proveniente dalla trascrizione integrale dei messaggi telefonici
intercorsi fra la stessa e l\’indagato, da cui risultava che quest\’ultimo nel
periodo del fatti denunciati era ospite della famiglia della denunciante, la cui
madre gli offriva anche occasioni di lavoro; 2.2. alla sussistenza ed alla
attualità delle esigenze cautelari, osservando che la denuncia della persona
offesa rappresentava una situazione esauritasi già nel (OMISSIS) allorché la
controversia si trasferiva sul piano giudiziario, e che in mancanza di atti
persecutori successivi a quella data la persistenza delle ragioni di cautela non
poteva essere affidata, come sostenuto dal Tribunale, all\’esistenza di
problematiche ancora pendenti fra le parti, la cui risoluzione esula dalle
funzioni dei provvedimenti cautelari; 2.3. alla genericità delle prescrizioni
imposte con l\’ordinanza cautelare, che le indicava nel divieto di avvicinarsi a
tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa e nell\’obbligo di tenersi a
distanza non inferiore a metri cento nei casi di incontro occasionale con la
stessa. Considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso relativo alla sussistenza
dei gravi indizi è infondato. Il Tribunale non tralasciava infatti di esaminare
l\’elemento indicato dalla difesa nel messaggi telefonici scambiati fra
l\’indagato e la persona offesa, e senza alcuna manifesta illogicità argomentava
sull\’irrilevanza degli stessi in base sia all\’incertezza sulla loro origine, non
risultando accertate le modalità di estrazione dei contenuti allegati dalle
memorie dei telefoni cellulari e l\’effettiva corrispondenza con i messaggi
effettivamente inviati e ricevuti, che alla significatività dei messaggi stessi,
dai quali risultava per un verso la conferma dell\’abuso di alcolici da parte
dell\’indagato e per altro il tentativo della P. di indurre il V. ad assumersi le
proprie responsabilità quale padre del nascituro e l\’organizzazione a tal fine
di incontri alla presenza di altri familiari, situazioni per il primo aspetto
coerenti e per il secondo non incompatibili con le condotte ipotizzate. 2. Il
motivo di ricorso relativo alla sussistenza ed alla attualità delle esigenze
cautelari è anch\’esso infondato. Il Tribunale desumeva coerentemente la
sussistenza dell\’esigenza cautelare dalla frequenza delle condotte criminose,
dal loro prolungato svolgimento e dalla loro persistenza malgrado lo stato di
gravidanza della persona offesa; ed altrettanto coerentemente superava in questa
prospettiva il dato dell\’apparente interruzione di tali comportamenti osservando
come, a fronte di elementi per quanto detto indicativi di spiccata proclività
alla commissione del reato per il quale si procede, l\’aggravamento delle
problematiche di coppia derivante dalle insorte questioni sul riconoscimento di
paternità del neonato figlio della P. e sul diritto del V. di vedere
quest\’ultimo ed il perdurante abuso di alcolici da parte dell\’indagato
mantenesse inalterato ed attuale il pericolo di reiterazione delle condotte. 3.
Infondato è infine il motivo di ricorso relativo alla genericità delle
prescrizioni imposte con l\’ordinanza cautelare. Sul punto il ricorrente, anche
nell\’odierna discussione, ha fatto più volte richiamo alla posizione
giurisprudenziale (Sez. 6, n.26819 del 07/04/2011, C, Rv. 250728) per la quale
da un lato l\’applicazione della misura di cui all\’art. 282 ter cod. proc. pen.
esigerebbe l\’indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto
di avvicinamento imposto all\’indagato, laddove il generico riferimento
identificativo alla frequentazione di detti luoghi da parte della persona offesa
non rispetterebbe la prescrizione normativa, che predica distintamente i luoghi
in esame degli attributi dell\’essere gli stessi “determinati” e “abitualmente
frequentati dalla persona offesa”, e si risolverebbe nell\’inaccettabile
imposizione di un obbligo di non tacere di fatto rimesso alla volontà del
soggetto passivo; e dall\’altro la misura non comprenderebbe la possibilità di
vietare incontri occasionali e non volutamente cercati dall\’indagato, altrimenti
imponendosi a quest\’ultimo un divieto di contenuto indeterminato e la cui
inosservanza può non dipendere dalla volontà del predetto. Questa Corte, per le
ragioni che seguono, ritiene di non condividere tale orientamento. 3.1. La
previsione della misura cautelare in esame è stata oggetto nel tempo di due
interventi normativi. Con il primo, l\’art. 1 legge 4 aprile 2001, n. 154,
introduceva l\’art. 282 bis cod. proc. pen., che al secondo comma prevede la
possibilità per il giudice di prescrivere all\’indagato di “non avvicinarsi a
luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare
il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi
congiunti”. Presupposto dell\’applicazione della misura è, nell\’espressa
formulazione normativa, la sussistenza di esigenze di tutela dell\’incolumità
della persona offesa; e qui è inequivocabile, già in questa prima disciplina
della misura, la funzione alla stessa attribuita dal legislatore. Scopo della
previsione è evidentemente quello di rispondere a specifiche ragioni di cautela
special preventiva, riferite non solo alla personalità dell\’indagato ed alla
proclività dello stesso alla commissione di reati, ma anche al particolare
rilievo che in questa prospettiva assumono la posizione della persona offesa ed
i rapporti fra la stessa ed il soggetto agente; il che ricollega il campo
applicativo della norma a reati in cui è particolarmente significativa la
componente vittimologica, quale è senz\’altro il delitto, oggetto di successiva
previsione incriminatrice, di cui all\’art. 612 bis cod. pen. La misura appariva
già all\’epoca destinata, in altre parole, a quelle situazioni nelle quali la
possibile reiterazione della condotta criminosa, al di là della sua generica
incidenza sulla collettività, si indirizza specificamente nei confronti di un
determinato soggetto passivo, ponendone in pericolo l\’incolumità; la cui
protezione acquisisce pertanto rilevanza in prospettiva cautelare. La norma
prende atto, a questi fini, della possibile insufficienza di una tutela, per
così dire, “statica” dell\’incolumità della vittima, laddove le circostanze
rendano concreto il pericolo di un\’aggressione della stessa nel corso dello
svolgimento della sua vita di relazione e pertanto inadeguata una mera
interdizione all\’indagato del luogo di abitazione della persona offesa; e
d\’altra parte si fa carico dell\’eccessività del ricorso a misure custodiali a
fronte di un\’esigenza cautelare strettamente dipendente dai contatti
dell\’indagato con la vittima. Da ciò nasce la configurazione di una misura
nell\’applicazione della quale assume primaria importanza la garanzia della
libertà di movimento e di relazioni sociali della persona offesa da possibili
intrusioni dell\’indagato, che facendo temere la vittima per la propria
incolumità finiscano per condizionare e pregiudicare la fruizione di dette
libertà. 3.2. Con il d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con legge 23
aprile 2009, n.38, che all\’art.7 prevedeva la nuova fattispecie incriminatrice
di cui all\’art.612 bis cod. pen., veniva altresì emanata all\’art.9 la
disposizione integrativa della misura del divieto di avvicinamento di cui
all\’art.282 ter, comma primo, cod. proc. pen., per la quale “il giudice
prescrive all\’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente
frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da
tali luoghi o dalla persona offesa”. La norma si inserisce coerentemente nelle
finalità di tutela che si è visto essere già proprie della misura in esame nella
preesistente previsione di cui all\’art.282 bis, con il palese scopo di rendere
detta tutela più efficace in determinate situazioni; ed è particolarmente
significativo, a questo riguardo, che la disposizione sia stata introdotta
contestualmente alla previsione del delitto di atti persecutori. Le modalità
commissive di quest\’ultimo comprendono infatti quali manifestazioni tipiche il
costante pedinamento della vittima, da parte del soggetto agente, anche in
luoghi nei quali la prima si trovi occasionalmente, e l\’espressione di
atteggiamenti minacciosi o intimi datori anche in assenza di contatto fisico
diretto con la persona offesa e purtuttavia dalla stessa percepibili. Alle
necessità indotte da quest\’ultima tipologia comportamentale soccorre la
sostanziale estensione della nozione di “avvicinamento” al superamento di una
distanza minima della vittima, stabilita secondo le esigenze di tutela suggerite
dal caso concreto. Ma, in termini più generali, il riferimento oggettuale del
divieto di avvicinamento non più solo ai luoghi frequentati dalla persona
offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale, esprime una precisa
scelta normativa di privilegio, anche nelle situazioni in esame, della libertà
di circolazione del soggetto passivo. La norma, in altre parole, esprime una
scelta di priorità dell\’esigenza di consentire alla persona offesa il completo
svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni
alla propria incolumità anche laddove la condotta dell\’autore del reato assuma
connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari
ambiti locali; con la conseguenza che è rispetto a tale esigenza che deve
modellarsi il contenuto concreto di una misura la quale, non lo si dimentichi,
ha comunque natura inevitabilmente coercitiva rispetto a libertà anche
fondamentali dell\’indagato. È del resto significativo che l\’art.282 ter cod.
proc. pen., nel richiamare la descrizione del divieto di cui al preesistente
art.282 bis, non riproponga i pur non tassativi accenni ivi presenti al luogo di
lavoro della vittima ed al domicilio della famiglia di origine della stesse; a
conferma che la tutela di un sereno esercizio della libertà di circolazione e di
relazione della persona offesa non trova limitazione alle sfere del lavoro e
della cura degli affetti familiari della stessa ed agli ambiti alle stesse
assimilabili. 3.3. Alla luce di questi presupposti funzionali deve concludersi
che la misura cautelare in esame, per effetto dell\’integrazione effettuata con
l\’introduzione dell\’art.282 ter cod. proc. pen., ha assunto una dimensione
articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di
cautela del caso concreto. L\’originaria indicazione dei luoghi determinati
frequentati dalla persona offesa rimane invero significativa nel caso in cui le
modalità della condotta criminosa non manifestino un campo d\’azione che esuli
dai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio
tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità di vita,
quali quelli indicati dall\’art.282 bis cod. proc. pen. nel luogo di lavoro o di
domicilio della famiglia di provenienza. Laddove viceversa, ed è situazione come
si è detto ricorrente per il reato di cui all\’art.612 bis cod. pen., la condotta
oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed
invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa
si trovi, è prevista la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e
non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di
avvicinamento. Ed in tal caso diviene irrilevante l\’individuazione di luoghi di
abituale frequentazione della vittima; dimensione essenziale della misura è
invero a questo punto il divieto di avvicinamento a quest\’ultima nel corso della
sua vita quotidiana ovunque essa si svolga. La predeterminazione dei luoghi di
cui sopra risulterebbe del resto, nella situazione descritta, chiaramente
dissonante con le finalità della misura, per come in precedenza delineate. Detta
predeterminazione verrebbe di fatto a porsi come un\’inammissibile limitazione
del libero svolgimento della vita sociale della persona offesa, che viceversa
costituisce precipuo oggetto di tutela della norma. La vittima si vedrebbe
invero costretta a contenere la propria libertà di movimento nell\’ambito dei
luoghi indicati ovvero ad essere esposta, esorbitando dagli stessi, a quella
condizione di pericolo per la propria incolumità che si presuppone essere stato
riconosciuta sussistente anche al di fuori del perimetro della ricorrente
frequentazione della persona offesa. Non appaiono di contro fondate le
preoccupazioni espresse nell\’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso in
ordine alla soggezione dell\’indagato a limitazioni della propria libertà
personale di carattere indefinito, estranee alle proprie intenzioni persecutorie
e di fatto dipendenti dalla volontà della persona offesa. Le prescrizioni, anche
nel generico riferimento al divieto di avvicinarsi alla persona offesa ed ai
luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengono invero un contenuto
coercitivo sufficientemente definito nell\’essenziale imposizione di evitare
contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è
sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all\’accesso dell\’indagato. 3.4.
Nel caso di specie, una volta riconosciuta la sussistenza di esigenze cautelari
tali da imporre al V. il divieto di avvicinarsi alla persona offesa, deve
ritenersi pertanto corretta la decisione del Tribunale laddove con la stessa si
riteneva non necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi dalla stessa
frequentati dalla vittima ed interdetti all\’indagato. Altrettanto coerentemente
veniva disatteso il rilievo difensivo sulle ricadute, estranee alle predette
esigenze cautelari, del provvedimento, derivanti dalla frequentazione da parte
dell\’indagato di un luogo di culto buddista prossimo all\’abitazione della
persona offesa. Anche a voler prescindere dalla considerazione per la quale gli
artt.282 bis e 282 ter, comma quarto, cod. proc pen. attribuiscono rilevanza a
questi fini alle sole necessità lavorative ed abitative dell\’indagato, le norme
citate prevedono comunque che particolari esigenze di quest\’ultimo possano
essere valutate ai fini della previsione di determinate modalità prescrittive, e
quindi debbano essere oggetto di specifiche istanze difensive, estranee a questa
sede. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

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