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TERRI SCHIAVO: l’agonia della legge

Di fronte al drammatico susseguirsi di avvenimenti che ancora stanno interessando la sfortunata esistenza di Terri Schiavo, cittadina americana, da 15 anni in coma vegetativo irreversibile, resto senza parole.

Gli anziani genitori da una parte, quali unici protagonisti interessati a mantenere in vita la loro figlia pur con l\’indispensabile ausilio di una macchina. Dall\’altra la “giustizia”, che ormai ha deciso: “Terri deve morire”.

Diversi sono stati i tentativi per riattaccare il tubo dell\’alimentazione meccanica alla signora Serri, dal Presidente USA Gorge W.Bush, al fratello Jeb, Governatore della Florida. Di contro i verdetti delle Corti di giustizia statali e federali sono stati inflessibili ove, respingendo ogni sorta di ricorso, hanno stabilito che la vita di Terri, fatta solo di fremiti, di sensazioni apparenti, deve cessare.

L\’opinione pubblica, seppure in parte divisa, è sgomenta, sconcertata, atterrita. Ormai sono trascorsi 11 giorni dal momento in cui l\’alimentazione è stata staccata. La morte, al momento solo annunciata, per quanto certa, è lenta, inesorabilmente lenta; l\’agonia è lunga, la sofferenza deve continuare, senza neanche riuscire a fare una previsione attendibile di quando finirà. Leggo che per alleviare le immani sofferenze alle quali la povera Terri è sottoposta, le viene iniettata della morfina.

Tutto ciò è assurdo; faccio fatica a comprendere le ragioni in base alle quali ci si può arrogare il diritto di infliggere tanta gratuita sofferenza.

L\’eutanasia, più comunemente chiamata la “dolce morte” non è consentita, la legge in vigore non lo ammette.

E\’ così difficile avere una morte dignitosa? allora sarà necessario, per ognuno di noi, posto che rimane un rischio potenziale al quale siamo tutti esposti, fare testamento circa le modalità terapeutiche da seguire per situazioni estreme o comunque analoghe a quella vissuta dalla signora Terri.

Lo dico adesso: ove mai dovessi avere la stessa sorte, in assenza dell\’eutanasia, preferisco morire come i condannati nel “braccio della morte”, pur non avendo nulla di cui farmi perdonare.

Signori giudici, scegliete voi per me, ogni metodo va bene, purché sia rapido.

Non potendo farlo dopo, vi ringrazio adesso per l\’agonia risparmiata.

Bari, 27 marzo 2005

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