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TRIBUNALE DI MILANO: Confermata l’illegittima l’applicazione bancaria delle clausole anatocistiche a partire dall’1 gennaio 2014

Illegittima l’applicazione bancaria delle clausole anatocistiche a partire dal primo gennaio 2014


Il Tribunale di Milano, nella persona del dottore Stefani, giudice
della Sesta Sezione, è tornato a pronunciarsi, con provvedimento analogo
a quelli del 3 aprile e del 25 marzo 2015 (resi dalla medesima
Sezione), nonché a quello del Tribunale di Cuneo del 29 giugno 2015
(tutti pubblicati in questa Rivista), a pronunciarsi sulla
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a partire dall’1
gennaio 2014.

Con Ordinanza del primo luglio 2015, infatti, resa ancora una volta
seguito di un procedimento cautelare promosso da un’Associazione di
consumatori, il Tribunale di Milano ha inibito all’istituto di credito
convenuto di «dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli
interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in
essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori, nonché di
predisporre, utilizzare e applicare clausole anatocistiche nei predetti
contratti». Per correggere o eliminare, ex art. 140, lett. c, Cod.
Consumo, gli effetti delle accertate violazioni, il Tribunale ha poi
ordinato alla convenuta di inserire il provvedimento in esame sulla home
page del proprio sito, nonché di «darne comunicazione a ciascun
correntista consumatore» e di curarne la pubblicazione su tre
quotidiani.

Prima di ogni altra cosa, l’Ordinanza afferma la legittimazione delle
associazioni dei consumatori ad agire al fine di inibire agli istituti
di credito l’illegittima applicazione di clausole anatocistiche. E ciò,
sulla scorta della previsione dell’art. 2, comma 2, lett. e, Cod.
Consumo, in combinato disposto con l’art. 139 del medesimo testo,
laddove attribuisce alle associazioni di consumatori il diritto di agire
ai sensi della norma successiva a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori, individuati appunto dall’art. 2, che sancisce come
fondamentale, tra gli altri, il «diritto alla correttezza, alla
trasparenza e all’equità nei rapporti contrattuali». A tale proposito,
l’Ordinanza richiama le due precedenti decisioni del Tribunale di
Milano, che ritiene di dovere prendere in considerazione «anche in
un’ottica di economia dei mezzi processuali», sottolineando come non
possano trascurarsi, ai fini del riconoscimento della legittimazione, i
principi di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali,
«interpretati come estrinsecazione del dovere di solidarietà sociale,
direttamente fondata sull’art. 2 Cost.».

Quanto al merito, l’Ordinanza in questione muove da un agevole
raffronto tra il «vecchio» ed il «nuovo» art. 120 T.U.B., evidenziando
la «rilevante novità» di quest’ultimo: «mentre in precedenza la norma
primaria ha delegato all’organo amministrativo di stabilire le modalità
per la produzione di interessi sugli interessi … adesso la norma si
limita ad incaricare il CICR di stabilire le modalità di produzione
degli interessi nelle operazioni bancarie. È sparito, quindi, il
riferimento alla produzione di interessi sugli interessi». Da ciò,
stante il generale divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c., non può che
derivare il divieto di anatocismo (anche) nelle operazioni bancarie.

L’Ordinanza chiarisce, poi, il significato del riferimento alle
«operazioni di capitalizzazione» di cui all’art. 120, comma 2, T.U.B.
Precisato che «la stessa lettera b) in esame è comunque molto chiara
nell’affermare che i successivi interessi sono calcolati solo sulla
sorte capitale», il provvedimento si sofferma sul significato di tale
espressione in matematica finanziaria, ove è «sinonimo di interessi
maturati, giunti a scadenza di pagamento». Con specifico riferimento ai
mutui, «si parla di periodo di capitalizzazione per indicare il tempo in
cui matura la rata infra-annuale di rimborso, quando il mutuatario deve
pagare la quota capitale e la quota interessi, la quale ultima quindi
entra nella disponibilità del mutuante al pari del capitale reso». Tale
interpretazione è coerente con la volontà del legislatore: come risulta,
in modo non equivocabile, sia dalla Relazione introduttiva alla
proposta di legge relativa alla modifica dell’art. 120 T.U.B., che
esprime l’intenzione di «stabilire l’illegittimità della prassi
[anatocistica] bancaria», sia dall’art. 31 del c.d. Decreto
Competitività, che incaricava il CICR di stabilire le modalità per la
produzione di interessi sugli interessi, con periodicità non inferiore
ad un anno.

Ciò posto, la mancata adozione della norma regolamentare da parte del
CICR non può fare venire meno il carattere immediatamente precettivo
della norma: sia perché la norma primaria è «chiara nella sua portata
precettiva», sia perché la norma regolamentare dovrà limitarsi a dare
attuazione alla norma primaria. In mancanza della delibera CICR,
pertanto, gli intermediari saranno liberi di «adottare qualunque
modalità operativa e contabile al fine di garantire che gli interessi
non siano mai calcolati sugli interessi in tutte le operazioni
bancarie».

Il Tribunale si è pronunciato, infine, sull’eventuale contrasto del
divieto di anatocismo con la normativa europea. A tale proposito, ha
anzitutto precisato che la materia dell’anatocismo non è oggetto di
specifica regolamentazione nella normativa comunitaria. Di poi, ha
rilevato che, se è vero che la Direttiva in materia di accesso
all’attività degli enti creditizi e di vigilanza prudenziale
(2013/36/UE) prevede che deve «essere garantito alle succursali o
emanazioni delle Banche degli altri Stati membri di esercitare le
attività ammesse al mutuo riconoscimento nello stesso modo che nello
stato membro d’origine», è anche vero che la stessa Direttiva limita
tale diritto alla non contrarietà di tali attività «alle disposizioni di
legge di interesse generale dello Stato membro ospitante». Da
quest’angolo visuale, non si può negare come la regolamentazione
dell’anatocismo in termini di divieto corrisponda a un interesse
generale: non può esservi alcuna deroga, pertanto, alla limitazione del
diritto appena richiamato. Tra le altre cose, precisa pure l’Ordinanza,
«siamo in presenza di una norma primaria che vieta l’anatocismo, cioè
una condizione gravosa per la clientela, la cui eliminazione non può che
giovare alla penetrazione nel mercato da parte di tutte le Banche, di
qualunque stato membro».

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