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tutto in nome della legge

a voler commentare l’applicazione della legge in alcuni fra i più noti e discussi episodi di cronaca giudiziaria del recente periodo, avverto una diffusa sensazione di smarrimento, di incertezza, o ancora peggio di sfiducia verso regole costituite.

con la ormai vecchia riforma del codice di procedura penale della fine degli anni ’80 e la introduzione dei cc.dd. “riti alternativi” (giudizio abbreviato, immediato, direttissimo, per decreto), si è mirato all’obbiettivo di ridurre i tempi processuali con il fine ultimo di accelerare la fase del giudizio.
tali procedure, vengono incentivate attraverso significativi “sconti di pena” a favore di imputati di reati gravissimi, che spesso rappresentano il maggiore allarme sociale.

autori di omicidi premeditati e commessi con inaudita ferocia che, a distanza di pochi anni di detenzione ed applicando una serie di benefici riescono ad ottenere la libertà.

benefici questi, sempre concessi “in nome della legge”.

nessuno pensa alle sofferenze patite dai familiari delle vittime.

e’ emblematico il caso del papà di “omar” – vicenda di novi ligure – (1) che, in occasione dello scorso natale, avrebbe detto: “ mio figlio omar? a natale poteva tornare a casa in permesso premio, ma io non l’ho voluto. deve ancora soffrire prima di poter festeggiare tra i suoi familiari, deve ancora aiutare tante persone e, perché no?, svuotare molte padelle negli ospedali.”

personalmente, ammiro molto questo genitore che, in nome della propria coscienza ha ritenuto di infliggere una sanzione addirittura più pesante al figlio, in conseguenza del gravissimo fatto di sangue di cui si è reso responsabile.

oggi la giustizia ed il senso comune sembrano viaggiare su linee parallele, in due mondi diversi che non possono e forse non vogliono incontrarsi. allo stato, molto sommessamente possiamo auspicare una rivisitazione della politica criminale, con particolare riguardo agli “sconti di pena”, come:

1. esclusione di ogni sorta di beneficio per reati gravi, per i quali è prevista una reclusione superiore a 20 anni di carcere;
2. nessun permesso premio deve essere concesso fino alla espiazione di almeno il 70% della condanna inflitta;
3. eventuali benefici potranno essere valutati in presenza di pene detentive già scontate per almeno il 70%, con accertata e certificata“buona condotta” del condannato, nell’ottica che la pena deve comunque consentire il reinserimento del condannato nella società.

l’economia processuale rappresenta sicuramente una esigenza lodevole per ridurre i tempi processuali che non può e non deve in alcun modo ledere, se non mortificare i diritti della parte lesa.

tutto, in nome della legge.

facciamo qualcosa, anche in nome della nostra coscienza, guardando sì agli imputati, ma senza dimenticare troppo spesso le vittime.

bari 06 febbraio 2005

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