Trattamento di fine rapporto liquidato in misura maggiore: il dipendente deve restituire la differenza?
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A volte può capitare che l’azienda versi al proprio dipendente un Tfr (trattamento di fine rapporto) di importo superiore al dovuto. Il lavoratore che si vede così liquidare il maggior importo si chiederà se debba restituire la somma al datore o se invece possa legittimamente trattenere l’importo per l’intero.
In primo luogo, osserviamo che il Tfr viene pagato dal datore di lavoro al proprio dipendente al termine del rapporto di lavoro subordinato, sia a tempo determinato che indeterminato. Il Tfr va quindi accantonato dall’azienda e versato al dipendente qualunque sia stata la ragione della fine del rapporto lavorativo: in occasione, ad esempio, delle dimissioni del lavoratore o anche nel caso di licenziamento, sia individuale che collettivo o alle scadenze comunque stabilite dai rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro. Segnaliamo che è ora prevista per legge la possibilità per il datore di lavoro di versare mensilmente all’interno della busta paga gli importi di Tfr relativi al mese in questione[1]. Si pensi, poi, che il Tfr di un anno è all’incirca pari a una mensilità di stipendio: la sua quantificazione segue, infatti, dei criteri di calcolo prestabiliti dalla legge[2].
Ma vediamo ora cosa succede se il datore ha versato un Tfr, comunemente conosciuto anche come buonuscita o liquidazione, superiore a quello previsto. Poniamo il caso che, per esempio, l’azienda abbia liquidato al dipendente un Tfr superiore, ad esempio per errore di calcolo, svista o quant’altro. Sarà probabile che l’azienda chieda al lavoratore la restituzione della differenza tra quanto dovuto e quanto effettivamente percepito. Da tempo la giurisprudenza ha cercato di trovare una soluzione alla questione che, segnaliamo sin d’ora, rimane priva di interpretazione uniforme. Una questione ancora aperta che conduce, dunque, a conclusioni differenziate rispetto al singolo caso concreto.
Viceversa, in tempi più recenti, la Cassazione si è avvicinata di più alle esigenze del lavoratore che si sia visto liquidare un Tfr superiore. Occorre, però, subito segnalare che ad oggi questa interpretazione giurisprudenziale risulta ancora minoritaria[5]. Il ragionamento della Cassazione, sul punto, parte dal presupposto che il datore di lavoro che abbia versato un Tfr maggiorato, lo avrebbe fatto volontariamente per apportare, in modo implicito tramite il pagamento, una modifica migliorativa alle condizioni contrattuali del proprio dipendente [ 6]. A livello probatorio, quindi, grava sul datore l’obbligo di dimostrare che tale clausola migliorativa non sia valida: tuttavia, il datore dovrà provare non solo l’errore alla base della liquidazione maggiorata, ma anche la riconoscibilità da parte del lavoratore dell’errore medesimo[7]. Altrimenti, il dipendente avrà tutto il diritto di trattenere la totalità delle somme percepite a titolo di Tfr, seppur maggiorato.
Dicevamo prima che per tentare di soppesare gli interessi di ambo le parti, datore e dipendente, si dovrà di volta in volta fare riferimento ad indici concreti che possano far presumere che il versamento della quota in più di Tfr sia stato effettuato in maniera tacita e consapevole da parte dell’azienda al fine di salvare così le somme già versate al lavoratore, che non dovrà restituirle. Ad esempio, si porrà attenzione al numero di volte in cui il datore abbia versato un Tfr superiore al dovuto e quindi anche al periodo di tempo durante cui si sia ripetuta una tale condotta.
IN PRATICA
In pratica e riassumendo, se il datore non proverà la mancanza di una sua volontà implicita e migliorativa al momento della liquidazione del Tfr maggiorato [8], allora si dovrà tutelare l’affidamento legittimo che il dipendente abbia riposto in tale comportamento e la restituzione del Tfr avverrà unicamente se l’errore del datore sia stato riconoscibile da parte del dipendente.
LA SENTENZA
Cass. sez. lav., sent. 818 del 16.01.2007: “Il datore di lavoro che pretenda di ripetere una somma erogata al lavoratore in misura superiore rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo deve dimostrare che la corresponsione della maggiore retribuzione è frutto di un errore essenziale e riconoscibile dal dipendente stesso ex art. 1431 c.c.”.
Cass. sez. lav., sent. n. 7020 del 05.04.2005: “Il solo fatto di aver corrisposto al dipendente una retribuzione eccedente quella prevista dal contratto collettivo non costituisce per l’azienda titolo per ottenerne la restituzione. Ove il datore di lavoro richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il detto contratto preveda, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dall’altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisitiexartt. 1429 e 1431 cod. civ.”.
[1]Art. 1 della legge n. 190/2014.
[2]Art. 2120 cod. civ.
[3]Cons. di Stato, sez. V, sent. n. 685 del 20.02.2006, Cass. sez. lav., sent. n. 12495 del 10.11.1999, Cass. sez. lav., sent. n. 7281 del 24.07.1998, Cass. sez. lav., sent. n. 2209 del 27.02.1998, Cass. sez. lav., sent. n. 9287 del 02.09.1995, Cass. sez. lav., sent. n. 4893 del 04.05.1991, Cass. sez. lav., sent. n. 5620 del 6.11.1984, Cass. sez. lav., sent. n. 3927 del 08.06.1983.
[4]Il datore potrà agire in giudizio tramite azione di ripetizione dell’indebito la cui prescrizione è decennale ai sensi dell’art. 2946 cod. civ.
[5]Cass. sez. lav., sent. n. 4409 del 13.05.1987, Cass. sez. lav., sent. n. 4942 del 17.04.2000, Cass. sez. lav., sent. n. 7020 del 05.04.2005 e Cass. sez. lav., sent. 818 del 16.01.2007: “Il datore di lavoro che pretenda di ripetere una somma erogata al lavoratore in misura superiore rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo deve dimostrare che la corresponsione della maggiore retribuzione è frutto di un errore essenziale e riconoscibile dal dipendente stesso ex art. 1431 c.c.”.
[6]Cass. sez. lav., sent. n. 7020 del 05.04.2005: “Il solo fatto di aver corrisposto al dipendente una retribuzione eccedente quella prevista dal contratto collettivo non costituisce per l’azienda titolo per ottenerne la restituzione. Ove il datore di lavoro richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il detto contratto preveda, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dall’altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisitiexartt. 1429 e 1431 cod. civ.”.
[7]Art. 1431 cod. civ.
[8]Il datore potrà agire in giudizio tramite azione di annullamento la cui prescrizione è quinquennale ai sensi dell’art. 1442 cod. civ.
Autore immagine:Laleggepertutti.it