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L’incompatibilità ambientale prevale sul regime dei benefici della legge 104/92

 

Corte di Cassazione – Sez. Lavoro – Ord. 16/10/2008 n. 25275

Con ordinanza n°16102 del 9 luglio 2009, le  Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto una questione interpretativa posta dalla Sezione Lavoro della stessa Corte.Una docente si era venuta a trovare in una situazione di conflittualità con i colleghi, nonché con gli alunni e le loro famiglie. Da qui, la scelta dell\’amministrazione di procedere al trasferimento per incompatibilità ambientale. La docente si doleva della decisione e con sentenze in primo e secondo grado, vedeva accolte le sue perché la docente godeva dei benefici della Legge 104

Le Sezioni Unite della Cassazione, investite della questione, hanno affermato che il diritto del familiare lavoratore, che assiste con continuità un familiare portatore di handicap, a non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non può essere invocato ove il lavoratore versi in una situazione di incompatibilità ambientale.

Pur riconoscendo che l\’interesse della persona  handicappata si pone come limite esterno del potere datoriale di trasferimento, disciplinato in via generale dall\’art. 2103 c.c., in modo tale da prevalere sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro la Corte ha tuttavia sottolineato che il medesimo interesse debba anche conciliarsi con altri rilevanti che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro, pubblico o privato.La giurisprudenza di legittimità ha individuato situazioni di incompatibilità ambientale, che, se pure prescindono da ragioni punitive o disciplinari si distinguono dalle ordinarie esigenze di assetto organizzativo in quanto costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione realizzando, di per sé, un\’obiettiva esigenza di modifica del luogo di lavoro.In questi casi il mutamento della sede corrisponde alla necessità obiettiva di conservare al lavoratore il posto di lavoro, ove risulti l\’impossibilità della prosecuzione del rapporto nella precedente sede. A ragionare in modo diverso, si aprirebbe infatti anche la strada del licenziamento del lavoratore, mentre il trasferimento consente comunque di conservare il posto al lavoratore, concorrendo anche a realizzare le finalità dell\’assistenza alla persona handicappata.Nella specie, il provvedimento di trasferimento si configura come misura necessaria a contemperare diversi interessi coinvolti – della scuola, della lavoratrice e del familiare assistito – non essendo consentito, d\’altra parte, sopperire a tale oggettiva incompatibilità con il licenziamento

 

 

 

 

 

1. La Corte d\’appello di Messina , rigettando il gravame del Ministero dell\’Istruzione, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di S. A., docente di scuola elementare, diretta ad impugnare il proprio trasferimento per l\’anno 1998/1999, per incompatibilità ambientale, dal Circolo didattico di (omissis) a quello di (omissis).

2. La Corte territoriale ha ritenuto che la A., assistendo un familiare handicappato con lei convivente, ai sensi dell\’art.33, comma 5, della legge 104 del 1992, non potesse esser trasferita in ogni caso senza il proprio consenso, non consentendo la legge in tale ipotesi alcun bilanciamento di interessi, già compiuto dal legislatore in favore della situazione assistenziale, diversamente dal caso, pure contemplato nella stessa legge, di scelta della sede di lavoro, dove con l\’inciso “ove possibile”, era espressa la necessità di un contemperamento fra i contrapposti interessi, del lavoratore ad ottenere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e del datore alla soddisfazione delle proprie esigenze economiche ed organizzative.

3. La Corte territoriale ha anche aggiunto che, nel caso di specie, in cui, a causa dei comportamenti dell\’insegnante, si era verificata una situazione di acuta conflittualità con i colleghi, i piccoli alunni e le loro famiglie, il trasferimento non garantiva l\’interesse dell\’amministrazione, non essendo escluso che una situazione analoga potesse ripetersi anche in altra sede.

4. Il Ministero dell\’Istruzione chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di due motivi di ricorso. L\’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

5. Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell\’art. 33, comma quinto, della legge 104/92 e dell\’art. 468 del d.lgs 297/94 nonché insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.Si addebita alla sentenza impugnata di aver introdotto una netta distinzione fra l\’ipotesi di prima assegnazione della sede di servizio, nella quale avrebbero rilievo anche le esigenze organizzative dell\’amministrazione, e quella del trasferimento, dove sarebbe indispensabile il consenso del lavoratore, contro la “ratio” della norma, come ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità e con compressione eccessiva ed ingiustificata dei poteri della P.A. datrice di lavoro, espressi nell\’art. 468 del d.lgs 297/94.

6. Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell\’art. 468 del d.lgs 297/94, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si addebita alla sentenza impugnata di avere, senza adeguata motivazione, ritenuto illegittimo il trasferimento sul rilievo che analoga situazione avrebbe potuto presentarsi anche in altra sede e che la misura adottata non fosse quindi quella più idonea a risolvere il problema ambientale determinatosi.

7. Il primo motivo di ricorso pone alla Corte la questione dell\’esatta interpretazione dell\’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l\’assistenza, l\’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) che, nel testo vigente all\’epoca dei fatti, stabiliva che: “Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.In particolare si chiede alla Corte di stabilire se, trattandosi di rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, l\’opposizione del lavoratore che assista il parente o affine portatore di handicap precluda il trasferimento o se invece questo sia possibile anche in tale ipotesi, previa valutazione e bilanciamento dei contrapposti interessi.

8. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermare che in considerazione della “ratio” cui è ispirata la legge n. 104 del 1992 e tenendo conto di quanto precisato nelle sentenze n. 406 del 1992 e n. 325 del 1996 della Corte costituzionale, l\’art. 33, comma quinto, della citata legge n. 104 del 1992 (recentemente modificato dall\’art. 19 della legge n. 53 del 2000) deve essere interpretato nel senso  che il riconoscimento in favore del genitore o del familiare lavoratore dell\’handicappato del diritto di scegliere la sede lavorativa più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, sia l\’attualità dell\’assistenza (della quale il legislatore si è preoccupato di evitare interruzioni) sia la compatibilità con l\’interesse comune.Infatti, com\’è dimostrato anche dalla presenza dell\’inciso: “ove possibile”, secondo il legislatore il diritto alla effettiva tutela dell\’handicappato – al cui perseguimento devono partecipare lo Stato, le Regioni e gli altri enti locali, nel quadro dei principi posti dalla legge in argomento – non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi – soprattutto per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico – in un danno per la collettività. (Cass. 829/2001, che nella specie la S.C. ha escluso la riconoscibilità del diritto al trasferimento di un dipendente dell\’AST che, dopo aver assunto servizio ed aver prestato attività lavorativa a Catania  per diversi anni, aveva chiesto di essere trasferito a Palermo , dove aveva nel frattempo spostato la propria residenza anagrafica, per effettuare per la prima volta assistenza alla sorella handicappata, cui fino ad allora avevano sempre pensato i genitori; nel medesimo ordine di idee, Cass . 12692/2002; v. anche Cass. 1396/2006, secondo la quale il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al proprio domicilio – previsto dall\’art. 33, quinto comma, della legge n. 104 del 1992 – non è assoluto e privo di condizioni, siccome l\’inciso “ove possibile”, indicato nella stessa norma, richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto e il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi – soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico – potrebbe determinarsi un danno per la collettività).Tale orientamento sembra aver trovato conferma anche in una recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, dove è stato affermato, ancora una volta, che il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dall\’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso – come dimostrato anche dalla presenza dell\’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli implicati interessi costituzionalmente rilevanti, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporto di lavoro pubblico – in un danno per l\’interesse della collettività, gravando sulla parte datoriale, privata o pubblica, l\’onere della prova di siffatte circostanze ostative all\’esercizio dell\’anzidetto diritto (Cass. Sez. un. 7945/2008).

9. Tuttavia la sentenza appena cit. pur affermando un principio che sembra riguardare oltrechè l\’ipotesi di scelta della sede, anche l\’eventuale trasferimento, si è in realtà occupata, come emerge dalla lettura  integrale della decisione, di un caso nel quale era controversa l\’assegnazione delle sedi di lavoro disposta a conclusione di una procedura concorsuale pubblica.D\’altra parte, anche nella menzionata sentenza 829/2001, il trasferimento oggetto di controversia era quello non accordato al dipendente , che ne aveva fatto richiesta proprio al fine di espletare i compiti assistenziali, e lo stesso può dirsi per il caso esaminato da Cass . 12692/2002. La conclusione è che mentre la questione della prima assegnazione della sede di lavoro o del trasferimento da una sede all\’altra, a richiesta del lavoratore, in relazione alle previsioni dell\’art. 33 comma quinto della legge 104 del 1992 è stata affrontata dalla giurisprudenza e risolta in modo unanime, lo stesso non si può dire per il caso oggetto della presente controversia, dove si discute non di un trasferimento richiesto dal lavoratore per far fronte  ai suoi doveri assistenziali ma di un trasferimento disposto, contro la sua volontà, nei confronti di un lavoratore che già assiste con continuità un congiunto portatore di handicap.Secondo la sentenza impugnata la fattispecie trova disciplina nel più volte cit. art. 33 della legge 104, soprattutto per la netta distinzione, rinvenibile nella disposizione in esame, tra la scelta della sede, cui si riferisce l\’inciso ” ove possibile” e il trasferimento del lavoratore, categoricamente vietato (” non può esser trasferito”). La diversa formulazione d\’altra parte, potrebbe esprimere una scelta di valore, collegata alla diversità delle due situazioni, e in particolare ai riflessi particolarmente negativi per il portatore di handicap di un trasferimento a fronte di una situazione assistenziale già consolidata.

10. L\’importanza della questione sotto il profilo sociale ma anche, in particolare per quel che riguarda le pubbliche amministrazioni, sotto il profilo organizzativo, e la presenza di una decisione delle Sezioni Unite che, pur sembrando esprimere un principio idoneo a risolvere anche la controversia in esame, si è in realtà formata su un caso sostanzialmente diverso, rendono opportuno rimettere il ricorso al Primo Presidente di questa Corte perché valuti l\’opportunità di uno specifico intervento delle Sezioni Unite.

PQM

Dispone la rimessione del ricorso al Primo Presidente per l\’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Roma 19 giugno 2008.

Depositato in cancelleria il 16 ottobre 2008.

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