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DELITTI IN TV, la verità mediatica va ridimensionata

Vacilla la ricerca della “verità mediatica” nei talk show. Infatti, nelle trasmissioni che si occupano di gravi delitti non si possono ripercorrere “ipotesi investigative di sospetti degli inquirenti” senza precisare che tali sospetti non hanno avuto “riscontro”. Altrimenti il giornalista rischia una condanna per diffamazione.
A questa importante conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 45051 di oggi, pur prendendo coscienza di questa ricerca spasmodica della verità mediatica su alcuni delitti in molti talk show italiani, ha fissato dei paletti stringenti sul diritto di cronaca.
La quinta sezione penale ha infatti confermato la condanna nei confronti di un noto condutture e di una giornalista che avevano rappresentato in una “scheda” delle ipotesi investigative scabrose senza precisare che poi tali ipotesi non avevano avuto un riscontro oggettivo.
Infatti, hanno motivato gli Ermellini, “la scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca è ipotizzabile solo qualora, pur non essendo obiettivamente vero il fatto pubblicato, il giornalista abbia assolto all\’obbligo di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l\’affidamento riposto in buona fede sulla fonte, e, quando si intende pubblicare la notizia di un fatto lesivo dell\’altrui reputazione, la verifica, per una deontologica esigenza di garanzia, va fatta quando ciò è possibile, interpellando la persona che dalla pubblicazione risulterebbe lesa, anche per riceverne eventuali giustificazioni o spiegazioni”.

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