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TI PORTO IN TRIBUNALE: Non è violenza anche se l’azione civile è temeraria

«Ti faccio causa!». Rischia l’estorsione chi agita la spettro delle vie legali non per far valere un diritto ma per coartare la volontà dell’altro. Evita invece il reato di violenza o minaccia chi dà effettivamente corso all’azione civile, anche se è animato da ragioni del tutto strumentali rispetto al (presunto) diritto vantato. E ciò perché l’intervento del giudice terzo spezza ogni collegamento fra l’esito e la discrezionalità di chi agisce, mentre il sistema giudiziario ormai attivato ha in sé rimedi specifici contro l’azione temeraria, specie dopo la riforma del processo civile. Lo chiarisce la sentenza n. 5300 dell’11 febbraio 2011, emessa dalla sesta sezione penale della Cassazione.
Chi si limita a minacciare il ricorso all’azione giudiziaria, civile o penale, prospetta all’interlocutore una conseguenza negativa che in qualche modo resta nella discrezionalità dell’agente. Mentre chi effettivamente passa all’azione (giudiziaria) si assume la responsabilità che scaturisce dall’aver messo in moto la macchina della giustizia (per quanto lenta); senza dimenticare che i rimedi contro la lite temeraria possono essere messi in campo anche d’ufficio dal magistrato, senza richiesta del convenuto (o del denunciato).
È vero: in Italia ci sono i processi-lumaca e il solo dover andare a difendersi nelle aule di giustizia comporta spese ingenti. Insomma: il danno c’è tutto quando si è trascinati in tribunale per difendersi da un’azione che è totalmente strumentale. Secondo i giudici con l’ermellino, tuttavia, l’ordinamento ha già in sé i mezzi per rimediare. Prendiamo, nel penale, il caso della denuncia manifestamente infondata rivolta contro il pubblico ufficiale (come può essere anche il consulente dell’autorità giudiziaria): quando è configurabile il delitto di calunnia, scatta subito l’obbligo di trasmissione degli atti. Veniamo al civile: grazie alla legge 69/2009, nel caso di condanna alle spese di giudizio della parte soccombente, il giudice può condannare chi ha soltanto fatto perdere del tempo alla giustizia a pagare alla controparte di una somma determinata in via equitativa. Va quindi esclusa ogni rilevanza penale della condotta.

 

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