Via libera alle “150 ore” per tutti. Anche il lavoratore a tempo determinato ha diritto al permesso retribuito per motivi di studio: i principi comunitari, infatti, vietano ogni forma di discriminazione rispetto al trattamento di chi è titolare del posto “a vita”. È quanto emerge dalla sentenza n. 3871 del 17 febbraio 2011, emessa dalla sezione lavoro della Cassazione.
Bocciato, contro le conclusioni del pm, il ricorso del ministero della Giustizia: il dicastero di via Arenula ha illegittimamente escluso un lavoratore dalla graduatoria per le “150 ore” sul rilievo che si tratterebbe di una prerogativa dei dipendenti a tempo indeterminato. In realtà la direttiva comunitaria relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato prevede la perfetta equiparazione con il posto “fisso”, sul piano economico e giuridico, fatta eccezione per i trattamenti che non risultano conciliabili con il singolo rapporto a tempo determinato. E non è questo il caso dei permessi retribuiti per motivi di studio, che invece riguardano un diritto fondamentale del lavoratore, quello alla formazione. Né rileva che il datore di lavoro, pubblico o privato, non abbia un interesse specifico all’elevazione culturale del dipendente: la fruizione del beneficio ricade nei diritti fondamentali della persona e viene tutelata dalla Carta costituzionale. Insomma, non è la mera circostanza che al contratto di lavoro sia stato posto un termine di scadenza che può, di per sé, impedire l’accesso del lavoratore ai permessi per motivi di studio: l’esclusione risulta legittima soltanto in caso di oggettiva incompatibilità.
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