DA CASSAZIONE.NET—————————-L’accusa rivolta al luminare della medicina è infamante: aver preso soldi extra dai clienti per accelerare l’intervento chirurgico nell’ospedale dove lavora come primario. Il tutto attraverso l’espediente (presunto) del check up «pre-operatorio», effettuato in regime di intramoenia presso l’Asl: secondo l’accusa, invece che un pagare per un normale controllo, i pazienti “compravano” in realtà il diritto di precedenza a entrare in camera operatoria (a scapito di altri) e si garantivano la sicurezza che a effettuare l’intervento sarebbe stato «il professore» in prima persona. Ma i compensi per l’attività inframuraria svolta risultano tutti fatturati in base alle tariffe autorizzate e gli importi appaiono regolarmente versati all’azienda ospedaliera. Gli elementi a carico del chirurgo che emergono dalla motivazione, insomma, non sono sufficienti a configurare la concussione. È quanto emerge da una sentenza emessa il 10 maggio 2011 dalla sesta sezione penale della Cassazione. Laddove il giudice del secondo grado ribalta il proscioglimento pronunciato in prima istanza, deve fornire una motivazione rafforzata. E non si è attenuta al principio che impone una spiegazione “aggravata” la Corte d’appello che condanna per concussione il chirurgo accusato di intascare tangenti: sarà il giudice del rinvio a mettere la parola “fine” alla vicenda. Intanto di certo c’è che la concussione si configura quando il pubblico ufficiale intimorisce l’utente e approfittando della sua posizione si procura un’indebita utilità. Alcuni pazienti, nella specie, escludono ogni forma di costrizione. E ciò che appare strano è che il presunto giro di tangenti avvenisse praticamente alla luce del sole, con tanto di fatture, «tariffe congrue» e importi versati all’Asl attraverso il veicolo del check up effettuato in vista dell’operazione nell’ambito di una prestazione inframuraria. Insomma: la parola torna alla Corte d’appello.
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