Confisca ex “231”: profitto confiscabile
Cassazione Penale, sentenza pubblicata il 22 dicembre 2014
non può dirsi illecito e dunque confiscabile il profitto conseguente da
un’effettiva e corretta esecuzione delle prestazioni svolte in favore
della controparte, pur in virtù di un contratto instaurato illegalmente.
Il profitto confiscabile, pertanto, non va identificato con
l’intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A.,
dovendosi distinguere il profitto derivante direttamente dall’illecito
penale dal corrispettivo conseguito per l’effettiva e corretta
erogazione delle prestazioni svolte in favore della stessa P.A., le
quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell’illiceità della causa remota. Soltanto rispetto alla differenza tra
l’intero valore del contratto e quello della prestazione effettivamente
svolta a vantaggio della controparte è possibile affermare “che l’ente abbia tratto un’utilità economicamente valutabile quale frutto immediato e diretto dell’illecito”,
laddove la seconda voce – cioè il corrispettivo percepito dall’ente in
stretta correlazione alla prestazione eseguita – rappresenta un
vantaggio economico conseguenza di un’attività lecita che, in effetti,
non trova la causa nel reato.
Secondo la Corte quindi, se il
profitto si sostanzia “nel beneficio aggiunto di natura patrimoniale”
tratto dalla condotta illecita, esso non può che essere pari all’intero
prezzo pattuito della commessa, cioè al valore totale fatturato del
contratto, al netto del valore della prestazione
effettivamente garantita alla controparte, di tal che, in caso di
esecuzione solo parziale o in parte non conforme a quanto convenuto o
comunque non utile, si dovrà detrarre soltanto il corrispettivo “pro
quota” o comunque stimato per la prestazione eseguita.
Conseguentemente,
nel caso in cui l’illecito sia stato commesso nell’ambito di
un’attività d’impresa lecita, il provvedimento ablatorio deve essere circoscritto al
vantaggio economico tratto dall’attività illecita al netto della
“utilitas” comunque conseguita dalla controparte dall’adempimento della
prestazione oggetto del contratto, trattandosi – riguardo a quest’ultima
– di vantaggio economico non direttamente né immediatamente
riconducibile al reato, ma soltanto all’esecuzione del rapporto
obbligatorio, che pertanto non può andare a comporre il profitto
confiscabile.
Ebbene, di questi principi dovrà tenere conto il
Tribunale di Milano nel rivalutare l’istanza di riesame presentata da
una società i cui beni sono stati sottoposti a sequestro per via dei
reati ascritti ai suoi vertici.
Il Tribunale, secondo la Corte,
ha errato allorché ha ritenuto assoggettabile a confisca – quindi a
sequestro funzionale all’ablazione – l’intero valore dei contratti
oggetto di controversia, dovendo da esso defalcarsi, in applicazione dei
sopra richiamati criteri di determinazione del profitto del reato in
ipotesi di “reato in contratto”, il corrispettivo
incamerato dall’ente a fronte delle prestazioni lecite eseguite in
favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua
genesi in un illecito (segnatamente commesso nella fase della formazione
della volontà contrattuale).