mercoledì, Maggio 1, 2024
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PROCEDIMENTO DI PREVENZIONE: La confisca è una Misuira di sicurezza

LA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI
UNITE PENALI

 

 

Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SANTACROCE Giorgio – Presidente
– Dott. MANNINO Saverio Felic – Consigliere – Dott. MILO Nicola –
Consigliere – Dott. LOMBARDI Alfredo Maria – Consigliere – Dott.
CONTI Giovanni – Consigliere – Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere –
Dott. BRUNO Paolo A. – rel. Consigliere – Dott. MACCHIA Alberto –
Consigliere – Dott. CASSANO Margherita – Consigliere – ha
pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: 1.
S.G., nata a (OMISSIS); 2. D.R.G., nata ad (OMISSIS); avverso il
decreto del 30/11/2012 della Corte di appello dell\’Aquila. visti gli
atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione
svolta dal componente Paolo Antonio Bruno; lette le richieste del
Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
ANIELLO Roberto che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Fatto

1. Con
decreto del 18 gennaio 2011 il Tribunale di Teramo rigettava la richiesta di
applicazione di misura di prevenzione personale nei confronti di S.G.,
D.R.G. e di altra proposta; accoglieva, invece, la contestuale richiesta
di confisca, previo sequestro, dei seguenti beni: un immobile acquistato nel
2002 e due libretti postali (recanti, rispettivamente, il saldo di Euro
23.404,16 ed Euro 50.063,069) quanto alla S.; ed un immobile acquistato
nel 2000 ed un libretto postale (con saldo Euro 3700,25), quanto alla
D.R.. 2. Pronunciando sui gravami proposti dal difensore, la Corte di
appello dell\’Aquila, con il decreto indicato in epigrafe, in parziale
riforma dell\’impugnato provvedimento, revocava la confisca della casa di civile
abitazione e del danaro depositato su libretti postali intestati alla S.
e del danaro depositato sul libretto postale intestato alla D.R..
Residuavano, pertanto, le seguenti misure: per la S., limitatamente al libretto
postale n. (OMISSIS), recante il saldo di oltre Euro 50.000, di cui Euro 41.000,00
risultante da versamenti effettuati nel periodo maggio/agosto 2009; e,
per la D.R., all\’immobile di sua proprietà, sito in (OMISSIS). 3. Avverso
l\’anzidetta pronuncia il difensore delle proposte, avv. Fedele Ferrara, ha
presentato distinti ricorsi per cassazione, affidati ad identiche ragioni
di censura, di seguito indicate. Con unico motivo, si eccepisce
violazione di legge in relazione alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn.
1 e 2, e L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter sul rilievo che la Corte
territoriale aveva confermato il decreto di confisca in ragione della
ritenuta retroattività delle disposizioni normative (L. 24 luglio 2008, n. 125,
e L. 15 luglio 2009, n. 94) che avevano modificato la L. n. 575 del 1965
ed esteso la platea dei soggetti destinatari della misura di prevenzione,
consentendo così l\’ablazione di beni acquistati dalle proposte prima
dell\’entrata in vigore delle anzidette riforme. Si contesta, altresì, la
ritenuta assimilazione delle misure di prevenzione alle misure di sicurezza,
posta alla base dell\’applicazione alle prime dell\’art. 200 cod. pen., sul
rilievo che la dettaequiparazione non era prevista dalla legge, ma era
solo frutto di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale,criticata
peraltro da più autorevole dottrina, che aveva negato l\’applicabilità delle
misure di prevenzione a beniacquistati prima dell\’entrata in vigore della
legge che le riguardino.4. Con requisitoria scritta del 9 agosto 2013, il
Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, ha concluso peril rigetto
dei ricorsi, sul riflesso che il provvedimento impugnato aveva fatto corretta
applicazione della lezionegiurisprudenziale di legittimità in merito alla
natura della confisca di prevenzione ed alla conseguenteapplicabilità del
disposto dell\’art. 200 cod. pen..5. Con memoria depositata il 21 gennaio
2014, l\’avv. Salvatore Mondello ha replicato alle conclusioni del
P.G.,richiamando recente pronuncia di legittimità (Sez. 5, n. 14044 del
13/11/2012, dep. 2013, Occhipinti, Rv.255043), che, in contrasto con la
prevalente l\’interpretazione, aveva sostenuto la natura sanzionatoria
dellaconfisca di prevenzione, con conseguente applicazione del principio
di irretroattività della legge penale, propriodelle pene e non delle
misure di sicurezza. In particolare, ha dedotto che, pur a fronte
dell\’affermato principiodi autonomia delle misure di prevenzione
patrimoniali rispetto a quelle personali e dello sganciamento delleprime
dal requisito dell\’attualità della pericolosità sociale, alla luce delle novelle
del 2008 e del 2009, lapericolosità sociale continuava ad essere
condizione ineludibile di applicazione della confisca di
prevenzione.Peraltro, quanto a D. R.G., tale condizione era stata esclusa
non solo con il decreto del Tribunale di Teramo del18 gennaio 2011, cui
si riferiva il provvedimento impugnato, ma anche con precedente decreto dello
stessoTribunale del 23 giugno 2006, che aveva rigettato la richiesta di
applicazione della misura di prevenzionepersonale della sorveglianza
speciale, con obbligo di soggiorno, nei suoi confronti.Ha chiesto,
pertanto, l\’accoglimento dei ricorsi e, in linea subordinata, ove non fosse
stata accolta la propostainterpretazione, la rimessione degli atti alle
Sezioni Unite per la risoluzione del denunciato contrasto.6. Con
ordinanza del 30 gennaio 20014, la Sesta Sezione penale ha rimesso i ricorsi
alle Sezioni Unite,riconoscendo l\’esistenza di un contrasto
interpretativo sulla natura della confisca di prevenzione,
maturatosuccessivamente all\’entrata in vigore delle riforme del 2008 e
del 2009, che avevano fatto venir meno ilrequisito dell\’attualità della
pericolosità sociale. Ed infatti, Sez. 1, n. 39204 del 17/05/2013, Ferrara,
Rv.256141, ponendosi sulla scia dell\’interpretazione tradizionale, aveva
ritenuto che le novelle legislative nonavessero inciso sulla natura della
confisca di prevenzione, che, pertanto, avrebbe dovuto ritenersi ancora
privadi connotato sanzionatorio di natura penale.Di tutt\’altro
avviso si era detta, invece, la citata Sez. 5, Occhipinti, Rv 255043, che aveva
concluso per lanatura oggettivamente sanzionatoria, che sarebbe stata, di
recente, assunta dalla confisca di prevenzione e perla conseguente
applicabilità del principio di irretroattività della legge penale.7. Con
decreto del 12 novembre 2012, il Primo Presidente ha assegnato i ricorsi alle
Sezioni Unite, e ne hadisposto la trattazione all\’odierna udienza
camerale.

Diritto

1. La
questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni
Unite è la seguente: “Se inconseguenza delle modifiche introdotte
dal D.L. n. 92 del 2008 (conv. dalla L. n. 125 del 2008) e dalla L. n.
94del 2009, alla L. n. 575 del 1965, art. 2-bis la confisca emessa
nell\’ambito del procedimento di prevenzionepossa essere ancora equiparata
alle misure di sicurezza o abbia assunto connotati sanzionato e se, quindi,
adessa sia applicabile, in caso di successione delle leggi nel tempo, la
previsione di cui all\’art. 200 cod. pen. oquella di cui all\’art. 2 cod.
pen.”.2. La formulazione del quesito, così articolata, postula – in
tutta evidenza -la soluzione di due distinti profiliproblematici: il
primo, attiene alla persistente assimilabilità della confisca di prevenzione
alle misure disicurezza, alla stregua dell\’attuale stato della legislazione;
il secondo, logicamente subordinato al primo,riguarda l\’applicabilità, in
ipotesi di successione di leggi nel tempo, della disposizione racchiusa
nell\’art. 200c.p., comma 1 – secondo cui “le misure di sicurezza
sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loroapplicazione”
– oppure del principio di irretroattività della legge penale dettato dall\’art.
2 c.p..A tali profili appare, poi, correlato l\’ulteriore interrogativo
concernente la cd. perimetrazione cronologica, ossiala controversa
necessità della correlazione temporale tra epoca di acquisto del bene da
confiscare emanifestazione di pericolosità.3. Mette conto, sin da
subito, evidenziare che la quaestio iuris così delineata, pur se enunciata in
terminigenerali, e come tale riferibile a tutte le varie e composite
categorie di soggetti nei confronti dei quali sono,astrattamente,
applicabili le misure di prevenzione patrimoniali (oggi accorpate nell\’ampia
rassegna soggettivadi cui all\’art. 16, mediante il richiamo al D.Lgs. 6
settembre 2011, n. 159, art. 4 cosiddetto “codice
antimafia”),sembra porsi – in rapporto al caso di specie – con
esclusivo riferimento all\’ipotesi della pericolosità cd. generica(o
comune), propria dei soggetti dediti abitualmente a traffici delittuosi o che
vivano abitualmente, anche inparte, con i proventi di attività
delittuose, ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1 (oggi, del
D.Lgs.n. 159 del 2011, art. 1); e non anche all\’ipotesi della
pericolosità cd. qualificata, propria dei soggetti ritenutipartecipi di
associazioni per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.,
richiamato dal citato D.Lgs.n. 159 del 2011, art. 4, lett. a)). Ed
infatti, le odierne ricorrenti rientrano, pacificamente, nella prima categoriasoggettiva
e sono state, quindi, correttamente ritenute pericolose “generiche” o
“comuni”.Nondimeno, la stessa ampiezza di formulazione del
quesito di diritto e la funzione nomofilattica assegnata,nella sua più
pregnante espressione, alle Sezioni Unite, impongono di estendere l\’orizzonte
cognitivo oltre ilimiti della concreta fattispecie, per affrontare
profili problematici afferenti anche alla più grave manifestazionedi
pericolosità, ossia a quella cd. qualificata.D\’altronde, è innegabile che
le due situazioni sostanziali, pur riconnettendosi a fenomenologie
criminaliprofondamente diverse, per coefficiente di gravità ed allarme
sociale, costituiscono distinte espressioni di uninsieme unitario
(testualmente evidenziato dall\’accorpamento D.Lgs. n. 159 del 2011, ex art.
16),rappresentato dal sistema di prevenzione. Al di là dell\’ontologica
diversità dei contesti di riferimento, le dueforme di pericolosità
presentano, infatti, un comune denominatore: entrambe sollecitano risposte
ordinamentalinon già a fatti costituenti reato, ma a stili di vita e
metodiche comportamentali che si collocano al di fuori degliordinari
schemi della civile convivenza e del sistema democratico. Ed invero, si tratta,
nell\’un caso, di abitualededizione al crimine, eletto a fonte di
sostentamento; e, nell\’altro, di scelte esistenziali e di
sistematicicomportamenti, antitetici alle regole del consorzio civile, ma
pur essi orientati a logiche di profitto e di
facilearricchimento.E\’ dato di pacifica acquisizione, maturato attraverso
l\’osservazione sociologica e la prassi giudiziaria, chemanifestazioni
criminali volte a favorire mere affermazioni di prestigio o carisma personale,
da ostentare incircoscritto ambito territoriale, per qualsivoglia ragione
(compreso il diretto controllo della microcriminalità inesso operante),
sembrano relegate a forme di “mafiosità”, ormai desuete ed
anacronistiche. La criminalitàorganizzata, in tutte le sue manifestazioni
territoriali (“cosa nostra”, “ndrangheta”, “camorra”
e similari), è oggifenomenologia delinquenziale votata, primariamente,
all\’accumulo, sistematico e spasmodico, di ricchezza,attraverso
l\’intimidazione, la prevaricazione e la capacità di infiltrazione nei più
delicati gangli dell\’ordinamentoburocratico- istituzionale, al fine di
acquisire agevolazioni e benefici d\’ogni tipo, anche attraverso
l\’illecitaaggiudicazione di appalti e pubbliche commesse, in spregio
delle ordinarie regole concorrenziali.Ecco allora che un ulteriore
fattore vale ad accumunare, pur nell\’oggettiva diversità, il perseguimento
delle dueforme di pericolosità sociale, ovverosia l\’esigenza di eliminare
dal circuito economico-legale beni ed altreattività illecitamente
acquisiti.D\’altro canto, proprio tale logica unitaria vale a spiegare le
ragioni dell\’applicabilità della confisca diprevenzione
“antimafia” anche alle categorie dei soggetti portatori di
pericolosità “generica”, diversamenteimproponibile stante
l\’irriducibile eterogeneità dei contesti sostanziali in questione.La progressiva
assimilazione, quantomeno sul versante applicativo, delle due fattispecie di
pericolosità è ilfrutto – come si dirà in prosieguo – di lenta evoluzione
normativa, non sempre coerente, in verità,nell\’individuazione degli
ambiti soggettivi di riferimento, sì da ingenerare non pochi dubbi
interpretativi.Nondimeno, tale tendenziale assimilazione – che ha trovato
il suo epilogo nell\’organica disciplina del citato”codice
antimafia” (significativa, in proposito, è la stessa, inglobante, rubrica
del D.Lgs. n. 159 del 2011:”Codice delle leggi antimafia e delle
misure di prevenzione”) – fa sì che i molteplici profili problematici
datrattare in materia di pericolosità generica possano essere riferiti –
e, contestualmente, risolti – anche inriferimento alla pericolosità qualificata,
cui sarà dedicata l\’ultima parte dell\’esposizione.4. Orbene, nel prendere
le mosse proprio dalla pericolosità generica, che attiene specificamente alla
fattispecieoggetto di giudizio, è utile anteporre all\’esame degli aspetti
più salienti una succinta puntualizzazione dellavicenda sostanziale,
anche ai fini dei riferimenti cronologici necessari all\’individuazione della
disciplina daapplicare in concreto.4.1. Dall\’incontestato sviluppo
dei fatti, così come riferito nel provvedimento impugnato, emerge che, il 16luglio
2010, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Teramo ha avanzato,
nei confronti delle odiernericorrenti, proposta di applicazione della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e contestuale richiestadi
confisca, previo sequestro, di beni immobili, mobili registrati, denaro,
libretti bancari e postali,specificamente indicati.Con decreto del
18 gennaio 2011, il Tribunale di Teramo ha rigettato la richiesta di
applicazione della misura diprevenzione personale, accogliendo invece,
quella riguardante la confisca.A sostegno della relativa imposizione era
richiamata la norma di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 2-bis,
comma6-bis introdotto dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 10 modificato
dalla Legge Di Conversione 24 luglio 2008,n. 125, ed ulteriormente
modificato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, che ha sancito il principio di
“autonomia framisure patrimoniali personali e reali”, così
consentendo l\’applicazione disgiunta delle stesse, ossia delle primeanche
in mancanza dell\’attualità della pericolosità sociale del proposto e persino in
ipotesi di mancatoaccoglimento della richiesta di misura
personale.In particolare, nei confronti di S.G. era disposta – pur in
mancanza di attuale pericolosità sociale – la confisca diun immobile sito
in (OMISSIS) e di somme di denaro depositate su due libretti accesi presso il
locale ufficiopostale ed a lei intestati.Alla stessa stregua, nei
confronti di D.R.G., era disposta la confisca di un immobile e di somme di
denarodepositate su un libretto postale pure a lei intestato,
indipendentemente dalla condizione di attuale pericolosità.La misura
ablatoria era giustificata sul riflesso che l\’acquisto degli immobili anzidetti
e le movimentazioni deilibretti postali erano avvenuti in periodo nel quale
le ricorrenti non risultavano titolari di reddito ufficiale(segnatamente
la S.), ovvero erano percettrici di redditi assai modesti (segnatamente, la D.
R.), di talchè idetti acquisti risultavano “privi di lecita
giustificazione”.4.2. Come riferito in narrativa, la Corte di
appello dell\’Aquila, con il provvedimento oggi impugnato, haparzialmente
riformato l\’anzidetto decreto, revocando, quanto alla S., la confisca
dell\’immobile sito in(OMISSIS) e del denaro depositato su uno dei libretti
postali in sequestro; e, quanto alla D.R., la confisca deldenaro
depositato sul libretto postale sequestrato.Le disposte restituzioni
erano motivate in ragione della ritenuta compatibilità dei valori confiscati
con i redditi(di carattere risarcitorio o da lavoro saltuario) percepiti
dalle istanti al tempo dei relativi acquisti; mentre eraconfermato il
giudizio di sproporzione in riferimento agli altri beni sequestrati, previa
valutazione incidentaledella pericolosità sociale, espressa, in passato,
dalle stesse proposte.In effetti, risultava dai precedenti penali di
entrambe – quattro furti in abitazione commessi dalla S. negli anni2002,
2003 e 2010; venti furti commessi dalla D.R. negli anni 1977, 1978, 1979, 1986,
1985, 1989, 1991,1993, 1995, 1997, 1998, 2003, 2006, 2010 – nonchè da
determinati precedenti giudiziari (per ricettazioneaccertata nel 2009,
quanto alla S.; per furto di un appartamento commesso nel 2009, quanto alla
D.R.), dallefrequentazioni e dal rapporto di convivenza con soggetti pregiudicati
(nel caso della S.), da pregressasottoposizione ad avviso orale di
pubblica sicurezza (la D.R. in due distinte occasioni, negli anni 2000 e
2009)che, al tempo dell\’acquisto dell\’immobile e delle accertate
disponibilità finanziare, entrambe le donne eranodedite ad attività
delinquenziale.Il coacervo di tali elementi, in rapporto all\’accertata
mancanza di fonti lecite di reddito (in tutto o in granparte), nell\’arco
di tempo considerato, induceva i giudici di appello alla conferma dell\’inquadramento
dellestesse ricorrenti nelle categorie soggettive dei “pericolosi
comuni”, definite dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1,comma 1, nn. 1 e
2.La Corte distrettuale richiamava l\’insegnamento giurisprudenziale di
legittimità sulla necessità della verificaincidentale della pericolosità
sociale e sull\’efficacia nel tempo delle novelle del 2008 e del 2009, in tema
diconfisca “disgiunta”, sul rilievo che il detto ambito di
efficacia si estendeva anche a fatti-reato commessi primadell\’entrata in vigore
delle stesse riforme, in forza del disposto dell\’art. 200 cod. pen., relativo
all\’applicabilitàalle misure di sicurezza della legge vigente al tempo
della loro applicazione ovvero, in ipotesi di modifichenormative
intervenute in fase di esecuzione, della legge vigente in quel momento (Sez. 1,
n. 5361 del13/01/2011, Altavilla, Rv. 249800).5. Dallo sviluppo
dell\’iter logico-giuridico della pronuncia impugnata, balza evidente che
all\’applicazione dellaconfisca di prevenzione nei confronti delle due
prevenute il giudice a quo è pervenuto sulla base dellemenzionate
novelle, applicate, quindi, retroattivamente. In particolare, ha fatto corretta
applicazione delprincipio dell\’irrilevanza del requisito dell\’attuale
pericolosità sociale e del disposto ampliamento della platea
deidestinatari delle misure di prevenzione patrimoniale, sì da
ricomprendere, nel relativo ambito, anche i soggettiindicati alla L. n.
1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2 tanto da applicare la misura ablatoria proprio
sul presuppostodell\’appartenenza delle odierne ricorrenti a siffatta
categoria.Viene, così, in evidenza il punto focale della questione di
diritto oggi alla cognizione delle Sezioni Unite, ossial\’applicabilità
retroattiva delle nuove disposizioni di legge in materia. Ed infatti, se è vero
che la proposta diprevenzione, per quanto si è detto, ricadeva,
temporalmente, nella sfera di previsione della nuova disciplina, lamisura
di prevenzione, richiesta ed applicata, si riferiva a situazioni e fatti
pregressi, risalenti al tempo in cui siè ritenuto che le prevenute
fossero dedite ad attività delinquenziale, come desunto dai numerosi
precedentipenali e giudiziari a loro carico.6. Si rende necessario,
a questo punto, un breve excursus sulla stratificazione normativa in materia di
misuredi prevenzione, considerando – con esclusivo riferimento all\’età
repubblicana – gli interventi più significativi,comunque rilevanti ai
fini della soluzione del quesito di diritto oggi all\’esame delle Sezioni
Unite.Ebbene, il fondamentale referente normativo è rappresentato dalla
L. n. 1423 del 1956, emessa all\’indomanidella sentenza della Corte
Costituzionale n. 2 del 1956, che, al fine primario di ricondurre la delicata
materiadelle misure di prevenzione in ambito giuridico consono ai
parametri costituzionali, enucleò dal novero dellemisure di prevenzione –
limitative della libertà personale – irrogabili dall\’autorità amministrativa
quelle per lequali fosse, invece, necessario l\’intervento dell\’autorità
giudiziaria, oltre ad individuare la platea dei potenzialidestinatari
delle stesse misure ed a prescrivere il rispetto di determinate garanzie di
difesa.La L. 31 maggio 1965, n. 575 (cd. Legge Antimafia), estese il
sistema della prevenzione alle “persone indiziatedi appartenere ad
associazioni mafiose”, in un contesto normativo nel quale, non essendo
stato ancoraintrodotto il reato di cui all\’art. 416-bis cod. pen., la
fenomenologia mafiosa era sussunta nell\’ordinarioparadigma dell\’art. 416
cod. pen., ossia nella comune associazione per delinquere.Tra le più
significative novità della legge anzidetta vanno annoverate: l\’introduzione,
per la prima volta, di unamisura di carattere patrimoniale, sia pure in
funzione ancillare rispetto all\’obiettivo primario del controllo
dellapericolosità personale:ossia la cauzione a carico degli
indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa, a garanzia
dell\’adempimentodegli obblighi imposti.Nell\’estendere le norme
della legge antimafia a nuove categorie di persone, nell\’obiettivo di
contrastare ifenomeni sovversivi e terroristici, la L. 22 maggio 1975, n.
152 (cd. Legge Reale), introdusse una nuova misuradi carattere
patrimoniale, consistente nella sospensione dell\’amministrazione dei
beni.L\’art. 19 della stessa L. n. 152 del 1975 stabilì che “le
disposizioni di cui alla L. 31 maggio del 1965, n. 575, siapplicano anche
alle persone indicate nella L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 1, nn. 2), 3) e
4)”(rispettivamente: “2) coloro che sono abitualmente e
notoriamente dediti a traffici illeciti; 3) coloro che, per lacondotta ed
il tenore di vita, debba ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con
il provento di delitti ocon il favoreggiamento o che, per le
manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di
ritenereche siano proclivi a delinquere; 4) coloro che, per il loro
comportamento siano ritenuti dediti a favorire osfruttare la
prostituzione o la tratta delle donne o la corruzione dei minori, ad esercitare
il contrabbando,ovvero ad esercitare il traffico illecito di sostanze
tossiche o stupefacenti o ad agevolarne dolosamente l\’uso”).La L. 13
settembre 1982, n. 646 (cd. Legge Rognoni-La Torre), oltre ad introdurre la
nuova fattispeciedell\’associazione per delinquere di stampo mafioso di
cui all\’art. 416-bis cod. pen., al fine di adattare il precettopenale
alle peculiarità del fenomeno mafioso, elaborò due efficaci strumenti di
prevenzione destinati adassumere rilievo primario nella strategia di
contrasto alla delinquenza organizzata di stampo mafioso, ossia ilsequestro
e la confisca di prevenzione allo scopo di sottrarre i beni illecitamente
acquisiti dai soggettidestinatari delle misure di prevenzione di cui alla
menzionata L. n. 575 del 1965.Si sono, poi, succeduti diversi interventi
legislativi, che hanno esteso l\’ambito di applicazione delle
misurepatrimoniali introdotte dalla Legge Rognoni-La Torre al settore
della “pericolosità sovversiva” (L. 3 agosto 1988,n. 327) o ad
altre fenomenologie delinquenziali, come il traffico di stupefacenti, con
riferimento alle personededite a siffatte attività illecite o che
vivevano con il provento di determinati illeciti, specificamente
indicati.In particolare, la L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 14 ha
stabilito, al comma 1, che “le disposizioni della L. 31maggio 1965,
n. 575, concernenti le indagini e l\’applicazione delle misure di prevenzione di
caratterepatrimoniale, nonchè quelle contenute negli artt. da 10 a
10-sexies della medesima legge, si applicano conriferimento ai soggetti
indiziati di appartenere alle associazioni indicate nell\’articolo 1 della
predetta legge o aquelle previste dalla L. 22 dicembre 1975, n. 685, art.
75 ovvero ai soggetti indicati nella L. 27 dicembre 1956,n. 1423, art. 1,
comma 1 nn. 1) e 2), quando l\’attività delittuosa da cui si ritiene derivino i
proventi sia quellaprevista dagli articoli … del codice penale ovvero
quella di contrabbando”.La L. 24 luglio 1993, n. 256, art. 3 ha per
la prima volta introdotto, quanto al sequestro di prevenzione,l\’indizio
della “sperequazione” tra valore dei beni posseduti e redditi
ufficiali, quale elemento sintomatico diderivazione illecita della
ricchezza, modificando la L. n. 575 del 1965, art. 1-ter, comma 2 nei termini
seguenti:”… il tribunale, anche d\’ufficio, ordina con decreto
motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei cuiconfronti è
iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente,
quando il loro valorerisulta sproporzionato al reddito dichiarato o
all\’attività economica svolta ovvero quando, sulla base disufficienti
indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività
illecite o ne costituiscano ilreimpiego”. Secondo l\’interpretazione
giurisprudenziale di legittimità, l\’effetto innovativo della novella
risiedevanel fatto che, mentre in precedenza era richiesta la
“notevole” sproporzione come indizio, tra gli
altri,dell\’illecita provenienza, l\’indizio della mera sproporzione (non
richiedendosi più che fosse “notevole”) siponeva, già di per
sè, come indice di illiceità della medesima ricchezza in quanto nella
disponibilità del presuntomafioso (Sez. 1, n. 5760 del 20/11/1998, dep.
2009, Iorio, Rv. 212442).Vi sono, infine, le rilevanti novità apportate
dalle riforme del 2008 e del 2009.Il D.L. 23 maggio 2008, n. 92,
convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, recante
“Misureurgenti in materia di sicurezza pubblica”, è intervenuto
in materia secondo due fondamentali direttrici:a) l\’ampliamento della
platea dei destinatari, di cui alla L. del 1965, art. 1 includendo nel relativo
novero isoggetti indiziati di uno dei delitti previsti dall\’art. 51
c.p.p., comma 3-bis e quelli dediti a traffici delittuosi chevivono
abitualmente con i proventi di attività delittuosa, non meglio
specificata;b) la scissione del nesso di necessaria accessorietà che,
sino a quel momento, aveva caratterizzato, in manierapressochè esclusiva,
i rapporti tra misure di prevenzione personale e misure patrimoniali.Il
primo obiettivo viene conseguito mediante l\’abrogazione della L. n. 55 del
1990, art. 14 per effetto delladisposizione di cui alla L. n. 125 del
2008, art. 11-ter almeno secondo la prevalente
interpretazionegiurisprudenziale, di cui si dirà in prosieguo (tra le
altre, Sez. 1, n. 8510 del 05/02/2009, Guarnieri, Rv.244399).Il
secondo obiettivo è scolpito dalla stessa L. n. 125 del 2008, art. 10 che ha
aggiunto la L. n. 575 del 1965,art. 1-bis, comma 6- bis nei termini
seguenti: “Le misure di prevenzione personali e patrimoniali
possonoessere richieste e applicate disgiuntamente”.Si tratta,
in tutta evidenza, della generalizzazione di un principio – quello
dell\’autonomia delle misure diprevenzione patrimoniale rispetto a quelle
personali – che aveva già trovato significative espressioni insituazioni
specifiche, tipizzate nel sistema normativo. Si fa riferimento all\’ipotesi
dell\’assenza, residenza odimora all\’estero della persona alla quale
potrebbe applicarsi la misura di prevenzione, di cui alla L. n. 575
del1965, art. 1-ter, comma 7; all\’ipotesi della persona sottoposta a
misura di sicurezza detentiva od a libertàvigilata, di cui allo stesso
art. 1-ter, comma 8; all\’ipotesi di misura personale già in corso di
esecuzione, ai sensidell\’art. 1-ter, comma 6. La fattispecie più
eclatante di disarticolazione “procedurale” tra misure di prevenzionepersonale
e patrimoniale è, poi, rappresentata dalla proponibilità del sequestro e della
confisca nei confrontidegli eredi del soggetto già riconosciuto
pericoloso: sia nell\’ipotesi (già riconosciuta dalla giurisprudenza
dilegittimità, sulla scia di Sez. U, n. 18 del 03/07/1996, Simonelli, Rv.
205262) in cui questi sia deceduto dopoessere stato destinatario della
confisca, ma prima che la stessa sia divenuta definitiva (art. 1-bis, comma
6-bis,secondo e terzo inciso);sia nel caso in cui il soggetto
pericoloso sia, invece, deceduto prima della stessa proposta, ai sensi della L.
n.575 del 1965, art. 2-ter, comma 11, introdotto dallo stesso D.L. n. 93
del 2008, art. 10 con la limitazione che,in siffatta ipotesi, la confisca
può essere disposta nei riguardi dei successori a titolo universale o
particolareentro il termine di cinque anni dal decesso.Di
particolare rilievo, poi, è l\’estensione alla confisca dell\’indizio della
sproporzione (non più connotatodall\’aggettivo “notevole”),
prima limitato all\’ambito del sequestro, per effetto della sostituzione del
primoperiodo della L. n. 575 del 1965, art. 2- ter, comma 3 ad opera
dello stesso D.L. n. 125 del 2008, art. 10 comecoordinato con la legge di
conversione, e, soprattutto, la sua declinazione in termini che (almeno ad una
primalettura) sembrerebbero porlo come base giustificativa
autosufficiente dell\’ablazione, anzichè come indizio diderivazione
illecita bisognevole di ulteriore conferma.Sul quadro normativo così
delineato è venuta, poi, ad inserirsi la L. 15 luglio 2009, n. 94. Tra le più
significativeinnovazioni, assumono particolare rilievo, ai fini del
presente giudizio, quelle portate dalle disposizioni diseguito
indicate:l\’art. 2, comma 22, ha ulteriormente modificato la L. n. 575 del
1965, comma 6-bis aggiungendo nel relativotesto, dopo la parola
“disgiuntamente”, la locuzione secondo cui le misure patrimoniali
possono essereapplicate “indipendentemente dalla pericolosità
sociale del soggetto proposto per la loro applicazione almomento della
richiesta della misura di prevenzione”;l\’art. 2, comma 4, ha
nuovamente inciso sulla L. n. 575 del 1965, art. 1 estendendo la platea dei
destinataridella misura patrimoniale ai soggetti indiziati del delitto di
cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-quinquies,comma 1, convertito,
con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 (trasferimento fraudolento di
valori).La Legge-Delega 13 agosto 2010, n. 136, ha riordinato la materia,
anche attraverso l\’introduzione di nuoviistituti, specie in tema di
tutela dei terzi.Il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (ed codice
antimafia), in attuazione della delega, ha introdotto unadisciplina
organica delle misure patrimoniali, disciplinandone il procedimento
applicativo, le impugnazioni, irapporti con i procedimenti penali e le
misure patrimoniali di prevenzione diverse dalla confisca.6.1. Volendo
cogliere da tale – parziale e necessariamente frammentario-excursus normativo
le più significativelinee di tendenza, può dirsi che le misure di
prevenzione personale, ab origine concepite quali misure intese alimitare
la libertà di soggetti ritenuti pericolosi al fine di renderne più agevole il
controllo da parte delle autoritàdi pubblica sicurezza, sono state
sottoposte ad un processo di “costituzionalizzazione”, al fine del
necessario,progressivo, adattamento ai parametri costituzionali,
interessando un bene di primaria valenza costituzionalecome la libertà
personale, presidiato dall\’art. 13 Cost.; e, quindi, ad un processo di “giurisdizionalizzazione”,allo
scopo di assicurare, per quanto possibile – stante la peculiarità del
procedimento di prevenzione rispetto aquello di cognizione – la tutela
delle garanzie difensive, al fine del contemperamento, pur esso ineludibile,
con iparametri convenzionali (emblematica, in tal senso è la sentenza
della Corte cost. n. 93 del 2010, che hadichiarato costituzionalmente
illegittimi, per contrasto con l\’art. 117 Cost., comma 1, la L. n. 1423 del
1956,art. 4 e la L. n. 575 del 1965, art. 1-ter nella parte in cui non
consentivano che, su istanza degli interessati, ilprocedimento per
l\’applicazione delle misure di prevenzione si svolgesse, davanti al tribunale
ed alla corte diappello, nelle forme dell\’udienza pubblica, sul rilievo
della violazione dell\’art. 6, 1, CEDU).6.2. Dal canto loro, le misure
patrimoniali – in principio elaborate in funzione di mero supporto a
quellepersonali, al fine di potenziarne l\’efficacia preventiva, tanto da
porsi in rapporto di mera accessorietà aquest\’ultime, pure in termini di
contestualità di applicazione – hanno conosciuto, nel tempo, un processo
diprogressivo sganciamento dalle prime, che ha avuto il suo epilogo
nell\’affermazione della loro piena autonomia.Autonomia da intendere nel
senso dell\’applicabilità non solo in distinto contesto procedimentale, ma anche
neicasi in cui non sia applicabile la misura personale, o perchè la
relativa proposta sia stata rigettata o perchè,inizialmente applicata,
sia stata poi revocata o, comunque, non sia più attuale e finanche in caso di
morte delsoggetto inciso.Altro sviluppo legislativo ha determinato
il progressivo ampliamento della platea dei potenziali destinatari
dellemisure patrimoniali, in concomitanza con l\’affermazione di linee
strategiche di politica criminale volte a farnestrumento di efficace
contrasto a fenomenologie criminali, mafiose od eversive che fossero, ritenute
comunquecapaci di mettere in pericolo gli assetti dell\’ordinamento
democratico.7. Orbene, in ragione del preannunciato obiettivo di individuare,
nella successione delle leggi in materia – comesopra sintetizzata – la
norma da applicare, ratione temporis, al caso di specie è dato, innanzitutto,
osservareche la novella del cd. codice antimafia non può trovare
applicazione, considerato che, ai sensi dell\’art. 117(recante norme
transitorie), le nuove disposizioni non si applicano ai procedimenti per i
quali, alla data dientrata in vigore della novella (13 ottobre 2011), sia
stata già formulata proposta di applicazione della misuradi prevenzione;
in tale ipotesi, continuano, dunque, ad applicarsi le norme
previgenti.Pertanto, considerato che, nella fattispecie in esame, la
proposta di prevenzione è stata depositata il 16 luglio2010, quindi
anteriormente all\’entrata in vigore della disciplina da ultima richiamata, i
principali referentinormativi, da evocare in concreto, sono
rappresentati, dalle riforme del 2008 e del 2009.7.1. Sempre nella logica
dell\’individuazione – nel complesso sviluppo della normativa di settore – della
normada applicare in concreto, va affrontato in limine il quesito della
riferibilità soggettiva, ossia dell\’applicabilitàdella confisca di
prevenzione a soggetti portatori di pericolosità generica, come le odierne
ricorrenti;interrogativo da intendersi ricompreso in quello più ampio
dell\’applicabilità retroattiva delle menzionate novelle.E\’ appena il caso
di osservare, in proposito, che la questione si pone in riferimento al regime
previgente, stantela rilevata inapplicabilità al caso di specie della
nuova disciplina del cd.codice antimafia.Il detto quesito assume
rilievo pregiudiziale, essendo evidente che un\’eventuale risposta negativa
renderebbesuperfluo ed irrilevante l\’approfondimento teorico della
problematica di fondo oggi all\’attenzione delle SezioniUnite.Orbene,
la L. n. 152 del 1975, art. 19 ha esteso, per quanto si è detto, l\’area di
applicabilità delle previsionidella L. n. 575 del 1965, anche alle
persone indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn 2), 3) e 4)
dunqueanche ai pericolosi comuni.La norma anzidetta è stata, poi,
modificata dalla L. n. 327 del 1988, art. 13 nel senso che il richiamo è
statoristretto alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1 e 2.La L. n.
55 del 1990, art. 14 muovendosi evidentemente nell\’identica direzione, ossia
della limitazione dellasfera di applicabilità, ha poi sancito che quelle
stesse disposizioni avrebbero potuto applicarsi, tra gli altri, aisoli
soggetti indicati nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, comma 1, n. 2, (e cioè a
“coloro che sono abitualmente enotoriamente dediti a traffici
illeciti”), a condizione che l\’attività delittuosa, ritenuta fonte dei
proventi daconfiscare, fosse quella relativa ai reati specificamente
indicati.Il D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter ha espressamente abrogato la
detta L. n. 55 del 1990, art. 14.A fronte di tale ultima disposizione si
è posto il quesito se l\’abrogazione dell\’art. 14 abbia comportato
lariespansione dell\’area applicativa delle misure di prevenzione
patrimoniale ai pericolosi comuni o, piuttosto,l\’esclusione della
relativa applicabilità, elidendo, in tal guisa, l\’anzidetta categoria
soggettiva dalla platea deipotenziali destinatari della prevenzione
patrimoniale, come sostenuto da una parte della dottrina, richiamatadalle
odierni ricorrenti.Ad avviso del Collegio non può dubitarsi che, nella
vicenda normativa in questione, il dato letterale – chesegnala, per
l\’effetto abrogativo del D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter l\’espunzione del
pregresso limite -deponga, inequivocamente, per il ripristino
dell\’originario ambito applicativo.Non è, del resto, sostenibile la tesi
– pure adombrata dalle stesse ricorrenti – secondo cui, inserendosi la L.
n.152 del 1975, art. 19 in un panorama normativo al quale erano estranee
le misure di prevenzione patrimoniale,introdotte solo con L. n. 646 del
1982, la dinamica dei richiami normativi dovrebbe restare circoscritta alle
solemisure di prevenzione personale.Ed invero, l\’evoluzione
normativa che, per quanto si è detto, ha comportato la progressiva estensione
allacategoria dei soggetti di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 1 di
entrambe le misure, personali e patrimoniali; latendenziale congiunta
applicazione delle stesse;la sostituzione della L. n. 575 del 1965, artt.
2-bis e 2-ter ad opera, rispettivamente, della stessa L. n. 55 del1990,
artt. 1 e 2 con la specifica previsione del sequestro e della
confisca;l\’introduzione e l\’espresso richiamo, nella L. n. 55 del 1990,
art. 14 alle misure di prevenzione di caratterepatrimoniale sono tutte
circostanze sintomatiche che inducono a ritenere che l\’abrogazione del detto
art. 14abbia comportato la reviviscenza del precedente regime, ossia la
piena applicazione delle misure diprevenzione patrimoniale ai pericolosi
comuni, senza limitazione di sorta.Merita, pertanto, di essere ribadita
l\’interpretazione sostenuta da Sez. 5, n. 26044 del 08/06/2011, Autuori,
Rv250923 e Sez. 1, n. 8510 del 05/02/2009, Guarnieri, Rv. 244399, secondo
cui “in tema di misure diprevenzione patrimoniali, l\’abrogazione
della norma derogatoria di cui alla L. n. 55 del 1990, art. 14
dispostadal D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter conv. dalla L. n. 125 del
2008, ha determinato la riespansione dell\’area dioperatività della L. n.
152 del 1975, art. 19, comma 1, e, per l\’effetto, l\’estensione delle
disposizioni della L. n.575 del 1965 (cosiddetta pericolosità
qualificata) alle persone indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, nn. 1
e2 (cosiddetta pericolosità generica), che siano dedite a traffici
delittuosi o che vivano abitualmente, anche inparte, con i proventi di attività
delittuose, senza che rilevi l\’elencazione anelastica e restrittiva degli
specificireati indicati dalla disposizione abrogata”.Stante
l\’indubbio rapporto di specialità esistente tra la norma derogatoria di cui
alla L. n. 55 del 1990, art. 14 ela normativa generale di cui alla L. n.
152 del 1975, l\’abrogazione della lex specialis successiva fa rivivere,
nellasua pienezza, l\’operatività della norma generale, che non era stata
abrogata o modificata.Sul carattere generale della L. n. 152 del 1975 e sulla
conseguente equiparazione, ai fini delle misure diprevenzione
patrimoniali, tra soggetti pericolosi in quanto indiziati di appartenenza ad
associazioni mafiose esoggetti pericolosi in quanto ritenuti abitualmente
dediti ad attività delittuose da cui traggano i mezzi di vita,previsti
dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1 la giurisprudenza di legittimità, maturata
prima dell\’entrata in vigoredella legge n. 55 del 1990, non aveva mai
dubitato (tra le altre, Sez. 1, n. 3253 del 11/12/1989, dep 1990,Marcellino,
Rv. 183046).Più di recente, Sez. 1, n. 6000 del 04/02/2009, Ausilio, Rv.
243364, nel ribadire siffatta lettura, ne ha puresaggiato la persistente
praticabilità a fronte dell\’entrata in vigore del D.L. n. 92 del 2008, conv.
dalla L. n. 125del 2008, assumendo che, avuto anche riguardo alla
voluntas legis, la novella non ha inteso incideresull\’applicabilità delle
misure di prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca pure a
soggetti ritenutisocialmente pericolosi in quanto abitualmente dediti a
traffici delittuosi o che vivano abitualmente, anche inparte, con i
proventi di attività delittuose.L\’interpretazione della sentenza Ausilio
è stata confermata da Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo,
Rv.246272, che ha affermato il principio di diritto secondo cui “il
rinvio enunciato dalla L. n. 152 del 1975, art. 19,comma 1 (disposizioni
a tutela dell\’ordine pubblico) non ha carattere materiale o recettizio, ma è di
ordineformale nel senso che, in difetto di un\’espressa esclusione o limitazione,
deve ritenersi esteso a tutte le normesuccessivamente interpolate
nell\’atto-fonte, in sostituzione, modificazione od integrazione di quelle
originarie;ne consegue che, accanto alle misure di prevenzione personali,
pure quelle patrimoniali del sequestro e dellaconfisca possono essere
applicate nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi perchè
abitualmentedediti a traffici delittuosi, o perchè vivono abitualmente –
anche solo in parte – con i proventi di attivitàdelittuose, a prescindere
dalla tipologia dei reati in riferimento (cd. pericolosità
generica)”.Il carattere formale – e, dunque, “mobile”, e
non meramente recettizio – del rinvio operato dalla L. del 1975
alledisposizioni antimafia porta a ritenere applicabili alla categoria
dei pericolosi generici non solo le misure diprevenzione personale, ma
anche quelle di contenuto patrimoniale.Non può, d\’altronde, sfuggire la
ratio di siffatta estensione, al di là delle peculiarità e delle – non
coincidenti -funzioni delle due procedure di prevenzione.Ed
infatti, è certamente comune ad entrambe – come osservato in premessa –
l\’obiettivo di rimuovere dalcircuito economico legale i beni
riconducibili, direttamente od indirettamente, a soggetti ritenuti socialmentepericolosi,
relativamente ai quali è lecito presumerne l\’illecita provenienza. Finalità
questa che si giustifica nonsolo per ragioni etiche, ma anche per
motivazioni d\’ordine economico in quanto l\’accumulo di ricchezza,
fruttodi attività delittuosa, è fenomeno tale da inquinare le ordinarie
dinamiche concorrenziali del libero mercato,creando anomale posizioni di
dominio e di potentato economico, in pregiudizio delle attività lecite.A
tale comune obiettivo il sistema di prevenzione patrimoniale, in danno di soggetti
portatori di pericolositàqualificata, assomma la specifica finalità
strategica – frutto di maggiore sensibilizzazione della coscienza
socialealla gravità del fenomeno mafioso – di incisivo contrasto alla
criminalità organizzata, da colpire nel cuore deisuoi interessi,
verosimilmente intesi, in via primaria, allo spasmodico accumulo di ricchezza,
in formevariegate.Chiamato a pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale della L. n. 152 del 1975, art. 19, comma 1 il Giudicedelle
leggi, nel risolvere affermativamente il quesito della compatibilità, ha da
tempo riconosciuto che lo scopodi impedire l\’eventuale ingresso nel
mercato del denaro ricavato dall\’esercizio di attività delittuose o di
trafficiilleciti rendeva non irragionevole la scelta del legislatore di
estendere le misure antimafia ad alcune dellecategorie di persone
socialmente pericolose, quali quelle individuate dalla L. n. 1423 del 1956,
art. 1, nn. 1 e 2(Corte cost., ord. n. 675 del 1988).Il dato
conclusivo è che, al di là di estemporanee limitazioni dell\’ambito di
applicazione, non è mai venuta menola possibilità di estendere a soggetti
ritenuti affetti da pericolosità generica le misure previste per i
soggettiportatori di pericolosità qualificata (estensione oggi consacrata
dal menzionato D.Lgs. n. 159 del 2011, art.16).7.2. Nel caso di
specie, poichè le proposte di prevenzione sono state formulate nel 2010, non
v\’è dubbio chealle odierne ricorrenti – pacificamente rientranti nella
categoria dei soggetti pericolosi comuni – fosse applicabilela misura di
prevenzione patrimoniale.Nonostante che il periodo temporale di
manifestazione della pericolosità sociale risalisse, per entrambe,
aglianni 2000, dunque successivamente alla L. n. 55 del 1990, recante le
anzidette limitazioni, l\’applicazione dellaconfisca di prevenzione è per
esse incondizionata purchè si riconosca l\’efficacia retroattiva della
disposizioneabrogativa del D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter.8.
Risolto positivamente il pregiudiziale quesito dell\’applicabilità delle misure
di prevenzione patrimoniale aisoggetti portatori di pericolosità
generica, può ora affrontarsi il profilo più rilevante della questione di
dirittoall\’esame delle Sezioni Unite, ovverosia quello della natura
giuridica della confisca di prevenzione sullo sfondodelle intervenute
novelle legislative del 2008 e del 2009. In particolare, si tratta di vedere
se, alla luce deimomenti più qualificanti dell\’anzidetta novellazione –
ovverosia la definitiva scissione del vincolo di necessariapresupposizione
della misura personale rispetto a quella patrimoniale, e l\’affermata
applicabilità di quest\’ultimaanche indipendentemente dalla verifica
dell\’attualità della pericolosità sociale – possa dirsi
radicalmentemutata, o meno, la precipua natura della confisca di prevenzione,
al punto da aver subito una sorta ditrasformazione
“genetica”.8.1. All\’esame dell\’anzidetta questione giova, di
certo, premettere una succinta rivisitazione dei termini relativi,in
prospettiva storico-sistematica.E\’ noto, al riguardo, che il quesito
della natura giuridica della confisca di prevenzione e, segnatamente, del
suoinquadramento nella categoria della pena, in virtù di natura
sanzionatoria, o della misura di sicurezza, in virtùdi finalità
squisitamente preventiva, ha costituito da tempo oggetto di vivace dibattito in
dottrina ed ingiurisprudenza.L\’esame funditus delle diverse
posizioni non è, tuttavia, necessario – e sarebbe, comunque,
inutilmenteridondante – rispetto alle esigenze di definizione del
presente giudizio. Ed infatti, a parte che un\’opera di sintesisarebbe
tutt\’altro che agevole, stante la molteplicità e complessità dei diversi
contributi, non può che prendersiatto, in via preliminare, che lo
scenario normativo di riferimento è oggi profondamente cambiato, di guisa
cheun\’indagine retrospettiva avrebbe un rilievo esclusivamente storico,
di assai dubbia utilità pratica, proprio acagione dell\’odierna diversità
dei parametri normativi di riferimento.Sarà, dunque, sufficiente tentare
di estrapolare dall\’articolato dibattito sin qui sviluppatosi i profili di
maggioremomento, in ordine ai quali possa dirsi coagulata una certa
convergenza di opinioni o, viceversa, radicato unreciso
dissenso.Una premessa sostanziale è, comunque, d\’obbligo. Al di là delle
diverse angolazioni prospettiche, in chiaveteorico-dommatica, va
considerato che la confisca è, di per sè, istituto “neutro”, capace
di assumere natura efisionomia diverse, a seconda del regime normativo
che la contempli. Appare, quindi, appropriata, e non solosuggestiva, la
definizione dottrinaria di istituto “camaleontico”, ad eloquente
sottolineatura della capacità dellaconfisca di adattarsi all\’ambiente
normativo di riferimento e di recepirne le peculiari finalità, che, per
suotramite, il legislatore intenda, di volta in volta,
perseguire.Una siffatta peculiarità è stata, efficacemente, evidenziata
dal Giudice delle leggi sin dalla sentenza n. 29 del1961, con statuizione
così massimata: “L\’istituto della confisca può presentarsi con varia natura
giuridica. Il suocontenuto consiste sempre nella privazione di beni
economici, ma può essere disposta per diversi motivi eindirizzata a varie
finalità, si da assumere, di volta i volta, natura e funzione di pena o di
misura di sicurezzaovvero di misura giuridica civile o amministrativa.
Ciò che spetta di considerare non è un\’astratta e genericafigura di
confisca, ma in concreto la confisca così come risulta da una determinata
legge”.Insomma, a fronte di identico effetto sostanziale,
consistente nell\’ablazione del bene (ossia nell\’acquisizionecoattiva alla
mano pubblica, con contestuale spoliazione del soggetto inciso), diversa può
essere la fisionomiadell\’istituto (donde il suo “polimorfismo”)
in rapporto alla specifica disciplina positiva, spettando all\’interprete diindividuarne
la precipua connotazione nella fattispecie scrutinata.L\’identità di
effetti nel mondo fenomenico, implica, con ogni evidenza, che l\’indagine non
possa essere condottasul versante della realtà effettuale, ma debba,
piuttosto, orientarsi in dimensione teleologia, in riferimento
allapeculiare finalità sottesa.Finalità che, ovviamente, non può
essere quella che l\’interprete reputi, pregiudizialmente, di dover
assegnare,per proprie opzioni “ideologiche”, in rapporto alla
ritenuta essenza del fenomeno acquisitivo, ma è soltantoquella che il
legislatore ha inteso, effettivamente, perseguire.Non può, allora,
sorprendere che, nell\’interpretazione giurisprudenziale di legittimità, alla
confisca, nelle suediverse applicazioni, sia stata, di volta in volta,
attribuita natura diversa: in termini ora di misura di sicurezza,ora di
sanzione (tipica od atipica), ora di misura preventiva. Solo in via
esemplificativa, può ricordarsi che -pacifica, per formale inquadramento
sistematico, la natura di misura di sicurezza della confisca di cui
all\’art.240 cod. pen. – è stata attribuita natura sanzionatoria alla
“confisca per equivalente” o “allargata” di cui al
D.L.n. 306 del 1992, art. 12-sexies (da ultimo, Sez. U, n. 33451 del
29/05/2014, Repacì, Rv. 260247), in linea,peraltro, con l\’interpretazione
dell\’art. 7 CEDU elaborata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza
del09/02/1995 Welch c. Regno Unito; ed alla confisca per equivalente,
introdotta per i reati tributari dalla L. n.244 del 2007, art. 1, comma
143, (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adani, Rv. 255037). Invece, la
“confiscaurbanistica”, prevista in materia di lottizzazione
abusiva dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, èstata
considerata, per consolidata interpretazione, una sanzione amministrativa e non
già una misura disicurezza di natura patrimoniale, pur permanendone il
carattere sanzionatorio ai sensi dell\’art. 7 CEDU, conriferimento alla
sentenza Corte EDU 30/08/2007, Sud Fondi s.r.l. e. Italia, (Sez. 3, n. 36844
del 09/07/2009,Contò, Rv. 244923). Ed ancora, alla “confisca
stradale”, ossia alla confisca del veicolo coinvolto nel
sinistro,nelle ipotesi normativamente previste, la giurisprudenza ha
costantemente assegnato natura di sanzionepenale accessoria e non di misura
di sicurezza patrimoniale (Sez. U, n. 23428 del 25/02/2010, Caligo,
Rv.247042), pur se il nuovo art. 224-ter C.d.S. introdotto dalla L. 20
luglio 2010, n. 120, art. 44 l\’ha qualificataespressamente come
“sanzione amministrativa accessoria”. Ed infine, alla confisca in
esame, per quanto si diràin prosieguo, la giurisprudenza, pressochè
unanimemente, ha attribuito connotazione preventiva.E\’, dunque,
confermata la necessità, anche nella fattispecie, di rapportarsi, in linea
preliminare, al quadronormativo, così come modificato dalle novelle del
2008 e 2009.8.2. Orbene, i termini dell\’alternativa, che occorre ora
dirimere, attengono alla natura preventiva osanzionatoria della confisca
di prevenzione. Questione solo all\’apparenza paradossale, a fronte del nomen
iuris- sin troppo eloquente sul piano semantico – conferito dal
legislatore (confisca di “prevenzione”), dal momentoche la
peculiarità della misura, in chiave strutturale e funzionale, la pone in
posizione particolare rispetto adaltre previste dal sistema di
prevenzione (quali le stesse misure personali, la cauzione ed il
sequestrocautelare), proprio in ragione della sua connaturata vocazione
alla definitività, nel senso dell\’irreversibilemutamento del regime
giuridico della cosa per effetto della sua forzata acquisizione al patrimonio
dello Stato,con correlata spoliazione del soggetto inciso. Tanto, per
quanto si è detto, al fine precipuo di rimuovere beni diillecita
provenienza dal circuito dell\’economia legale. La pacifica ratio dell\’istituto
lascia, però, impregiudicata laquestione dell\’ascrivibilità dell\’effetto
ablativo alla categoria della mera prevenzione ovvero a quella
dellasanzione.L\’anzidetto quesito non risponde ad esigenze di mera
classificazione nominalistica, ma è invece foriero dinotevoli riflessi
pratici, sul versante della disciplina da applicare in concreto. Ed infatti, il
riconoscimento dellaconnotazione preventiva giustifica l\’assimilazione
della confisca di prevenzione alle misure di sicurezza, conconseguente
possibilità di applicare ad essa la disposizione dell\’art. 200 cod. pen.
(attuativa, nella presentemateria, del principio tempus regit actum), ove
invece l\’attribuzione della natura sanzionatoria comportal\’applicazione
del principio di irretroattività di cui all\’art. 11 preleggi, sancito, per la
materia penale, dall\’art. 2cod. pen. e, poi, consacrato dall\’art. 25
Cost..8.3. Orbene, per quanto riguarda l\’evoluzione giurisprudenziale, va
detto che, a differenza di altre tipologie diconfisca, su quella di prevenzione
si è registrato un orientamento, sostanzialmente, univoco nel
riconoscimentodella natura preventiva.Tale lettura era condivisa da
larga parte della dottrina, che poneva l\’accento sulla funzione precipua
dellamisura cautelare, intesa a neutralizzare la componente di
pericolosità insita nel permanere della ricchezzaillecitamente acquisita
– o rispetto alla quale fosse ragionevolmente presumibile l\’illecita
acquisizione – in manidi chi avrebbe potuto continuare ad usarla per
produrre altra utilità, attraverso la perpetrazione di ulterioreattività
delinquenziale.In dottrina, però, si sono fatte sempre più spazio
opinioni di segno contrario, tendenti ad attribuire alla confiscadi
prevenzione una funzione eminentemente sanzionatoria, tenuto peraltro conto
della particolare afflittivitàdegli esiti che ne derivano.A fronte
delle incertezze e perplessità manifestatesi al riguardo, Sez. U, n. 18 del
03/07/1996, Simonelli, Rv.205262 (anche se con esclusivo riferimento alla
pericolosità qualificata), ha individuato un tertium genus ovecollocare
la confisca di prevenzione, sul rilievo che la stessa non avrebbe nè carattere
di misura di prevenzionenè natura penale (e, dunque, sanzionatoria), ma
costituirebbe una sanzione amministrativa, equiparabile,quanto a
contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza prescritta dall\’art. 240 c.p.,
comma 2, ossia alla confiscaobbligatoria. Nondimeno, siffatta
classificazione, riproposta, pressochè unanimemente, dalla
successivagiurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. U, n. 57 del
19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234956; Sez.5, n. 25676 del
11/06/2008, Alfano, Rv. 240435; Sez. 2, n. 19914 del 31/01/2005, Bruno, Rv.
231873; Sez. 2,n. 1790 del 14/04/1999, Fici, Rv. 214130), non appare oggi
più attuale proprio in ragione del mutato scenarionormativo.Ed
infatti, come è stato correttamente osservato in dottrina, il proposto
inquadramento sistematico aveva unasua ragion d\’essere a fronte delle
difficoltà ermeneutiche che sembravano frapporsi all\’applicabilità
dellaconfisca di prevenzione all\’ipotesi di morte del proposto
intervenuta nel corso del procedimento; necessità ogginon più esistente a
seguito della consacrata autonomia della misura patrimoniale rispetto a quella
personale.8.4. Sennonchè, pure in costanza del nuovo regime positivo, il
quesito si è, di recente, riproposto ingiurisprudenza nell\’originaria
alternativa (natura preventiva o sanzionatoria) ed è stato, per quanto si è
detto,diversamente risolto dalle Sezioni di questa Corte, sì da ingenerare
il contrasto che le Sezioni Unite sono oggichiamate a risolvere.Al
primo orientamento (finalità preventiva) si iscrivono la sentenza Sez. 1, n.
39204 del 17/05/2013, Ferrara,Rv. 256141 ed altre successive, che, pur in
presenza del novum normativo, hanno continuato a ritenere che laconfisca
abbia mantenuto la sua originaria connotazione (più di recente, Sez. 1, n.
16729 del 17/01/2014. DeLuca Renziere, non mass.; Sez. 1, n. 44327 del
18/07/2013, Gabriele, Rv 257638).Di tutt\’altro avviso si è, invece, detta
la già citata Sez. 5, Occhipinti, Rv. 255043, ravvisando nella
nuovadisciplina – e segnatamente nel suo profilo più caratterizzante,
ovverosia il definitivo sganciamento della misuradi prevenzione
patrimoniale dalla condizione di attualità della pericolosità sociale –
elementi sintomatici dimutata fisionomia, reputando che l\’affermata
disarticolazione (tra confisca e persistente pericolosità) avrebbefinito
con il modificare, radicalmente, la tradizionale fisionomia della confisca, esaltandone
il connotatosanzionatorio ad essa, assertivamente, inerente.8.5.
Certo, all\’apparenza, il novum normativo sembrerebbe mettere in discussione la
stessa premessa teoricadella ritenuta assimilazione delle misure di
prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza;equiparazione questa,
che sta alla base della ritenuta applicabilità alle prime della norma di cui
all\’art. 200 cod.pen., riferibile anche alle misure di sicurezza
patrimoniali, in forza del richiamo contenuto nell\’art. 236 c.p.,comma
2.Ogni ragione di dubbio, al riguardo, si risolve, però, agevolmente non
appena si consideri che la pericolosità delsoggetto inciso è – anche nel
nuovo regime normativo – ineludibile presupposto di applicabilità della
stessamisura reale, relativamente alla quale è dato ora prescindere solo
dalla verifica dell\’attualità di quella stessacondizione.La ragione
è di intuitiva evidenza, essendo ovviamente aberrante – ed avulso da ogni
logica di civiltà giuridica -che sia possibile applicare una misura
ablativa nei confronti di chi non sia mai stato pericoloso (Corte cost.,
ordn. 368 del 2004). Sicchè, sul piano concettuale, la pericolosità
rimane pur sempre presupposto indefettibile eragione giustificatrice
della misura espropriativa, indipendentemente dall\’epoca della sua
manifestazione.Donde, la persistente possibilità di assimilare la
confisca in esame alle ordinarie misure di sicurezza, sì daconsentire
l\’applicabilità ad essa del menzionato art. 200 cod. pen. (in tal senso si è,
condivisibilmente,espressa Sez. 6, n. 11006 del 20/01/2010, Cannone, Rv.
246682).8.6. Non sembra superfluo, a questo punto (e sempre in chiave di
progressivo approccio al tema giuridico inesame), considerare che la
confisca di prevenzione non può ritenersi, in sè, contrastante con i parametricostituzionali
e convenzionali.Anche in passato, il Giudice delle leggi non ha mancato
di riconoscere la compatibilità delle misure diprevenzione patrimoniale
alla Costituzione (Corte cost., n. 335 del 1996; n. 487 del 1995; n. 486 del
1995; n.465 del 1993).Dal canto suo, la Corte di Strasburgo ha
escluso che, in rapporto ai criteri identificativi della penalty e
dellamateria penale – come individuati da consolidata linea
interpretativa, maturata sulla scia delle sentenze08/06/1976, Engel c.
Paesi Bassi; 09/01/1995, Weich c. Regno Unito; 30/08/2007, Sud Fondi c. Italia
ed altre,alla luce degli artt. 6 e 7 CEDU, e cioè: natura dell\’infrazione
secondo il diritto interno; natura della sanzione econcreta gravità della
stessa – fosse giustificabile l\’inquadramento dell\’istituto nella categoria
sanzionatoria.Proprio con riferimento alla confisca di prevenzione
italiana, numerose pronunce della stessa Corte EDU hannoescluso
l\’operatività dei principi di irretroattività e del ne bis in idem dettati per
la materia penale dall\’art. 7della Convenzione, mentre in altre pronunce
(17/05/2011, Capitani e Campanella c. Italia; 02/02/2010, Leonec. Italia;
05/01/2010, Bongiorno c. Italia;08/07/2008, Perre c. Italia; 13/11/2007,
Bocellari e Rizza c. Italia), nel censurare la difformità della
proceduradi prevenzione italiana rispetto alla regola dell\’udienza
pubblica, si è puntualizzato che la previsioneconvenzionale violata, ex
art. 6 CEDU, attiene a quella parte della disciplina del “giusto
processo” che non èriservata all\’ambito della “materia
penale”).La sentenza Corte EDU del 22/02/1994, Raimondo c. Italia,
ha osservato che la confisca di prevenzione è”destinata a bloccare i
movimenti di capitali sospetti per cui costituisce un\’arma efficace e necessaria
percombattere questo flagello”. La sentenza del 15/06/1999, Prisco
c. Italia, ha affermato che la confisca diprevenzione “colpisce beni
di cui l\’autorità giudiziaria ha contestato l\’origine illegale allo scopo che
il ricorrentepotesse utilizzarli per realizzare ulteriormente vantaggio a
proprio profitto o profitto dell\’organizzazionecriminale con la quale è
sospettato di intrattenere relazione”.Va, del resto, considerato che
l\’ordinamento sovranazionale consente interventi dell\’autorità invasivi del
“dirittoal rispetto dei beni” quando ciò sia determinato da
ragioni di pubblica utilità, come sancito dall\’art. 1, Prot. 1,CEDU,
riconoscendo la potestà discrezionale degli Stati-membri di mettere in vigore
le leggi da essi ritenutenecessarie per disciplinare l\’uso dei beni
“in modo conforme all\’interesse generale”.Ed è utile, altresì,
il riferimento alla decisione-quadro UE, GAI n. 212 del 2005, adottata
nell\’ambito del Titolo 6del Trattato sull\’Unione Europea, e, da ultimo, la
Direttiva 2014/42/UE, approvata dal Parlamento Europeo il 25febbraio
2014, che, nel considerando 21, stabilisce che “la confisca estesa
dovrebbe essere possibile quandoun\’autorità giudiziaria è convinta che i
beni in questione derivino da condotte criminose. Ciò non significa
chedebba essere accertato che i beni in questione derivino da condotte
criminose. Gli Stati membri possonodisporre, ad esempio, che sia
sufficiente che l\’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione
delleprobabilità, o possa ragionevolmente presumere che sia molto più
probabile che i beni in questione siano ilfrutto di condotte criminose
piuttosto che di altre attività. In tale contesto, l\’autorità giudiziaria
deveconsiderare le circostanze specifiche del caso, compresi i fatti e
gli elementi di prova disponibile in base ai qualipuò essere adottata una
decisione di confisca estesa.Una sproporzione tra il bene
dell\’interessato ed il suo reddito legittimo può rientrare tra i fatti idonei
ad indurrel\’autorità giudiziaria a concludere che i beni derivano da
condotte criminose.Gli Stati membri possono inoltre fissare un periodo di
tempo entro il quale si può ritenere che i beni sianoderivati da condotte
criminose”.8.7. Alla stregua della vigente normativa, la precipua
finalità della confisca di prevenzione è, dunque, quella disottrarre i
patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti,
che non possanodimostrarne la legittima provenienza. Tale finalità si
pone, dunque, in piena sintonia con la ratio decidertelidelle menzionate
pronunce EDU e con i principi informatori dell\’ordinamento
convenzionale.E\’ risaputo, d\’altronde, che, nell\’approccio ermeneutico
agli istituti delle diverse legislazioni, la giurisprudenzacomunitaria
reputa decisiva, ai fini dell\’accertamento della reale essenza giuridica,
l\’individuazione dei trattisostanziali, enucleagli dalla disciplina
positiva, applicando i menzionati parametri identificativi, al fine
discongiurare quella che, efficacemente, è stata definita la “truffa
delle etichette”, ovverosia la suggestione diingannevoli
qualificazioni nominalistiche degli stessi istituti da parte degli ordinamenti
interni.9. Tanto premesso, non sembra alle Sezioni Unite che il nuovo
precipitato normativo – nel suo perspicuo riflessoletterale, quanto
all\’affermata ininfluenza della condizione di attuale pericolosità, ai fini
della confisca diprevenzione – consenta di ritenere che l\’applicazione
della stessa misura possa restare avulsa dal presuppostodella
pericolosità. Con ogni evidenza, ha inteso invece affermare tutt\’altra cosa,
ossia che l\’applicazione dellaconfisca possa prescindere dalla verifica,
in concreto, di quel presupposto al momento della relativa richiesta.
Ilche significa che ciò da cui possa – e debba – prescindersi è solo, ed
esclusivamente, il requisito dell\’attualità diquella
condizione.Orbene, contrariamente a quanto di primo acchito potrebbe
ritenersi, siffatta affermazione non assume, però,valenza dirompente
rispetto alla tradizionale configurazione della confisca di
prevenzione.Si tratta, a ben vedere di mera superfetazione linguistica,
nascente dalla realistica presa d\’atto che, di”attualità”, ha
senso parlare solo con riferimento alla prevenzione personale e non anche a
quella patrimoniale.Ed infatti, se rispetto alla misura di prevenzione
personale il requisito della persistente pericolosità continua adavere
una ragion d\’essere, in quanto, ben potendo quella risolversi nel tempo o
grandemente scemare, sarebbeaberrante – siccome oggettivamente inutile,
se non per finalità surrettizie o pretestuose – una misura diprevenzione
applicata a soggetto non più socialmente pericoloso;invece, quanto alla
misura patrimoniale, la connotazione di pericolosità è immanente alla res, per
via della suaillegittima acquisizione, e ad essa inerisce
“geneticamente”, in via permanente e,
tendenzialmente,indissolubile.Ciò significa che presupposto
ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale continua
adessere la pericolosità del soggetto inciso, ossia la sua
riconducibilità ad una delle categorie soggettive previstedalla normativa
di settore ai fini dell\’applicazione delle misure di prevenzione.
Correttamente, pertanto, lagiurisprudenza di questa Corte ha precisato
che, anche nei casi di applicazione disgiunta, il giudice
dellaprevenzione debba valutare, sia pure incidenter tantum, la
condizione di pericolosità del soggetto nei cuiconfronti sia richiesta la
misura patrimoniale. Ciò in quanto la confisca disgiunta non è istituto che ha
introdottonel nostro ordinamento una diretta actio in rem, restando
imprescindibile il rapporto tra pericolosità sociale delsoggetto e gli
incrementi patrimoniali da lui conseguiti (Sez 1, n. 48882 del 08/10/2013, San
Carlo Invest Srl,Rv. 257605).Ciò è indubbiamente vero, con la
necessaria precisazione, però, che ad assumere rilievo non è tanto la
qualitàdi pericoloso sociale del titolare, in sè considerata, quanto
piuttosto la circostanza che egli fosse tale almomento dell\’acquisto del
bene.Se così è, e se tale rapporto è indefettibile, nel senso che, in
tanto può essere aggredito un determinato bene,in quanto chi l\’abbia
acquistato fosse, al momento dell\’acquisto, soggetto pericoloso, resta esaltata
la funzionepreventiva della confisca, in quanto volta a prevenire la
realizzazione di ulteriori condotte costituenti reato,stante l\’efficacia
deterrente della stessa ablazione.La sin troppo ovvia precisazione che la
misura di prevenzione patrimoniale è svincolata dal
requisitodell\’attualità della pericolosità del soggetto finisce, nella
sua scontatezza, con il riflettere un dato della realtàfenomenica, avuto
riguardo alla contrapposizione ontologica-naturalistica tra persona e realtà
materiale.Mentre, infatti, la stessa essenza di persona postula un intrinseco
dinamismo, che altro non è se nonespressione dell\’evoluzione propria
dell\’essere umano, nel suo percorso esistenziale; l\’idea della res
esprime,invece, la sua strutturale staticità, che, al di là di possibili
erosioni legate a vetustà o ad agenti atmosferici,mantiene nel tempo la
sua oggettiva consistenza.Non è, dunque, infondata l\’osservazione
dottrinaria secondo cui nelle misure di prevenzione personalel\’attenzione
dell\’ordinamento è rivolta alla qualità della persona in quanto tale, ossia in
quanto sia ritenuta, inbase a determinati parametri di giudizio,
socialmente pericolosa, e cioè capace di porre in essere reati,
secondouna ragionevole valutazione prognostica. Sicchè una misura di
prevenzione personale, volta a scongiurare ilpericolo di futura
commissione di reati, non può che essere giustificata dalla persìstente,
attuale, condizione dipericolosità del soggetto proposto.Nelle
misure di prevenzione patrimoniali, invece, quell\’attenzione si sposta sulla
res, che si reputa “pericolosa”.E\’ sin troppo ovvio
considerare, a questo punto, che in natura – al di là delle cose dotate di
intrinseca nocività,tali da costituire, di per sè, un pericolo, ove non
adeguatamente trattate (basti pensare al materialeradioattivo) – i beni
sono per lo più “neutri”, potendo acquisire connotazione di
pericolosità solo in virtù di forzaesterna dovuta all\’azione dell\’uomo.
Così, nel caso di beni illecitamente acquistati, il carattere della
pericolositàsi riconnette non tanto alle modalità della loro acquisizione
ovvero a particolari caratteristiche strutturali deglistessi, quanto
piuttosto alla qualità soggettiva di chi ha proceduto al loro acquisto. Si
intende dire che lapericolosità sociale del soggetto acquirente si
riverbera eo ipso sul bene acquistato, ma ancora una volta nongià in
dimensione statica, ovverosia per il fatto stesso della qualità soggettiva,
quanto piuttosto in proiezionedinamica, fondata sull\’assioma
dell\’oggettiva pericolosità del mantenimento di cose, illecitamente acquistate,
inmani di chi sia ritenuto appartenere – o sia appartenuto – ad una delle
categorie soggettive previste dallegislatore.L\’anzidetto riflesso
finisce, poi, con l\'”oggettivarsi”, traducendosi in attributo
obiettivo o “qualità” peculiare delbene, capace di incidere sulla
sua condizione giuridica. Ciò è evidente in caso di morte del titolare,
giàpericoloso, ovvero di formale trasferimento o fittizia intestazione,
posto che il bene è aggredibile anche in capodell\’avente causa, a titolo
universale o particolare. Infatti, è evidente che, in siffatta ipotesi, la
confiscabilità indanno di eredi od apparenti proprietari non può più
trovare giustificazione nel rapporto pertinenziale res-soggetto preposto,
potendo giustificarsi solo in ragione della “qualità” oggettiva dello
stesso bene, siccome, asuo tempo, acquistato da persona socialmente
pericolosa e, come tale, presumibile frutto di metodo diacquisizione
illecita. E, proprio perchè esso stesso è divenuto “oggettivamente
pericoloso” (nel sensoanzidetto), va rimosso, eo ipso, dal sistema
di legale circolazione.Ancorchè sia venuto meno, in tale ipotesi, il
rapporto diretto tra bene e soggetto pericoloso, l\’inquadramentodella
situazione giuridica nel paradigma della prevenzione rimane, nondimeno,
impregiudicato.In proposito, è pienamente condivisibile il rilievo
argomentativo del Giudice delle leggi, secondo cui la ratiodella confisca
in questione, da un lato, “comprende ma eccede quella delle misure di
prevenzione consistendonel sottrarre definitivamente il bene al “circuito
economico” di origine, per inserirlo in altro, esente
daicondizionamenti criminali che caratterizzano il primo” e,
dall\’altro, “a differenza di quella delle misure diprevenzione in
senso proprio, va al di là dell\’esigenza di prevenzione nei confronti di
soggetti pericolosideterminati e sorregge dunque la misura anche oltre la
permanenza in vita del soggetto pericoloso” (Cortecost. sent. n. 21
del 2012, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale, sollevata inrelazione all\’art. 24 Cost., comma 2, e art.
111 Cost., della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2- ter, comma 11,nella
parte in cui prevede che “la confisca può essere proposta, in caso di
morte del soggetto nei confronti delquale potrebbe essere disposta, nei
riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine
dicinque anni dal decesso”).Dunque, anche secondo
l\’impostazione teorica della Corte costituzionale sul nucleo essenziale della
prevenzionesi innesta la specifica finalità di sottrarre il bene al
circuito economico originario, recuperandolo anche pressogli aventi causa
a titolo universale, in caso di morte del soggetto pericoloso.Tale
estensione di efficacia ablatoria non può ritenersi nè arbitraria nè
illegittima, proprio perchè il bene,siccome frutto di illecita
acquisizione, reca in sè una connotazione negativa, che ne impone la
coattivaapprensione, anche oltre la vita del soggetto pericoloso, a parte
i già rilevati effetti distorsivi – in prospettivamacroeconomica – di
illeciti accumuli di ricchezza e di anomale rendite di posizione.Ma se
così è, balza evidente che siffatta connotazione di pericolosità resta impressa
alla res,indipendentemente da qualsiasi vicenda giuridica della sua
titolarità (successione universale o particolare), sinoalla perenzione
della stessa cosa oppure all\’opponibilità giuridica del suo trasferimento (in
caso di acquisto inbuona fede – rilevante, di per sè, ove rigorosamente
provata in sede di prevenzione – nell\’ipotesi di beni mobili,secondo il principio
“possesso vale titolo”, ai sensi dell\’art. 1153 cod. civ., ovvero, in
caso di immobili o mobiliregistrati, in combinazione con le ordinarie
regole civilistiche che risolvono i conflitti tra più
potenzialiacquirenti, secondo il regime della trascrizione e, dunque,
dell\’anteriorità del relativo acquisto) ovvero alla suadefinitiva
acquisizione al patrimonio dello Stato per effetto di confisca, questa sì
capace di stravolgerne,definitivamente, la natura ed il regime giuridico,
equiparando la res ai beni demaniali. Regole questenotoriamente ispirate
al principio della certezza e stabilità dei rapporti giuridici, rispetto alle
quali si pone insintonia la prescrizione della confiscabilità del bene,
appartenuto a soggetto pericoloso, in capo agli eredisoltanto nel termine
di anni cinque dalla morte del de cuius (L. n 575 del 1965, art. 1-ter
ritenutocostituzionalmente legittimo dal Giudice delle leggi, con
sentenza n. 21 del 2012).Nella stessa logica dell\’affermazione di un
generale principio di prevalenza delle esigenze pubblicistiche
penalisulle ragioni dei privati (nella specie, dei creditori del
proposto), sino al limite invalicabile segnato dall\’esigenzadi certezza e
stabilità dei rapporti giuridici, si sono, di recente, espresse le Sezioni civili
di questa Corte, che,nel risolvere l\’annoso contrasto riguardante il
rapporto tra ipoteca e confisca di prevenzione di beni frutto oprovento
di attività mafiosa, hanno statuito che i diritti di garanzia sono inopponibili
allo Stato sino a quando,però, non sia stata pronunciata l\’aggiudicazione
nel procedimento di espropriazione forzata e non si sia,dunque,
perfezionato il trasferimento coattivo in sede esecutiva (Sez. U civ., n. 10532
del 07/05/2013, Rv.626570;la delicata materia dei rapporti tra
confisca di prevenzione e diritti dei terzi è oggi, organicamente,
disciplinatadal D.Lgs. n. 159 del 2011, cd. codice antimafia, che le
dedica un intero Titolo, il 4).9.1. Ecco allora che la precisazione del
legislatore, recepita anche nell\’art. 18 del menzionato “codice
antimafia”(quanto all\’irrilevanza dell\’attualità della condizione di
pericolosità sociale), risulta scontata, apparendo assaidifficile che, in
sua mancanza, alcuno avesse mai potuto, ragionevolmente, dubitare del fatto che
la misuraablatoria potesse riguardare soltanto beni recanti, in sè,
tratti di oggettiva pericolosità, ontologicamenteesistente al momento
della proposta, indipendentemente da qualsivoglia, giudiziale, verifica della
persistentepericolosità del loro titolare.9.2. In conclusione, alla
stregua del principio di autonomia delle misure patrimoniali e, soprattutto,
del principiodi confiscabilità in danno degli eredi del soggetto
pericoloso, assume una connotazione tutta particolare ladimensione – e lo
stesso valore concettuale – di “pericolosità” dei beni che possono
costituire oggetto dellamisura ablatoria. Con questa espressione deve,
infatti, intendersi la qualità del bene siccome frutto di
abitualededizione al delitto ovvero di mafiosità e, quindi, espressione,
in entrambi i casi, di un metodo di illecitaacquisizione. In quanto tale
deve essere rimosso – in virtù di misura praeter delictum – dal mercato legale
perla ritenuta necessità di impedire al soggetto pericoloso di continuare
a disporne, anche in funzione dideterrenza dalla commissione di ulteriore
attività illecita: e ciò vale – per quanto si è detto – sia che si tratti
dipericolosità generica, sia che si versi nelle ipotesi di pericolosità
qualificata.Ed è del tutto ovvio che, in un simile quadro di riferimento,
la necessità di accertare il duplice e concorrentepresupposto della
condizione “soggettiva” di pericolosità e delle correlate modalità di
accumulazionepatrimoniale – anch\’essa “pericolosa” in quanto
originata proprio da fatti espressivi di quella stessa
condizionesoggettiva – finisce per interferire, giustificandola, sulla
natura tipicamente “preventiva” della misura ablatoria,oltre ai
rilevanti riflessi sul versante delle garanzie sostanziali e procedimentali che
stanno alla base dellastessa misura.Sullo sfondo dell\’articolato
contesto positivo, potrà parlarsi di “effetti sanzionatori” della
misura di prevenzionepatrimoniale solo in senso del tutto atecnico,
giacchè il nucleo del provvedimento patrimoniale non risiede neldelitto o
nel relativo provento, nè in finalità tipicamente repressive (vanno richiamati,
al riguardo, gli ormaiconsolidati principi affermati in materia dalla
Corte EDU nel citato leading case Engel ed altri c. Paesi Bassi
del08/06/1976, da ultimo rievocata nella sentenza 04/03/2014, Grande
Stevens ed altri c. Italia), ma nelle qualitàdel soggetto – ritenuto
“pericoloso” sulla base di oggettivi elementi sintomatici – e nelle
modalità di acquisizionedel bene, anch\’esse “pericolose” perchè
“plausibilmente” avulse da un contesto di liceità.9.3. Alla
stregua di siffatte considerazioni appare, quindi, giustificata l\’affermazione
che le novelle legislative, inpunto di esclusione del requisito
dell\’attuale pericolosità del soggetto proposto, non abbiano in alcun modoinciso
sulla natura giuridica della confisca di prevenzione.Reputano, allora, le
Sezioni Unite che alla detta confisca debba continuare a riconoscersi finalità
prettamentepreventiva al di là di ogni possibile riflesso
“parasanzionatorio”, tale da non offuscarne l\’essenza precipua
dellaconfisca, quale strumento inteso, eminentemente, a dissuadere il
soggetto inciso dalla commissione di ulteriorireati e da stili di vita
contrastanti con le regole del consorzio civile.La già rilevata
confiscabilità anche in danno degli eredi o aventi causa costituisce la più
eloquente confermadella persistente connotazione preventiva della misura
ablatoria, escludendone la natura sanzionatoria.D\’altronde, una natura
siffatta si porrebbe in irriducibile contrasto con i dettami della Carta
costituzionale edell\’ordinamento sovranazionale, con particolare
riferimento ai principi della legalità e del carattere personaledella
responsabilità (lato sensu), peraltro già da tempo recepiti dall\’ordinamento
giuridico interno, anche al dilà dell\’ambito prettamente penalistico
(come, ad esempio, nel sistema tributario, in cui è regola
indefettibilel\’intrasmissibilità agli eredi degli effetti sanzionatori di
omissioni od irregolarità poste in essere dal de cuius,restando ovviamente
impregiudicati gli effetti civilistici e quelli direttamente conseguenti ad
atti espropriativi,come appunto la confisca).Com\’è ovvio, tale
conclusione si pone in termini di diretta consequenzialità con lo stesso
postulato della misuradi prevenzione, ossia la pericolosità sociale del
soggetto proposto. La pericolosità segna, infatti, la
“misuratemporale” dell\’ablazione, al di là – per quanto si è
detto – d\’ogni idea di irretroattività, che è ordinarioconnotato del
dettato normativo, ma non certo di una qualità personale, che va dimensionata
nel tempo e nellospazio. Non potrebbe, del resto, essere altrimenti,
giacchè proprio la pericolosità costituisce la ragionegiustificatrice
dell\’apprensione coattiva di beni acquistati in costanza della stessa o con il
favore delle suepeculiari manifestazioni.A differenza di quanto è
dato riscontrare in tema di pericolosità qualificata – come si avrà modo di
osservare inprosieguo – la pericolosità generica non offre, di regola,
particolari difficoltà nell\’individuazione dell\’arcotemporale di
riferimento, trattandosi di determinare, sulla base di incontrovertibili
parametri di riferimento(quali i precedenti penali e giudiziari, come nel
presente giudizio), il periodo in cui si è manifestata l\’abitualededizione
al delitto del proposto.9.4. Per negare la natura preventiva della
confisca di prevenzione, non può valere, contrariamente a quantoritiene
la citata sent. Sez. 5, Occhipinti, Rv 255043, il prospettato parallelismo con
la confisca di cui art. 12-sexies d.l. n. 356 del 1992, a cagione della
diversità strutturale tra i due istituti (da ultimo evidenziata
dallacitata Sez. U, n. 33451 del 2014, Repaci).Diversi sono,
infatti, ratio legis e presupposti legittimanti. La confisca per equivalente
presuppone, infatti, lacommissione di un reato ed anzi il suo
accertamento giudiziale con sentenza di condanna, in quanto quel
fatto-reato è, ordinariamente, generatore – per sua precipua essenza – di
disponibilità illecite di natura delittuosa,ancorchè l\’adozione della
misura ablatoria prescinda da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato
per ilquale è intervenuta condanna. La confisca di prevenzione non
presuppone, invece, la commissione di reatideterminati, ma postula una
condizione esistenziale, ossia una condotta di vita reputata estranea ai
canonilegali della civile convivenza.Non può neppure valere
l\’assunto critico in ordine alla pretesa ininfluenza della giurisprudenza
comunitaria cheha riconosciuto la detta natura, sul riflesso che le menzionate
pronunce si riferirebbero al regime normativoanteriore alle novelle del
2008 e del 2009, che non sarebbero state, dunque, mai considerate.Ed
infatti, per quanto si è detto, la novellazione non ha, per nulla, stravolto la
natura della confisca in esame,che rimane preventiva, donde la
persistente significatività, a questi fini, del richiamo alle sentenze della
CorteEDU. 9.5. Ecco allora che si definisce, nei suoi peculiari
contenuti, la dinamica di acquisizione alla manopubblica, sottesa alle
misure di prevenzione patrimoniale applicate a soggetti ritenuti appartenenti
ad una dellecategorie previste dalla L. n. 1423 del 1956, art. 1, comma
1, nn. 1) e 2).Verificata la condizione soggettiva, ovverosia che si
tratti di soggetti ritenuti abitualmente dediti a trafficidelittuosi o
che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa,
può essere applicatala confisca dei beni che, ragionevolmente, si
presumano acquistati con quei proventi.9.6. Infondatamente, a giudizio
delle Sezioni Unite, si è dubitato in dottrina della conformità di
siffattomeccanismo acquisitivo ai parametri costituzionali.Intanto,
non è fuor di luogo osservare che una metodica di acquisto della proprietà, da
parte dello Stato,fondata su presunzione di illecita acquisizione da
parte del privato, non è affatto estranea al nostroordinamento giuridico.
Basti pensare alla confisca ordinaria e ad altre significative applicazioni in
settori diversida quello penale, segnatamente in quello tributario, in
esito ad accertamento fiscale “sintetico” od
“induttivo”.E\’ appena il caso di osservare che il ricorso a
presunzioni, ai fini dell\’individuazione dell\’origine illecita dei beni,è
ripetutamente riconosciuto legittimo dalla Corte EDU (da ultimo, sent.
17/06/2014, Cacucci c. Italia) ed èespressamente previsto nella
menzionata Direttiva 2014/42/UE, approvata dal Parlamento Europeo il
25febbraio 2014.Ciò che assicura la tenuta del sistema e la sua
conformità alla Costituzione, ed anche ai principidell\’ordinamento
sovranazionale, è il riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di prova
contraria, cherende quella presunzione meramente relativa (iuris
tantum).A far dubitare della legittimità costituzionale di tale metodica
di acquisto non può neppure addursi la pretesadifficoltà
dell\’assolvimento di un onere siffatto, specie nell\’ipotesi in cui –
socialmente pericoloso il dante causa,oramai deceduto – si intenda
applicare la misura della confisca agli eredi.Ed infatti l\’onus probandi
a carico del soggetto inciso non è certamente calibrato sui canoni di uno
statutoprobatorio rigoroso e formale, modulato su quello vigente in
materia petitoria, sì da assurgere, in determinaticasi, al rango di
probatio diabolica. Per il suo assolvimento è, infatti, sufficiente la mera
allegazione di fatti,situazioni od eventi che, ragionevolmente e
plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei
benioggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente,
riscontrabili.9.7. Se allora le novelle legislative non hanno inciso
sulla tradizionale fisionomia della confisca di prevenzione,così come
configurata dalla giurisprudenza e dalla prevalente dottrina, è logico inferire
che non v\’è ragione didubitare della persistente assimilabilità della
misura di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza e,dunque,
della ritenuta applicabilità alla prima della previsione di cui all\’art. 200
cod. pen..Esclusa la natura sanzionatoria, non può dunque trovare
applicazione, in subiecta materia, il principio diirretroattività di cui
all\’art. 2 cod. pen..10. Occorre, a questo punto, affrontare il correlato
quesito della necessità o meno della perimetrazionecronologica, ossia
della correlazione temporale tra acquisto del bene e manifestazione della
pericolosità sociale.In proposito, con riferimento alla pericolosità
generica, va affermato il principio di diritto secondo cui
sonosuscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell\’arco di
tempo in cui si è manifestata la pericolositàsociale, indipendentemente,
dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta
diprevenzione.Siffatta conclusione discende dall\’apprezzamento
dello stesso presupposto giustificativo della confisca diprevenzione,
ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i
proventi di attivitàillecita (restando, così, affetto da illiceità per
così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da
“patologiaontologica”) ed è, dunque, pienamente coerente con la
ribadita natura preventiva della misura in esame.Diversamente, ove fosse
possibile aggredire, indiscriminatamente, i beni del proposto,
indipendentemente daogni relazione “pertinenziale” e temporale
con la pericolosità, lo strumento ablatorio finirebbe,
inevitabilmente,con l\’assumere connotati di vera e propria sanzione. Una
siffatta misura sarebbe, così, difficilmente compatibilecon i parametri
costituzionali in tema di tutela dell\’iniziativa economica e della proprietà
privata, di cui agli artt.41 e 42 Cost., oltrechè con i principi convenzionali
(segnatamente, con il dettato dell\’art. 1, Prot. 1, CEDU). Perquanto si è
detto, alla stregua di tali principi l\’ablazione di beni, di ritenuta
provenienza illecita, puòconsiderarsi legittima, siccome espressione di
corretto esercizio del potere discrezionale del legislatore, soloove
risponda all\’interesse generale di rimuovere dal circuito economico beni
illecitamente acquistati. D\’altrocanto, è sin troppo ovvio che la
funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta soloall\’indeclinabile
condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell\’ordinamento
giuridico.Non può, dunque, ritenersi compatibile con quella funzione
l\’acquisizione di beni contra legem, sicchè neiconfronti dell\’ordinamento
statuale non è mai opponibile un acquisto inficiato da illecite modalità, così
come, inambito civilistico, un possesso acquistato con violenza o
clandestinità non è utile all\’usucapione (ex art. 1163cod. civ.) e non è
opponibile, se non dal momento in cui la violenza o clandestinità sia cessata,
ai fini e per glieffetti che l\’ordinamento giuridico ordinariamente
riconnette alle legittime situazioni possessorie ed al loroprotrarsi nel
tempo.E\’ indubbio, del resto, che l\’individuazione di un preciso contesto
cronologico, entro il quale può essereesercitato il potere di ablazione
rende assai più agevole l\’esercizio del diritto di difesa, oltre ad assolvere
adineludibili esigenze di garanzia generica. Di talchè, anche sotto tale
profilo la dinamica di apprensione coattivadi beni dei cittadini risulta
esente da criticità sul versante della necessaria sintonia con i dettami della
Cartacostituzionale, comunque assicurata dal riconoscimento al soggetto
inciso della facoltà di riprova in merito allalegittimità dell\’acquisto
in contestazione.11. Resta da affrontare, a questo punto, il profilo
riguardante il regime probatorio, per gli inevitabili riflessi chela
questione assume ai fini della definizione del presente giudizio.Si
tratta, in particolare, di accertare se – ed in che termini – la novellazione
di cui si è detto abbia apportatosostanziali modifiche sul versante della
ripartizione dell\’onere probatorio in subiecta materia.Il quesito deve
trovare risposta negativa.Si consideri, innanzitutto, che la L. n. 575
del 1965, art. 1-ter, comma 3, primo periodo, così sanciva:
“Conl\’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone
la confisca dei beni sequestrati dei quali non siastata dimostrata la
legittima provenienza”.Tale formulazione è stata sostituita dal
citato D.L. n. 92 del 2008, art. 10 introdotto dalla Legge Di
Conversionen. 125 del 2008, nei termini seguenti: “Con
l\’applicazione della misura di prevenzione il tribunale dispone
laconfisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti sia
instaurato il procedimento, non possagiustificare la legittima
provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti
esseretitolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore
sproporzionato al proprio credito, dichiarato ai finidelle imposte sul
reddito, o alla propria attività economica, nonchè dei beni che risultino
essere frutto di attivitàillecite o ne costituiscono il reimpiego”.
Come si è osservato in dottrina, la modifica si è risolta,
essenzialmente,in un intervento di razionalizzazione e di armonizzazione
della materia della prevenzione con quella di sicurezzapatrimoniale
prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies (cd. confisca obbligatoria
dei valori ingiustificati).A siffatta finalità si è aggiunta anche l\’esigenza
di chiarificazione testuale in ordine all\’individuazione delsoggetto cui
competa la prova della provenienza dei beni, a fronte della precedente,
equivoca, formulazione:”non sia stata dimostrata la legittima
provenienza”. Insomma, non si è avuta alcuna significativa
immutazionedel previgente “statuto probatorio”.Già con
riferimento al precedente regime, questa Corte aveva avuto occasione di
statuire che “ai finidell\’applicabilità della misura della confisca
di beni patrimoniali nella disponibilità di persone indiziate
diappartenere ad associazioni di tipo mafioso, è sufficiente che
sussistano una sproporzione tra le disponibilità e iredditi denunciati
dal proposto ovvero indizi idonei a lasciar desumere in modo fondato che i beni
dei quali sichiede la confisca costituiscano il reimpiego dei proventi di
attività illecite e che il proposto non sia riuscito adimostrare la
legittima provenienza del danaro utilizzato per l\’acquisto di tali beni. Ne
deriva che, al riguardo,non si verifica alcuna inversione dell\’onere
della prova, perchè la legge ricollega a fatti sintomatici lapresunzione
di illecita provenienza dei beni e non alla mancata allegazione della loro
lecita provenienza, la cuidimostrazione è idonea a superare quella
presunzione” (Sez. 5, n. 228 del 12/12/2007, dep. 2008, Campione,Rv.
238871).Identico riparto del carico probatorio deve riconoscersi nel
nuovo assetto normativo: spetta, pur sempre, allaparte pubblica l\’onere
della prova in ordine alla sproporzione tra beni patrimoniali e capacità
reddituale nonchèall\’illecita provenienza, da dimostrare anche in base a
presunzioni. Nondimeno, al proposto è riconosciuta lafacoltà di offrire
prova contraria e liberatoria, atta a neutralizzare quelle presunzioni, in
guisa da dimostrare lalegittima provenienza degli stessi
beni.Nessuna innovazione è stata introdotta neppure sul piano
dell\’intensità dell\’apporto probatorio, in dipendenzadella locuzione
“risultino essere frutto”, in luogo della precedente formulazione che
richiedeva l\’esistenza di”sufficienti indizi” di origine
illecita (in origine, espressamente prevista solo per il sequestro). Ed
infatti,l\’assunto della provenienza illecita del patrimonio deve pur
sempre essere la risultante di un processodimostrativo, che si avvalga
anche di presunzioni, affidate ad elementi indiziari purchè connotati dei
necessaricoefficienti di gravità, precisione e concordanza. E\’
significativo, del resto, che identico regime probatorio siastato
riprodotto nell\’art. 24 del menzionato “codice antimafia”, in base al
quale l\’applicazione della confisca èsubordinata ad una serie di
parametri probatori, così individuabili (nell\’ordine della prospettazione
normativa):a) mancata giustificazione della provenienza dei beni da parte
del soggetto nei cui confronti è instaurato ilprocedimento di
prevenzione; b) titolarità o disponibilità, a qualsiasi titolo, degli stessi
beni, da parte dellostesso soggetto, sia direttamente che indirettamente,
in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato aifini delle imposte
sul reddito, od alla propria attività economica; c) provenienza dei beni, che
risultino esserefrutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego.12. Possono ora affrontarsi, più specificamente, i profili
problematici concernenti la pericolosità cd. qualificata,alla stregua
delle novelle del 2008 e 2009.Orbene, anche con riferimento a tale ambito
applicativo, la confisca di prevenzione – per quanto si è detto -continua
a mantenere integra la sua connotazione preventiva.Neppure su tale versante,
dunque, le anzidette novelle hanno avuto effetto dirompente, quanto
allatradizionale fisionomia dell\’istituto, alla stregua degli stessi
rilievi argomentativi sopra espressi in riferimentoalla pericolosità
“generica”.D\’altro canto, in linea meramente astratta, un
problema di retroattività della novellazione in subiecta materiapotrebbe,
persino, neanche porsi, tanto più per il fatto che restano immutati i
presupposti sostanziali richiestiper l\’applicazione della confisca (così
come, correttamente, osservato da Sez. 1, n. 23641 del
11/02/2014,Mondini, non mass.).Ed invero, quanto ai profili di
novità introdotti dalle dette riforme, è agevole considerare, in primo luogo,
chel\’affermata autonomia del procedimento di prevenzione reale rispetto a
quello di prevenzione personalerisponde ad essenziali ragioni di economia
e razionalizzazione, attenendo dunque a disposizione processuale,che, in
quanto tale, è di immediata applicazione. Nessun riflesso sostanziale è dato
cogliere nell\’innovazione,posto che l\’applicazione della misura di
prevenzione personale resta sempre, rigorosamente, subordinata
allaverifica dell\’attualità della pericolosità sociale; mentre
l\’applicabilità “disgiunta” della misura reale postula
pursempre l\’accertamento, sia pure incidenter tentum, della pericolosità
del soggetto preposto.E, per quanto riguarda il secondo profilo di
novità, ovverosia l\’affermato principio secondo cui l\’applicazionedella
misura cautelare reale prescinde dalla verifica dell\’attualità della
pericolosità, la precisazione normativaappare finanche superflua, per
ragioni affatto identiche a quelle indicate con riferimento alla
pericolositàgenerica, occorrendo pur sempre la verifica di pregressa
pericolosità, nel cui ambito temporale di esplicazionepossa collocarsi
l\’acquisto del bene da confiscare.Sul correlato aspetto problematico
relativo alla perimetrazione cronologica dell\’acquisto è dato registrare,
nellagiurisprudenza di questa Corte, una difformità di opinioni. Infatti,
mentre alcune pronunce delimitanorigorosamente quell\’ambito,
rapportandolo al positivo accertamento dell\’arco temporale di manifestazione
dellapericolosità sociale (Sez. 5, n. 18822 del 23/03/2007, Cangialosi,
Rv. 236920; Sez. 5, n. 24778 del13/06/2006, Cosoleto, Rv.
234733;Sez. 1, n. 2654 del 02/05/1995, Genovese, Rv. 202142; Sez. 1, n.
2186 del 18/05/1992, Vincenti, Rv.191582); altre sentenze – ben più
numerose -ritengono, invece, che, in tema di criminalità organizzata,
ilpotere di ablazione non sia vincolato ai limiti di quell\’accertamento,
potendo riguardare anche beni acquistatiantecedentemente, sull\’ovvio
presupposto che ricorrano le condizioni della sproporzione rispetto alla
capacitàreddituale e, quindi, della presumibile provenienza illecita dei
beni interessati (da ultimo Sez. 5, n. 16311 del23/01/2014, Di Vincenzo,
Rv. 259872 , così massimata: “in tema di misure di prevenzione antimafia,
sonosoggetti a confisca anche i beni acquisiti dal proposto, direttamente
od indirettamente, in epoca antecedente aquella cui si riferisce
l\’accertamento della pericolosità, purchè ne risulti la sproporzione rispetto
al redditoovvero la prova della loro illecita provenienza da qualsivoglia
tipologia di reato”; in senso conforme, tra le altre,Sez. 5, n. 3538
del 22/03/2013, Zangari, Rv. 258656;Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013,
Cardone, Rv. 256266; Sez. 5, n. 27228 del 21/04/2011, Cuozzo, Rv.250917;
Sez. 1, n. 39798 del 20/10/2010, Stagno, Rv. 249012; Sez. 6, n. 4702 del
15/01/2010, Quartarano,Rv. 246084; Sez. 1, n. 35175 del 04/06/2009,
Sicolo, Rv.245363; Sez. 2, n. 25558 del 16/04/2009, Di Salvo, Rv. 244150;
Sez. 1, n. 35466 del 29/05/2009, Caruso, Rv.244827; Sez. 2, n. 21717 del
08/04/2008, Failla, Rv. 240501).A ben vedere, si tratta, però, di un
falso problema, non appena si consideri – secondo quanto sopra
evidenziato- che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto
ineludibile della confisca di prevenzione, è anche”misura
temporale” del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia
acquisitiva.Sennonchè, mentre nell\’ipotesi di pericolosità
“generica” l\’individuazione cronologica rappresenta – per
quantosi è detto – operazione tutt\’altro che disagevole, in caso di
pericolosità qualificata la relativa determinazioneappare più complessa e
problematica. Ed infatti, fermo restando il principio che la pericolosità
(rectius l\’ambitocronologico della sua esplicazione) è “misura”
dell\’ablazione, la proiezione temporale di tale qualità non sempreè
circoscrivibile in un determinato arco temporale.Tuttavia, nell\’ipotesi
in cui la pericolosità investa, come accade ordinariamente, l\’intero percorso
esistenzialedel proposto e ricorrano i requisiti di legge, è pienamente
legittima l\’apprensione di tutte le componentipatrimoniali ed utilità, di
presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo,
giustificato illegittimo possesso.Resta ovviamente salva – come per
la pericolosità generica – la facoltà dell\’interessato di fornire prova
contrariae liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità
degli acquisti in virtù di impiego di lecite fontireddituali. Con
l\’imprescindibile corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti
risalenti nel tempo, nondeve rispondere, neppure in questo caso, ai
rigorosi canoni probatori del giudizio petitorio, con il rischio
diassurgere al rango di probatio diabolica, potendo – per quanto si è
detto – anche affidarsi a mere allegazioni,ossia a riscontrabili
prospettazioni di fatti e situazioni che rendano, ragionevolmente, ipotizzabile
la legittimaprovenienza dei beni in contestazione.Invece, ove la
fattispecie concreta consenta al giudice della prevenzione di determinare
comunque – in forza diinsindacabile apprezzamento di merito (in quanto
congruamente giustificato) e sulla base di ogni utile indagine- il
momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale, saranno
suscettibili di apprensione coattiva”soltanto” i beni ricadenti
nell\’anzidetto perimetro temporale.13. In conclusione, la questione di
diritto posta dall\’ordinanza di rimessione deve essere così risolta:
“Lemodifiche introdotte dal D.L. n. 92 del 2008 (conv. dalla L. n.
125 del 2008) e dalla L. n. 94 del 2009 alla L. n.575 del 1965, art.
2-bis non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell\’ambito
delprocedimento di prevenzione, di guisa che rimane tuttora valida
l\’assimilazione alle misure di sicurezza e,dunque, l\’applicabilità, in
caso di successione di leggi nel tempo, della previsione di cui all\’art. 200
cod. pen.”.14. Alla stregua dei principi di diritto come sopra
enunciati, può ora procedersi all\’esame dei ricorsi
delleproposte.Le dette impugnazioni – congiuntamente esaminabili
stante la perfetta identità di contenuto – sono destituite difondamento,
siccome affidate a prospettazioni argomentative in favore della tesi contraria
a quella sostenutadalle Sezioni Unite.In particolare, non è
condivisibile l\’assunto in ordine alla proposta interpretazione dell\’art. 19 in
senso contrarioall\’estensione della platea dei possibili destinatari
della misura di prevenzione, ove invece questo Collegio ha,sulla base
delle superiori argomentazioni, affermato che l\’anzidetta disposizione deve
essere interpretata nelsenso della riespansione dell\’ambito dei soggetti
possibili destinatari delle misure di prevenzione
patrimoniale,ricomprendendovi, quindi, anche quelli di cui alla L. n.
1456 del 1956, art. 1.L\’assunto argomentativo, che nega l\’assimilazione
della confisca di prevenzione alle misure di sicurezza,
viaticoall\’applicabilità ad essa dell\’art. 200 cod. pen., è infondato per
le ragioni sopra indicate a sostegno dellacontraria
opinio.Conseguentemente, è destituita di fondamento la correlata
deduzione difensiva riguardante la pretesairretroattività delle novelle
del 2008 e 2009, sicchè, in virtù della previsione di cui al menzionato art.
200 cod.pen., le nuove disposizioni normative sono certamente applicabili
alle odierne ricorrenti, in ragionedell\’accertata loro pericolosità
generica o comune; e sono, altresì, applicabili anche ad acquisti
effettuatianteriormente all\’entrata in vigore della stessa
novellazione.Nè miglior sorte può avere l\’assunto difensivo, espresso
nella memoria indicata in epigrafe, con riferimento allaposizione di D.
R.G., rispetto alla quale il profilo di pericolosità, negato con decreto del
Tribunale di Teramo del18/01/2011, cui si riferisce il provvedimento
impugnato, era stato, anche in passato, escluso con decreto,divenuto
irrevocabile, dello stesso Tribunale del 23/06/2006, che aveva rigettato la
richiesta di applicazionedella misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, nei confronti dellastessa
D.R..Ed invero, a parte l\’indiscusso insegnamento delle Sezioni Unite
secondo cui, in tema di misure di prevenzione,la preclusione del
giudicato opera rebus sic stantibus e, pertanto, non impedisce la rivalutazione
dellapericolosità sulla base di ulteriori elementi, precedenti o
successivi al giudicato (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009,Galdieri, Rv.
245176), i richiamati provvedimenti hanno solo escluso che, all\’epoca di
riferimento, la propostafosse ancora socialmente pericolosa, ai fini
dell\’applicazione, nei suoi confronti, della misura di
prevenzionepersonale, ove invece, con riferimento alla misura patrimoniale,
la nuova disciplina ha rimosso – per quanto si èdetto – il presupposto
dell\’attualità della stessa pericolosità sociale.Con ineccepibile
motivazione, espressiva di insindacabile apprezzamento di merito, il giudice a
quo ha ritenutoche entrambe le proposte fossero socialmente pericolose
all\’epoca degli acquisti dei beni sequestrati e, tantobastava ai fini
dell\’astratta applicabilità, nei loro confronti, della confisca di
prevenzione.Ha, quindi, accertato che, sulla base della prodotta
documentazione, la parte pubblica aveva fornito la provadella
sproporzione dei beni posseduti dalle proposte rispetto alla rispettiva
capacità reddituale, quale risultavada fonti ufficiali. Di talchè, in
ragione della riconducibilità degli acquisti al periodo di tempo in cui le
stesseerano ritenute socialmente pericolose e, quindi, della ragionevole
presunzione che gli stessi fossero di illecitaprovenienza, ha applicato
la misura ablatoria, in mancanza di giustificazione in ordine alla lecita
provenienzadei beni interessati.E\’ significativo, in proposito, che
il giudice di appello abbia effettuato prudente valutazione selettiva,
riformandoil provvedimento ablatorio – e dunque revocando la confisca –
con riferimento ai beni relativamente ai quali erastata offerta la prova
di lecita provenienza.15. Per quanto precede, i ricorsi devono essere
rigettati, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i
ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso
in Roma, il 26 giugno 2014.

Depositato
in Cancelleria il 2 febbraio 2015

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