mercoledì, Maggio 29, 2024
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DANNO ALL’ONORE: Risarcibile, per provvedimenti illegittimi della PA

Il Tar Campania, con sentenza 4865 del
14 ottobre 2015, ha condannato una PA a risarcire i danni patrimoniali e
non patrimoniali ai ricorrenti, compresa la lesione dell’onorabilità,
per aver instaurato ingiustamente un procedimento penale contro di essi.

I giudici in primo luogo hanno rilevato che “ai
fini della configurabilità della responsabilità aquiliana ex art. 2043,
c.c. della Pubblica amministrazione … devono ricorrere i presupposti
del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di
consequenzialità; quanto all’imputazione della colpa alla Pubblica
amministrazione, essa non può avvenire sulla base del mero dato
obiettivo dell’illegittimità dell’atto amministrativo, essendo tenuto il
giudice, malgrado l’intervenuto annullamento dell’atto, a svolgere una
più penetrante indagine estesa alla valutazione della colpa non del
funzionario agente, ma della Pubblica amministrazione come apparato,
configurabile soltanto nel caso in cui l’adozione dell’atto illegittimo
sia avvenuto in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e
buona amministrazione
” (Cons. di St., sez. V, 28 settembre 2015, n. 4508).

Nel caso di specie, i giudici hanno
identificato l’evento dannoso, nell’essere stati i ricorrenti
indebitamente destinatari, prima, di ordinanze di riduzione in pristino
stato pur non essendo a ciò tenuti, e, successivamente -con maggiore
incisione sui valori fondamentali quali quelli alla difesa personale, all’onore e alla reputazione-,
di un decreto penale di condanna all’ammenda adottato sulla base di
provvedimenti fondati su erronei presupposti di fatto -in quanto traenti
origine da un’incompleta e superficiale istruttoria compiuta dagli
organi tecnici e amministrativi comunali all’uopo preposti,
negligentemente trasmessi, prima dei necessari approfondimenti,
all’A.G..

Per tali motivi, ad avviso dei giudici amministrativi campani, appare indubbio, quanto al danno non patrimoniale, che l’onorabilità degli attuali ricorrenti, –da
intendersi sia quale complesso delle condizioni dalle quali dipende il
valore sociale che come insieme delle doti fisiche, morali e
intellettuali della persona, entrambi beni fondamentali
costituzionalmente tutelati (art. 3 Cost.)-, sia stata, secondo l’id quod plerumque accidit,
sensibilmente pregiudicata dall’instaurazione di un procedimento penale
attivato sulla base di un provvedimento fondato su informativa carente
quanto all’individuazione del soggetto effettivamente obbligato al
ripristino, in definitiva, iniziato in assenza di compiuto accertamento
circa la manifesta responsabilità o titolarità dell’onere in capo agli
attuali ricorrenti.

Pertanto, il Tar Campania, ritenendo i
danni riportati dai ricorrenti ingiusti, ha condannato l’Amministrazione
a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali ai ricorrenti.

Di seguito il testo della sentenza.

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 773 del 2008, proposto da:
Rosano Anna Maria e Rosano Lorenzo, rappresentati e difesi dall’avv.
Cristina Marano, con domicilio eletto presso Cristina Marano in Napoli,
Via A. Depretis, 102;

contro

Comune di Caivano, rappresentato e difeso dall’avv. Giuliano Agliata,
con domicilio eletto presso Giuliano Agliata in Napoli, Via G. Porzio C.
Dir. Isola G 8;
per l’accertamento
– del diritto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non
patrimoniali, sofferti dai ricorrenti a seguito dell’adozione
dell’ordinanza n. 188 del 27.07.2004 e della diffida n. 378 del
12.04.2005, entrambe intimanti la pulizia del fondo mediante rimozione
dei rifiuti abbandonati e la bonifica area;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Caivano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 la dott.ssa
Gabriella Caprini e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I. I ricorrenti agiscono in riassunzione per l’accertamento del
risarcimento dei danni patiti a seguito dell’adozione di provvedimenti
illegittimi, nella specie, dell’ordinanza sindacale contingibile e
urgente e della successiva diffida ad adempiere entrambe volte a
ottenere la pulizia e il ripristino dell’igienicità e della salubrità
della parte di fondo, erroneamente ritenuta ancora in possesso e nella
piena disponibilità dei medesimi, la cui adozione avrebbe, in
particolare, comportato, ingiustamente, l’adozione, nei rispettivi
confronti, del decreto penale di condanna alla pena di €. 1.400,
ciascuno, per i reati di cui all’art. 50, comma 2, in relazione all’art.
14, comma 3, del d.lgs. n. 22/1997.
Chiedono, nello specifico, sia riconoscimento dei danni patrimoniali,
sostanzialmente riconducibili alle spese sopportate nel giudizio penale
(€. 3.060,00, ciascuno) e alla parcella liquidata al tecnico di fiducia
per la perizia giurata posta alla base dell’annullamento, in via di
autotutela, dei provvedimenti citati (€. 2.371,20), sia il risarcimento,
secondo equità, dei pregiudizi derivanti dalla lesione ai diritti della
persona quali, oltre al diritto alla difesa e alla partecipazione
procedimentale, quelli attinenti all’onore, alla reputazione e alla
serenità psichica, compromessi dall’ingiusta condanna in sede penale.
II. Si è costituita l’Amministrazione comunale intimata, concludendo per il rigetto del ricorso.
III. All’udienza pubblica del 16.07.2015, fissata per la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
IV. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
V. Occorre premettere in fatto che:
a) con decreto del Prefetto della provincia di Napoli, n. 40722 del
17.10.2001, veniva autorizzata l’occupazione d’urgenza in favore del
Consorzio IRICAV UNO di parte (per mq. 304) del fondo agricolo, in
comproprietà dei ricorrenti (mq. 4.850, fg. 26, p.lla 37), in
prospicenza della strada comunale, per la realizzazione della linea Alta
velocità Roma Napoli;
b) emessa la prima ordinanza sindacale, n. 188 del 9.07.2004, gli
istanti, accertato che i rifiuti da rimuovere insistevano sulla porzione
di terreno occupata dal Consorzio, eccepivano, prima, in data
26.08.2004, e, poi, in data 9.11.2004, l’assenza di ogni responsabilità
in ordine all’abbandono nella parte di suolo non più in loro possesso e,
dunque, il difetto di legittimazione passiva ad essere destinatari
dell’ordinanza sindacale, invitando lo stesso Comune a effettuare un
sopralluogo onde verificare l’esatta ubicazione dei rifiuti;
c) a seguito di ulteriore diffida, n. 378 del 12.04.2005, rimasta, per i
sovra detti motivi, inadempiuta, veniva adottato, nei confronti dei
ricorrenti, decreto penale di condanna all’ammenda, per ciascuno, di
1.140,00 (n. 2286/2005);
d) depositata presso gli uffici dell’Amministrazione specifica perizia
giurata, dalla quale era possibile rilevare che la zona di scarico dei
rifiuti riguardava esclusivamente la porzione di terreno oggetto di
occupazione da parte del Consorzio, i medesimi organi comunali
provvedevano a espletare uno specifico sopralluogo nel corso del quale
emergeva che, effettivamente, i rifiuti erano presenti esclusivamente
nella parte di suolo, mq. 304, interessata dalla procedura ablativa;
e) il Comune, pertanto, con provvedimento del 26.07.2005, adottava
l’ordinanza n. 442, con la quale, contestualmente, provvedeva, da un
lato, a ordinare al Consorzio de quo la pulizia del fondo e, dall’altro,
a revocare, in via di autotutela, le precedenti ordinanze emesse nei
confronti dei ricorrenti.
VI. Ciò posto, ritiene il Collegio che siano ravvisabili tutti gli
elementi costituitivi per poter configurare, in capo all’Amministrazione
comunale, una responsabilità di tipo extracontrattuale, fondata sul
generale principio del neminem laedere.
A tal proposito si premette che, “ai fini della configurabilità della
responsabilità aquiliana ex art. 2043, c.c. della Pubblica
amministrazione … devono ricorrere i presupposti del comportamento
colposo, del danno ingiusto e del nesso di consequenzialità; quanto
all’imputazione della colpa alla Pubblica amministrazione, essa non può
avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’atto
amministrativo, essendo tenuto il giudice, malgrado l’intervenuto
annullamento dell’atto, a svolgere una più penetrante indagine estesa
alla valutazione della colpa non del funzionario agente, ma della
Pubblica amministrazione come apparato, configurabile soltanto nel caso
in cui l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuto in violazione delle
regole d’imparzialità, correttezza e buona amministrazione” (Cons. di
St., sez. V, 28 settembre 2015, n. 4508).
In particolare, con riferimento al profilo maggiormente contestato, “i
fattori che valgono ad escludere la colpa e, quindi, la responsabilità
dell’Amministrazione per i danni causati da un provvedimento
illegittimo, sono quelli attinenti all’esistenza di contrasti
giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme
di riferimento, alla formulazione poco chiara o ambigua delle
disposizioni che regolano l’attività amministrativa considerata, alla
complessità della situazione di fatto oggetto del provvedimento e alle
pertinenti difficoltà istruttorie e all’illegittimità derivante dalla
successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata con
l’atto lesivo; in altri termini, per la configurabilità della colpa
dell’Amministrazione, ai fini dell’accertamento della sua responsabilità
aquiliana, occorre avere riguardo al carattere della regola di azione
violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere
la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al
contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è
ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare
all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la
colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato
esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di
proporzionalità. Ed infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a
costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la
responsabilità dell’Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi
in cui l’azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed
evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni
altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile” (Cons.
di St., sez. III, 28 luglio 2015, n. 3707).
VI.1. Tanto premesso, sussiste, nel caso di specie, una lesione,
correlata all’interesse legittimo al corretto esercizio della potestà
pubblica, che ha interessato una posizione giuridica soggettiva tutelata
dall’ordinamento, ed essa è configurabile quale conseguenza diretta e
immediata del fatto illecito – segnatamente degli atti amministrativi
riconosciuti illegittimi (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Trieste, sez. I,
10 novembre 2014 n. 538).
VI.2. Con precipuo riferimento all’evento dannoso, infatti, esso deve
essere identificato nell’essere stati i ricorrenti indebitamente
destinatari, prima, di ordinanze di riduzione in pristino stato pur non
essendo a ciò tenuti, e, successivamente -con maggiore incisione sui
valori fondamentali quali quelli alla difesa personale, all’onore e alla
reputazione-, di un decreto penale di condanna all’ammenda adottato
sulla base di provvedimenti fondati su erronei presupposti di fatto -in
quanto traenti origine da un’incompleta e superficiale istruttoria
compiuta dagli organi tecnici e amministrativi comunali all’uopo
preposti (Comando dei VV.UU. e responsabile del settore Ambiente)-,
negligentemente trasmessi, prima dei necessari approfondimenti,
all’A.G..
Invero, appare indubbio, quanto al danno non patrimoniale, che
l’onorabilità degli attuali ricorrenti, -da intendersi sia quale
complesso delle condizioni dalle quali dipende il valore sociale che
come insieme delle doti fisiche, morali e intellettuali della persona,
entrambi beni fondamentali costituzionalmente tutelati (art. 3 Cost.)-,
sia stata, secondo l’id quod plerumque accidit, sensibilmente
pregiudicata dall’instaurazione di un procedimento penale attivato sulla
base di un provvedimento fondato su informativa carente quanto
all’individuazione del soggetto effettivamente obbligato al ripristino,
in definitiva, iniziato in assenza di compiuto accertamento circa la
manifesta responsabilità o titolarità dell’onere in capo agli attuali
ricorrenti.
Va altresì, tenuto conto, quanto, invece, ai profili prettamente
patrimoniali della lesione, che, gli attuali ricorrenti, al fine di
superare l’errato accertamento in fatto degli organi comunali e
sollecitare, conseguentemente, l’esercizio del potere di annullamento in
autotutela degli atti illegittimi, si sono dovuti rivolgere a tecnico
di fiducia, incaricato di determinare, tramite apposita relazione,
l’esatta ubicazione dei luoghi, la titolarità dei diritti ivi insistenti
e la contestata allocazione dei rifiuti da smaltire.
I danni riportati, tutti derivanti da un comportamento contrario al
diritto (contra ius) concretantesi, nella specie, in un cattivo
esercizio del potere, devono qualificarsi come ingiusti.
VI.3. Emblematica, invece, ai fini dell’individuazione dei profili di
responsabilità in capo all’Amministrazione resistente, è la dettagliata
ricostruzione degli avvenimenti che precede la nuova ingiunzione, questa
volta, nei confronti del Consorzio IRICAV UNO, General Contractor della
Treno Alta Velocità (TAV) S.p.a..
VI.3.1. Invero, emessa la prima ordinanza sindacale del 9.07.2004
intimante la rimozione de quo, veniva trasmessa la prima comunicazione
di notizia di reato per omessa ottemperanza (nota n. 8956 del 14.10.2004
del locale Comando VV.UU.) nonostante i ricorrenti avessero già
comunicato, in data 26.08.2004, di non essere più nella disponibilità di
parte del lotto per essere lo stesso stato occupato con decreto
prefettizio n. 40722 del 17.10.2001.
All’ulteriore nota del 9.11.2004, prot. n. 18875, con la quale gli
stessi ricorrenti chiedevano un sopralluogo atto a verificare l’esatta
ubicazione dei rifiuti in modo da attribuirne l’onere della rimozione al
legittimo possessore, non seguivano gli opportuni accertamenti ma una
seconda diffida allo sgombero, con ordinanza sindacale n. 378/AM del
12.04.2005, e la trasmissione, per inottemperanza anche a quest’ultima,
di una nuova comunicazione di reato (nota n. 3005 del 18.05.2005 del
responsabile della P.M.).
VI.3.2. Avviato ormai il procedimento penale, solamente a seguito
dell’ulteriore istanza dei ricorrenti, datata 25.05.2005, prot. n. 8199,
di richiesta di revoca dei provvedimenti citati, prodotta unitamente a
una relazione tecnica di parte tesa a individuare il confine delle
proprietà, il responsabile del settore Ambiente, a seguito di proprio
sopralluogo, constatava che effettivamente i rifiuti erano presenti
sulla parte di suolo oggetto dell’espropriazione a favore del Consorzio
(nota prot. n. 150 AM del 20.06.2005, diretta, per conoscenza, al
responsabile della P.M.). Veniva pertanto avviato il procedimento volto
al ritiro delle ordinanze riconosciute illegittime.
VI.3.3. Ora, nel comportamento complessivamente tenuto
dall’Amministrazione comunale deve ravvisarsi il ricorrere dell’elemento
soggettivo proprio della colpa, intesa non tanto e non solo in termini
di negligenza e imperizia del singolo funzionario preposto quanto quale
imputabilità soggettiva della P.A., valutata come apparato, essendo
stata l’adozione degli atti illegittimi, riconosciuti come tali anche
dall’Amministrazione intimata, avvenuta in violazione delle regole
d’imparzialità, correttezza e di buona amministrazione alle quali deve,
invece, essere improntato l’esercizio della pubblica funzione.
VI.4. Con riferimento, infine, al nesso di causalità, l’utilizzo del
criterio della cd. causalità adeguata che, nella serie causale,
attribuisce rilievo agli eventi che non appaiano, a una valutazione ex
ante, del tutto inverosimili nella determinazione dell’evento, consente
di affermare che la verificazione della lesione lamentata è, secondo un
giudizio di alta probabilità vicina alla certezza, ascrivibile alle
carenze istruttorie e motivazionali riconducibili al comportamento
dell’Amministrazione comunale intimata senza le quali alcun
procedimento, sia esso amministrativo o penale, sarebbe stato
instaurato.
VII. Tanto premesso, quanto alla quantificazione del danno il Collegio ritiene opportuno svolgere le seguenti valutazioni.
VII.1. Non può, in primo luogo, essere riconosciuta la rifusione delle
spese processuali in cui sono incorse le parti nella difesa in giudizio
in sede di opposizione al decreto penale di condanna, essendo tali oneri
strettamente attinenti a tale giudizio nell’ambito del quale possono
trovare, se del caso e a seguito degli approfondimenti in fatto compiuti
in tale sede, il dovuto riconoscimento.
VII.2. Quanto ai danni patrimoniali e non patrimoniali evidenziati, si
valuta, invece, equo liquidare il risarcimento per i pregiudizi subiti
in complessivi €. 3.000,00 (tremila/00), tenendo, in particolare conto,
quanto all’instaurato giudizio in sede penale, che lo stesso non
risulta, allo stato, definito.
VII.3. Ciò posto, l’obbligazione risarcitoria per responsabilità
extracontrattuale e aquiliana costituisce “un debito non di valuta ma di
valore sicché, anche in sede di liquidazione equitativa dei danni
predetti, deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto
intervenuta, senza necessità che il creditore alleghi o dimostri il
danno maggiore ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c. (danni nelle
obbligazioni pecuniarie); su tale somma, rivalutata anno per anno
secondo gli indici dei prezzi al consumo per le famiglie d’operai e
impiegati calcolati dall’ISTAT su base nazionale, decorrono gli
interessi nella misura legale, atteso che la rivalutazione e gli
interessi sulla somma rivalutata adempiono funzioni diverse: la prima
mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era
prima dell’evento pregiudizievole, i secondi hanno natura compensativa e
sono, quindi, giuridicamente compatibili” (T.A.R. Piemonte, Torino,
sez. I, 3 dicembre 2013, n. 1299).
Per quanto concerne la data di realizzazione del fatto illecito, essa
deve farsi risalire all’adozione del primo atto lesivo da individuarsi
nel giorno di emissione dell’ordinanza contingibile e urgente, n. 188
del 9.07.2004 (solo notificata il 27.09.2004).
VIII. In conclusione, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso
va accolto, potendosi formulare un giudizio d’imputabilità soggettiva, a
titolo di colpa, dell’apparato amministrativo procedente, derivante,
cioè, da un difettoso funzionamento riconducibile a un comportamento
negligente e in contrasto con le prescrizioni di legalità, imparzialità e
buon andamento di cui all’art. 97 Cost. tale, in definitiva, da fare
apprezzare la presenza di un danno risarcibile nei termini indicati
(T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 novembre 2013, n. 9470).
IX. Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta)
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per
l’effetto:
a) accerta il diritto al risarcimento del danno nei termini di cui in motivazione;
b) condanna l’Amministrazione comunale al pagamento in favore dei
ricorrenti, della somma di €. 3.000,00 (tremila/00), oltre, a decorrere
dalla data del fatto illecito, a svalutazione monetaria e interessi
legali sino alla data del soddisfo;
c) condanna la medesima Amministrazione intimata al pagamento, in favore
delle parti ricorrenti, delle spese di giudizio, quantificate in €.
1.000,00 (mille/00), oltre C.P.A. e I.V.A..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Domenico Nappi, Presidente
Paolo Marotta, Consigliere
Gabriella Caprini, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



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