venerdì, Maggio 17, 2024
spot_img

LA POLITICA IN VETRINA: Trivelle, le ragioni del “SI”

Ho
cercato di spiegare in questa stessa rubrica quali potranno essere le ragioni
del “SI” , posto che il quesito referendario ammesso dalla Corte Costituzionale
riguarda la durata delle autorizzazioni per le
esplorazioni e le trivellazioni dei giacimenti in mare già rilasciate, e ha a
che fare con l’abrogazione dell’articolo
6 comma 17 del Codice dell’Ambiente
nella parte in cui prevede che le
trivellazioni possano proseguire fino a quando il giacimento lo consente, cioè sine die, ovvero a tempo indeterminato.
Il comma prevede sostanzialmente che le trivellazioni per cui sono già state
rilasciate delle concessioni non abbiano una scadenza. Il referendum vuole
invece limitare la durata delle concessioni alla loro scadenza naturale,
chiudere dunque definitivamente i procedimenti in corso e evitare proroghe.

Votando
per il “SI”, quindi, si vota perché la trivellazione cessi alla scadenza
naturale della concessione senza ulteriori proroghe.

Convinto
come sono che anche le ragioni del “NO” abbiano una loro dignità e
ragionevolezza – come meglio viene spiegato nell’articolo che segue – voglio ribadire
invece il mio ragionamento di votare “SI”.

Più
precisamente, voto “SI” perché:

1.
Costringere l’Istituzione a diversificare le
fonti di approvvigionamento investendo maggiormente in quelle alternative;

2.
Il nostro petrolio, ma soprattutto la più grande
energia del nostro territorio – il Mezzogiorno d’Italia – è rappresentato dalle
bellezze naturali e dal mare in primo luogo. Se ciò è vero e incontestabile,
considerato anche che tutti i Paesi che affacciano nel Mediterraneo (Spagna,
Francia, Grecia) ci hanno abbondantemente superato, dobbiamo necessariamente
investire sul turismo e sulle infrastrutture connesse;

3.
Il nostro prodotto migliore, che meglio
corrisponde alla vocazione del nostro territorio è il turismo e pertanto tutte
le attività istituzionali locali e nazionali devono essere finalizzate ad esso;

4.
Come possiamo pensare nel terzo millennio di competere
sul mercato europeo e mondiale senza infrastrutture adeguate. Penso al Gargano,
una perla naturale assolutamente sottovalutata, ancora oggi, priva di un Aeroporto
in grado di rispondere a qualunque aspettativa di sviluppo.

In
definitiva, votando “SI”, sarà certamente vero che rinuncio allo sfruttamento
di una risorsa economica (petrolio e/o gas) per il cui approvvigionamento sul
mercato andrò ad appesantire la mia bilancia dei pagamenti, ma che,
contemporaneamente, con un buon piano di investimenti e rilancio del turismo e
della valorizzazione della cultura e dell’immenso patrimonio storico ed
archeologico di cui l’Italia detiene il 50% dell’intero pianeta (in parte
finalmente avviata e già si sta facendo).

Rinunciare
al fossile deve significare non abbandonare una ricchezza esistente, ma
semplicemente diversificare secondo una vocazione naturale del nostro
territorio dove nessun Paese potrebbe fare meglio di noi.

BUONA
LETTURA

Referendum Trivelle, una
geologa: “ecco perché io non andrò a votare e se proprio fossi costretta,
voterei NO”

Referendum Trivelle, l\’esperta spiega perché ha deciso
di non andare a votare. “E se proprio fossi costretta, voterei no”

di Michela Costa –Ho letto tutti i vostri
post sulle trivelle. Ho guardato tutte le sfilate delle immagini più o meno
toccanti e più o meno simpatiche (l’ultima delle quali, “trivella tua sorella”, oltre che essere sfacciatamente
maschilista, è stata proprio un epic fail, complimenti agli ideatori!).
Immaginavo già che alcuni dei più famosi brand italiani arrivassero anche ad
approfittare del momento caldo per le proprie campagne pubblicitarie (ed ecco
infatti che “le uniche trivelle che ci piacciono” hanno
per protagonisti un fusillo di pasta che si tuffa nel ragù e un cavatappi che
affonda nel sughero di un nero d’avola). Mi rendo conto di quanto possa essere
abbastanza facile restare impressionati da una campagna di Greenpeace che ci fa
vedere le immagini del povero gabbiano tutto sudicio di petrolio che tenta
disperatamente di aprire le ali. Ci vengono le lacrime agli occhi, vero? Ma
siccome sono chiamata a dare un voto e mi piace pensare e agire con la mia testa,
ho deciso di prendermi del tempo per informarmi e andare oltre le immagini e le
informazioni che fonti “orientate” ci propinano in rete, soprattutto in materia
ambientale, visto il tipico vizio che hanno certe campagne
ambientaliste di puntare i piedi e otturare le orecchie. E quello che ho
trovato in rete mi ha molto stupita. Sono partita da un paio di articoli (Il Post e Le Scienze) per poi approfondire saltellando da link a link
fino a farmi un’idea mia che, per necessità di chiarezza, sento il bisogno di
condividere.

Premetto che ho molto a cuore l’ambiente ma rifiuto la definizione
di ambientalista (parola che come “fondamentalista” e “integralista” denota un
estremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio). E no, non sono
un geologo che lavora in piattaforma, sono un geologo disoccupato che manco ci
pensa ad andare a lavorare in piattaforma, per carità. E non ho nessuno in
famiglia che lavora alla Eni. Insomma nessun interesse personale nelle mie
opinioni.

Lasciando stare le motivazioni occupazionali (in caso di vittoria del SI, circa
settemila lavoratori impiegati nel settore perderebbero il posto di lavoro,
motivo per cui diversi sindacati si sono schierati a favore del NO) e le motivazioni economiche (dismettere gli impianti prima del
tempo significa chiaramente un costo enorme per le spese di ammortamento,
perché vuol dire non usare quell’impianto per l’intera vita operativa per cui
era stato progettato) voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare nella speranza che non venga raggiunto il
quorum, mi sembra la soluzione “più sostenibile”:

1) Lo stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che
il petrolio. In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle
campagne “No-Triv”, viene estratto per la maggior parte a terra e non in mare.
Gli impianti che saranno oggetto del referendum estraggono fondamentalmente metano, che sebbene fossile, è una fonte di gran lunga meno
dannosa del petrolio e ancora per molti versi insostituibile (attualmente il
54% dell’offerta energetica mondiale). In questa pagina del sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per
gli Idrocarburi e le Georisorse, vi è l’elenco completo delle piattaforme
oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la profondità del
fondale (dato spesso sottovalutato, ma molto importante) e il tipo di
combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si faccia portavoce di immagini
con ragazzi in costume da bagno ricoperti di catrame e poveri pennuti
starnazzanti nel petrolio, scorrere velocemente l’elenco degli impianti farà
capire brevemente come la percentuale di impianti a GAS sia in netta
maggioranza rispetto a quelli a OLIO. Questo si traduce con una sola frase: Siamo disinformati e pronti ad abboccare a qualsiasi cosa, basta che
sia green.

LaPresse/Vincenzo
Livieri

2) la vittoria del SI porterà
comunque alla costruzione di altri impianti. La costruzione di piattaforme
entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs
152/06) e su questo possiamo stare sereni. La vittoria del SI non potrà, però,
impedire alle compagnie di spostarsi e costruire nuovi
impianti poco oltre questo limite. Praticamente con il SI quello che
vogliamo dire alle compagnie e: << Sentite, anche se
avete ancora un botto di gas da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i
rubinetti e spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese
>>. Si, significa questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia
allora potrà scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso
mare, dismettere l’impianto entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno
nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla) oppure andare a
cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in altri paesi. Ma
inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno potenziati,
per sopperire al fabbisogno energetico. Se vietiamo l’utilizzo
degli impianti esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a
prendere, no?

3) La vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi,
contribuisce ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. Ora,
immaginiamoci un disastro ambientale, un grave incidente a una piattaforma
petrolifera posizionata “correttamente” e cioè oltre il limite delle 12 miglia.
Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la
differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace o
panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata all’avanzare
del petrolio verso le coste. In più lo stop delle piattaforme esistenti si
tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che
vanno a spasso per i nostri mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più ma di cui avremo ancora
bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che trasportano petrolio e che
possono esplodere o essere soggette a perdite e sversamenti. Senza dimenticarci
che, sempre in Adriatico, anche la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro,
potrebbero attingere ai giacimenti che l’Italia abbandonerà in caso di vittoria
del SI. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia
proprio nulla.

4) La vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a
favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora
bastare. Cosa vi aspettate, che all’indomani della cessazione delle
attività nelle piattaforme, l’Italia magicamente si sosterrà
solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili
fossili non sia una pratica sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe
puntare non alla costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo
di quelli già esistenti che devono fare da supporto alle
energie rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un futuro
(credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo esclusivo di energie
rinnovabili ma ciò deve essere fatto un passo alla volta, con la consapevolezza
che un periodo di “transizione” è fisiologico e
l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in
questo passaggio. In poche parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo
essere in grado di sostenere subito “la baracca” in un altro modo altrettanto
efficiente. Le stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano
e WWF hanno detto: “quello che serve per
difendere una volta per tutte i nostri mari è il rigetto immediato e definitivo
di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12
miglia dalla costa e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare
e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano
energetico nazionale volto alla protezione del clima e
rispettoso dei territori e dei mari italiani”. Ok, siamo
d’accordo, ma nel frattempo che definiamo il Piano energetico,
l’Italia come vivrà?

5) Il referendum è illegittimo, fa leva sulla disinformazione dei
cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune.
Non è un referendum lo strumento più adatto per risolvere un tema così
complesso e così tecnico. O meglio, potrebbe esserlo se
fossimo tutti degli esperti di coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo.
Trivellare non vuol dire necessariamente essere contro le politiche green,
anzi, la normativa di settore è piuttosto severa e restrittiva nei confronti
delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono prestare
attenzione.

Le
trivellazioni petrolifere

6) Non è vero che la presenza
degli impianti abbia ostacolato il turismo… Se così fosse, il litorale
romagnolo (dove ci sono il maggior numero di impianti) non registrerebbe ogni
stagione i flussi turistici che sono invece ben noti. Così anche la Basilicata.
In poche parole il turista da peso ad altre cose, e non alla presenza delle
piattaforme.

7) …e non è vero
neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti
come quello avvenuto anni fa in Emilia. Questa è un’argomentazione
piuttosto tecnica di cui non auguro la lettura integrale nemmeno al mio peggior
nemico, ma se volete trovate le conclusioni del rapporto a pagina 56 e successive
di questo documento.

8) La vittoria
del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Dal
momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse le nostre piattaforme e
che il passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli di casa
e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano che le compagnie si dovranno
andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari,
ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il
nucleare). E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e
abbiamo detto che il nostro mare “non si spirtusa”. Il nostro
mare, appunto. Per fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni
che, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava soddisfatto: << In
Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas della sua storia:
2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il
bisogno degli italiani per trent’anni >>. Inutile dire quanto poco
gliene possa fregare del gas agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno nè
fornelli né automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e
petrolio e loro si prendono solo gli eventuali rischi più qualche
spicciolo che andrà nelle casse del governo locale. Molto
comodo essere ambientalisti così, evvero?

Io sinceramente non mi sentirei a
posto con la coscienza a votare SI e poi accendere i fornelli con il gas che
viene non dall’Adriatico (no per carità, il nostro mare va tutelato) ma dal
Mozambico che accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato,
accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli occhi per piangere e
nessun potere contrattuale per dire “no, noi le vostre trivelle qui non le
vogliamo”.

Quindi mi auguro semplicemente
che chi deciderà di votare SI abbia un comportamento ineccepibile dal punto di
vista energetico. Questo non significa solo fare la differenziata e andare in
bicicletta. Significa essere pronti, per coerenza personale, a
rinunciare all’indomani del referendum a qualsiasi forma di utilizzo dei
combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che non
siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in nave; significa
avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i
raggi infrarossi; significa non comprare tantissimi prodotti che fanno parte
della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati
combustibili fossili. Insomma, significa essere degli integralisti
energetici, avere uno stile di vita molto più che green.
Ma quanti, tra quelli che voteranno SI hanno una
condotta del genere?

Per chi volesse leggere le altre
ragioni del NO e altri articoli, qui troverà anche troppo.

#trivelle #referendumtrivelle#iononvoto #notriv #piattaforme#petrolio #metano #gas #idrocarburi#combustibili#fossili #inquinamento#ambiente #informatevi#apritegliocchi

Ti potrebbero interessare anche

ULTIMI ARTICOLI

Non sei ancora iscritto?

Prova la nostra demo

CATEGORIE

ATTUALITA'

Banca d'Italia: Disposizioni di vigilanza sulle banche

Banca d’Italia: Disposizioni di vigilanza sulle banche

Banca d'Italia: Disposizioni di vigilanza sulle banche   1 Circolare n. 285/2013 - Disposizioni di vigilanza per le banche Modifiche riguardanti il trattamento del rischio di tasso di interesse del portafoglio bancario (IRRBB). Aperta fino al 4 giugno...
Riforme in viaggio: Premierato, autonomia differenziata e Giustizia

 La riforma del premierato e il suo peso elettorale | L’analisi di Stefano Folli

 La riforma del premierato e il suo peso elettorale | L’analisi di Stefano Folli 10 MAGGIO 2024 Fonte: ripartelitalia.it Nella confusione inevitabile della campagna elettorale, commenta su Repubblica Stefano Folli, l’ipotesi del “premierato” viene riproposta...