Il noto opinionista del Corsera Sergio Romano, ha commentato a modo suo l’appuntamento referendario, dicendo: “Non allunghiamo la lista delle occasioni perdute”.
Questa frase sintetizza bene lo stato dell\’arte e la necessità di un cambiamento necessario che tutti a parole vogliono, ma già fallito varie volte.
In Italia, da sempre, chi tocca la Costituzione muore.
Negli ultimi 30 anni sono falliti tutti i tentativi di modifica a cominciare dalla Commissione di esperti di Aldo Bozzi, poi la via della Commissione Bicamerale nelle varie versioni, De Mita, Iotti e D’Alema, per finire all’ennesimo tentativo parimenti fallito del centro destra di Berlusconi attraverso l’art.138 della Costituzione vigente. Quest’ultimo è storia recente, con il clima di antiberlusconismo imperante, non sempre a torto, la bocciatura al referendum fu’ inevitabile.
Nel frattempo, si continua a criticare la farraginosità di talune procedure costituzionali, a cominciare dal c.d. bicameralismo perfetto, dall’elevato numero di poltrone esistenti nei due rami del Parlamento che raggiunge circa il migliaio.
Quando sento poi ripetute critiche ai protagonisti del tentativo in atto volto a modificare la Costituzione, gli stessi vengono messi a confronto con lo spessore politico e culturale dei padri costituenti che la Carta l’hanno scritta.
Il paragone è certamente fuori luogo e non ha alcun senso quando, nell’attesa dell’ottimo – pensando a personaggi della statura di Calamandrei – possiamo accontentarci del buono e scongiurando il nulla di una palude che ci opprime da almeno trenta anni.
Andando poi al merito del problema, qualunque riforma, tanto più importante come questa, avrà certamente dei limiti ma al contempo, offre innegabili vantaggi se la leggiamo insieme all’Italicum (la nuova legge elettorale), che consentirà una stabilità strutturale ai futuri governi e quindi la possibilità di assumere decisioni anche difficili che sono assolutamente necessarie.
Circoscrivere o ridurre i centri decisionali bloccando gli appetiti delle troppe minoranze nelle coalizioni, nei territori e nelle regioni, favorirà una legislazione più veloce e comprensibile, a tutto vantaggio di un pragmatismo finora sconosciuto al nostro Paese.
Abolire il bicameratismo paritario insieme ad una riforma del Titolo V, significa eliminare la legislazione concorrente fra Stato e Regioni che tanto contenzioso ha prodotto dinanzi alla Corte costituzionale, restituendo allo Stato tanto la materia energetica che la realizzazione delle grandi infrastrutture.
L’assenza di riforme ci dice, come effetto collaterale, che la corruzione è spesso figlia di una burocrazia impazzita e fuori controllo che non funziona, soprattutto perché nessuno decide.
I processi decisionali invece, vanno incoraggiati tanto dal basso, ma soprattutto dall’alto, ossia riformando la Costituzione.
Per tutte queste ragioni, io voto convintamente SI.