mercoledì, Maggio 15, 2024
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POSTE: Licenziabile il dipendente che si macchia di reato penale condannato anche con sentenza di patteggiamento della pena

Cassazione civile

Poste: licenziabile il dipendente che si macchia di reato penale condannato anche con sentenza di patteggiamento della pena
(Cassazione civile sezione lavoro,Sentenza 28.7.2016 n. 15677- Giovanni Dami)

Il
vincolo contrattuale (ed il conseguente rapporto fiduciario) tra Poste e
un suo dipendente viene meno quando il secondo si è macchiato, seppur
patteggiando la relativa condanna di reati penalmente rilevabili (ex
art. 444 c.p.c.) perpetrati con l’aggiunta di dolo.

La giurisprudenza di cassazione
ha infatti chiarito che il vincolo di cui all’art. 54 del ccml di Poste
Italiane viene meno anche in caso di sentenza di patteggiamento per
reati penali. (Giovanni Dami)

***

… Omissis …

Fatto

Con sentenza n. 48/09 il Tribunale
di Milano rigettava il ricorso con cui C.M. chiese di dichiarare
l\’illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla
società POSTE ITALIANE s.p.a. con nota 23.3.2008, con tutte le
conseguenze di legge in punto di ricostituzione del rapporto di lavoro e
di risarcimento del danno.

Il primo giudice, tenendo conto dei
fatti accertati e per i quali il C. era stato precedentemente
condannato (ex art. 444 c.p.p.) in sede penale, ritenne che la
connessione tra i fatti medesimi e la prestazione lavorativa alla luce
di quanto previsto dalle norme contrattuali e di legge – fosse
sufficiente per ritenere irrimediabilmente compromesso il vincolo
fiduciario necessario per la permanenza del rapporto di lavoro.

La natura di reato contro il
patrimonio, aggravato dalla violenza sulle cose e divulgato dalla stampa
a diffusione nazionale, erano stati ritenuti dal giudice di prime cure
elementi idonei a porre in discussione l\’affidabilità del lavoratore al
fini della corretta esecuzione della prestazione lavorativa e
dell\’obbligo di fedeltà, ritenendo conseguentemente legittima e
proporzionale la sanzione adottata.

Proponeva appello il C. censurando
la sentenza appellata sotto diversi profili. Resisteva la società POSTE
ITALIANE. Con sentenza depositata l\’11 giugno 2012, la Corte d\’appello
di Milano rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il C., affidato a cinque motivi.

Resiste POSTE ITALIANE s.p.a. con controricorso.

Diritto

1.- Con il primo motivo il
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300
del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., e art.653 c.p.p. (art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3).

Lamenta che i fatti contestati al
lavoratore (essersi introdotto abusivamente in altrui abitazione, ove
aveva sottratto, con effrazione, da un armadio dieci paia di scarpe) non
erano stati affatto provati, essendosi la parte lesa limitata a
dichiarare di aver visto uno zaino contenente le sue scarpe all\’interno
della sua abitazione, di cui era peraltro rientrata in possesso. Lamenta
che l\’art. 653 c.p.p., stabilisce che (solo) la sentenza irrevocabile
di condanna in sede penale (e dunque non quella di patteggiamento) ha
efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità davanti alle
pubbliche amministrazioni.

2.- Con il secondo motivo il
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300
del 1970, art. 7, art. 2119 c.c., e degli art. da 54 a 57 del c.c.n.l.
luglio 2007, oltre che degli artt. 2697 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3 e 5). Lamenta che la sentenza impugnata ritenne
erroneamente specifica la lettera di contestazione dell\’addebito, senza
peraltro considerare che l\’art. 56, comma 6, lettera h) del c.c.n.l.
prevede il licenziamento senza preavviso solo per “sentenza penale di
condanna passata in giudicato, per fatti non connessi con lo svolgimento
del lavoro, quando tali fatti possano comunque assumere rilievo ai fini
della lesione del rapporto fiduciario”, laddove il ricorrente era
occupato presso il CMP di (OMISSIS), senza essere a contatto con
valori.

3.- I motivi, che per la loro
connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. La
sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che i fatti contestati,
chiaramente esposti nella lettera di contestazione (su cui infra), oltre
ad emergere dalla risultanze probatorie formatesi in sede penale
(utilizzabili dal giudice civile anche allorquando sia mancato il vaglio
critico del dibattimento, per essere la sentenza stata emessa ex art.
444 c.p.p., ben potendo la parte, del resto, contestare, nell\’ambito del
giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale, Cass.
n.2168/13), erano in sostanza stati ammessi dal ricorrente (che neppure
in questa sede nega gli stessi, sia quanto alla loro materialità, sia
quanto alle modalità di esecuzione).

Deve allora osservarsi che questa
Corte ha già chiarito che in tema di responsabilità disciplinare del
lavoratore, l\’art. 54 del contratto collettivo di lavoro dei dipendenti
di POSTE ITALIANE (invocato nella lettera di contestazione), nel
prevedere l\’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento
nell\’ipotesi di “condanna” del dipendente, si interpreta nel senso che è
sufficiente sia stata pronunciata, nei confronti del lavoratore,
sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., dovendosi ritenere che le
parti contrattuali abbiano voluto – con tale previsione – dare rilievo
anche al caso in cui l\’imputato non abbia negato la propria
responsabilità ed abbia esonerato l\’accusa dall\’onere della relativa
prova in cambio di una riduzione di pena (cfr. Cass. n. 2168/13, Cass.
n. 4060/11). Il riferimento all\’art. 56, comma 6, lett. h) del c.c.n.l.
risulta pertanto non dirimente.

La sentenza impugnata ha poi
considerato che tali fatti, lungi dall\’essere riconducibili, come ora
deduce il ricorrente, ad una insana attenzione per le scarpe femminili,
consistettero piuttosto nell\’essersi introdotto clandestinamente,
mediante impiego di chiavi abusivamente duplicate,

nell\’abitazione della parte lesa,
impossessandosi di dieci paia di scarpe appartenenti a quest\’ultima, con
l\’aggravante di aver usato violenza sulle cose (e cioè la forzatura
dell\’armadio), concretando così l\’ipotesi delittuosa di cui agli artt.
624 e 625 c.p., e dunque un fatto particolarmente grave (reato contro il
patrimonio, aggravato da violenza sulle cose), tanto più considerate le
mansioni di addetto allo smistamento e movimentazione di beni di terzi,
affidati al servizio postale.

4.- Con il terzo motivo il
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,
1375, 1455, 2104, 2106 e 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che la sentenza impugnata
ritenne erroneamente, e sulla base di una motivazione insufficiente, la
proporzione tra i fatti addebitati e la massima sanzione, omettendo in
particolare di valutare il profilo soggettivo della condotta, inidoneo a
porre in dubbio la correttezza dei futuri adempimenti, nonchè il
modesto risalto dato alla notizia dalla stampa.

Il motivo è infondato. La sentenza
impugnata, per le ragioni sopra esposte, ha ritenuto che i fatti
contestati, per la loro gravità e per la massima espressione
dell\’elemento intenzionale (dolo), concretassero senz\’altro, giusta del
resto la previsione dell\’art. 54 del c.c.n.l. di categoria, la sanzione
del licenziamento.

Deve infatti considerarsi che la
sentenza impugnata, come detto, non ha ritenuto, come lamentato dal
ricorrente, sic et simpliciter censurabile con la massima sanzione
l\’impossessamento di altrui scarpe femminili, bensì le modalità della
condotta contestata (introduzione abusiva e fraudolenta nell\’altrui
abitazione, la forzatura di un armadio e l\’impossessamento di tali
oggetti), dando rilievo solo ad abundantiam alla divulgazione della
notizia, ammessa dallo stesso ricorrente, ad opera della stampa.

5- Con il quarto motivo il
ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e
115 c.p.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, sotto il profilo
dell\’immediatezza della contestazione, oltre che degli art. da 57 e 58
del c.c.n.l. luglio 2007 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che il menzionato art. 58
del c.c.n.l. imponeva alla società Poste di sospenderlo cautelativamente
dal servizio (o di assegnarlo provvisoriamente ad altre mansioni),
mentre comunque la società era a conoscenza dei fatti sia dalle riferite
notizie di stampa (luglio 2007), sia, in ogni caso, dalla data della
sentenza di patteggiamento (26.9.07), appalesandosi così tardiva la
contestazione mossagli in data 27.2.08.

Anche tale motivo è infondato.

Deve infatti considerarsi che la
sospensione (o altra misura) cautelare prevista dal c.c.n.l. (che il
ricorrente neppure produce, in contrasto con l\’art. 369 c.p.c., comma 2,
n. 4), è istituto meramente facoltativo e comunque non decisivo per i
fini che qui interessano. La Corte di merito ha infatti correttamente
affermato, sulla base del consolidato orientamento di legittimità (e
plurimis, Cass. n. 11415/06, Cass. n. 1248/2016), che il principio
dell\’immediatezza della contestazione dell\’addebito deve essere inteso
in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura
dell\’illecito disciplinare, nonchè del tempo occorrente per
l\’espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa
l\’organizzazione aziendale.

Nella specie, non avendo il
ricorrente chiarito la compiuta conoscenza dei fatti da parte
dell\’azienda ad opera di talune notizie di stampa, la sentenza impugnata
ha correttamente considerato sia la natura dei fatti, oggetto di
accertamenti in sede penale, sia la complessità della struttura
aziendale della società Poste, anche sotto il profilo delle necessarie
attività conoscitive e valutative. Trattasi di apprezzamenti di fatto,
rimessi al prudente apprezzamento del giudice di merito, non sindacabili
in sede di legittimità ove, come nella specie, logicamente motivati.

6.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del

1970, art. 7, artt. 1175 e 1375
c.c., sotto il profilo del diritto di difesa del lavoratore, oltre che
dell\’art. 57 del c.c.n.l. luglio 2007 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Lamenta che la sanzione venne
dall\’azienda applicata senza aver preventivamente sentito personalmente
il lavoratore a sua difesa, redigendo peraltro la lettera di
contestazione senza fare alcuno accenno a tale facoltà difensiva.

Il motivo è infondato.

Non può innanzitutto sottacersi che
il ricorrente non produce il c.c.n.l. di categoria, sicchè la doglianza
risulta inammissibile laddove censura, in sostanza, l\’accertamento
della corte di merito secondo cui l\’art. 57 del c.c.n.l. invocato
prevede solo la facoltà del dipendente di essere ascoltato personalmente
su sua richiesta. Peraltro è pacifico, ed emerge dallo stesso brano
contrattuale collettivo riportato dal C. a pag. 19 del ricorso, che
l\’audizione personale del lavoratore è solo una facoltà del dipendente
(che pacificamente ha presentato nei termini di legge le sue difese
scritte), rimessa alla sua valutazione, necessitando di una esplicita
richiesta in tal senso (Cass. n. 7493/2011, Cass. n.9233/2015).

7.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo. L\’attuale condizione del
ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo
stato, la debenza di quanto previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art.
13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n.
228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per
compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%,
i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2016

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