L’avvocato che trascina il
cliente in causa lo risarcisce
Condanna esemplare: fino a 20mila euro a carico
dell’avvocato che spinge il cliente a impugnare la sentenza sfavorevole pur non
avendo possibilità di successo.
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«…E noi facciamo appello;
che tanto ci daranno sicuramente ragione» potrebbe dirti un avvocato poco
professionale e scorretto. Tanto poi, chi perde è il cliente ed è quest’ultimo
a pagare. Invece no: secondo una sentenza di ieri della Cassazione[1],
l’avvocato che spinge l’assistito inesperto a fare opposizione contro la
sentenza sfavorevole è tenuto a risarcirgli
i danni. Danni che possono arrivare anche a 20.000 euro.
Una pronuncia che imporrà, d’oggi in poi, ad ogni legale scrupoloso, di
“mettere tutto per iscritto” e far firmare, al cliente, una liberatoria con
cui, avvisandolo dei rischi connessi all’appello o al ricorso per cassazione,
lo esonera da ogni responsabilità. In questo modo, quantomeno, dinanzi a un
foglio scritto, l’assistito avrà la possibilità e tutto il tempo per meditare
su una scelta delicatissima: chi soccombe, infatti, nel giudizio di
impugnazione può essere condannato non solo alle spese processuali, ma anche a
sanzioni economiche particolarmente elevate.
Si
tratta, nelle intenzioni della sentenza in commento, di un valido effetto
deterrente contro le facili impugnazioni: una sorta di sanzione per via
indiretta a carico del legale (su iniziativa del cliente) per essere questi un
soggetto esperto e, in quanto tale, tenuto a sapere quando l’impugnazione è
pretestuosa o meno.
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Da oggi, quindi, pagheranno anche gli avvocati?Non così
facilmente. Secondo la Cassazione, presupposto per rivalersi contro il proprio
avvocato è che:
I) sia stato quest’ultimo a insistere e a fare,
sostanzialmente, la scelta definitiva dell’impugnazione;
II) e che il ricorso
sia palesemente infondato. Prove che devono essere fornite ovviamente
dall’assistito e che difficilmente potranno essere offerte se il legale è stato
previdente da farsi autorizzare per iscritto, facendosi firmare una liberatoria.
Mentre, quando ciò non avviene, si potrebbe profilare il rischio di doppia
condanna: la prima, alle spese processuali, nei confronti del cliente; la
seconda, in via di rivalsa, nei confronti dell’avvocato[2].
In
questo modo si consente al privato di recuperare
le somme dovute alla controparte grazie
alla condanna del professionista, con tempi più rapidi e con minori oneri a
carico dello Stato.
Sempre
ieri, ma in un’altra sentenza],
la stessa Cassazione ha avuto modo di ribadire la possibilità dell’azione di
risarcimento dei danni contro l’avvocato che conosceva o doveva conoscere
l’infondatezza e la temerarietà dell’opposizione e che, nonostante ciò, abbia
spinto il cliente alla causa. In tale ipotesi, scatta il cosiddetto abuso del processo per
la sua condotta gravemente colposa.
Il
presupposto della richiesta di risarcimento, da parte dell’assistito, è la
violazione di una regola fondamentale posta dal codice civile in tema di
esecuzione dei contratti (ivi compreso quello tra professionista e cliente): la giusta diligenza nell’esercizio
del mandato cui è chiamato ad adempiere chi svolge una prestazione
professionale altamente qualificata, come quella dell’avvocato.
[1]Cass.
sent. n. 19285/16.
[2]Il tutto
in linea con lo scopo dell’art. 96 co. 3, cod. proc. civ.